Il gabbiano
Un gabbiano. Un cielo sconfinato. Le ali spiegate verso il mare. Anche se il vento lo frena. Barcolla, si libra. Prosegue. Spedito punta lo sconfinato orizzonte, là, ove il mare e il cielo diventano una cosa sola, sicuro di un’improvvisa bonaccia, fiducioso della propria energia. Forse quel gabbiano ha un nome, forse quell’uccello rappresenta il sogno dell’uomo, forse quell’involontario protagonista significa tutta la vita mia, le mie ambizioni, il mio bisogno, la mia condizione. Proseguire anche con la burrasca, indomiti verso il nostro destino, perseverando nella speranza. Sicuri della propria debolezza, della propria piccolezza che ci apparenta all’aria, ci fa coniugare l’improvvida ascesa al cosmo. La piccolezza della mia statura. L’improvviso sentore di incolmabile iato. Ove tutto sembra ricordare all’uomo che la sua brama odora di infinito. La sola cosa che definisce l’abisso tra la bellezza e la trascuratezza di una giornata ventosa. La nostra condizione di indomabile negligenza, di sfiducia nella fiducia divina. Vola gabbiano, non ti voltare a mirare l’uomo. Il tuo destino odora di incorrotto.
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