Momenti piacevoli e meno della mia vita

Vi parlerò, nella speranza che anche voi facciate altrettanto, di tutte le cose spiacevoli che mi
sono capitate nel corso della vita, fin dall'inizio, così per gioco. [SECONDA PARTE]
La volta scorsa vi ho raccontato della mia vita dall'anno '43 al '49. Oggi continueremo, solo che
oltre a raccontarvi degli episodi negativi occorsimi, vi parlerò anche delle gioie avute.

Nella primavera degli anni '50 ci trasferimmo da Posillipo, la località marina in cui avevamo
abitato, in un quartiere molto popoloso della città di Napoli, soprannominato "Il Vasto", situato
a breve distanza dalla stazione ferroviaria. Ricordo quel terribile giorno. Non avrei mai voluto
lasciare nè il mare nè il bel giardino che aveva fatto da palcoscenico ai miei giochi infantili e
a quelli delle mie sorelle, tra muri colmi di gelsomini e di plumbago azzurro, da una parte e
dall'altra un piccolo giardino tutto coltivato a rose e 4 pini giganti, che molti dicevano essere
secolari. Il signor Guarracino, persona molto allegra e scherzosa, caro amico di mio padre e genitore
di Giuliana, una bambina a cui mi legava una sincera e forte amicizia, mi disse: "Ora passerai dalla
libertà alla prigione, ossia da una vita libera ad una che si svolgerà tutta in un palazzo, senza
spazi per i giochi".

Me ne andai piangendo senza ritegno, anche la mia amica piangeva e ugualmente suo padre si commosse
nell'abbracciare il mio. Tutti stipati nella piccola 500 familiare, precedevamo il camioncino su cui,
alla meglio, erano stati sistemati i nostri mobili, il quale a un tratto si fermò dinanzi ad una palaz-
zina di sei piani. Io e le mie sorelle eravamo stravolte poichè capimmo che la situazione era davvero
molto diversa. Ci fermammo per alcuni minuti dal marciapiede cercando di orientarci e quello che
vedevamo, era una strada non molto larga, stipata da palazzi sui due lati. Si sentivano grida di
venditori ambulanti provenire da tutti gli angoli: questo ci piacque perchè dove abitavamo prima era
un angolo sperduto in cui non arrivava mai nessuno e poi la strada, all'improvviso, si riempì di un
delizioso odore di sfogliatelle e di pizze. Capimmo che eravamo capitate in quartiere popolare, pieno
di gente che viveva buona parte della sua giornata, per la strada e questo ci piacque molto. 

Abitavamo al terzo piano, in una bella casa, piu ampia di quella che avevamo lasciato ma c'era solo
un balconcino alla romana, oltre alle finestre. Mio padre aveva dovuto trasferirsi perchè, dopo aver
lavorato un pò con il cognato, si ritrovò licenziato poichè l'agenzia ortofrutticola aveva subito un
fallimento. Con i risparmi che era riuscito a mettere da parte, aveva deciso di fittare un locale con
ampio deposito per svolgere l'attività di grossista di derrate alimentari, convinto che così avremmo
risolto per sempre i problemi economici. Mia madre usciva la mattina presto con lui, poichè nella nuova
attività aveva il ruolo di centralinista. Io e le mie sorelle restavamo sole tutto il pomeriggio.

I piu obbedienti se ne stavano in casa a giocare, io, una volta esplorato l'ambiente, decisi di andare
a giocare sul marciapiede dove c'era gia una bella comitiva, rivelando subito le mie capacità di vera
scugnizza napoletana. Mi arrampicavo con gli altri sui pali della luce, andavo nelle osterie a chiedere
i tappi delle birre e quando ne avevo raccolti tanti, insieme agli altri li disponevamo sui binari del
tram, il quale passando li schiacciava riducendoli in piattelli. Con questi giocavamo sotto i muri come
fossero bocce. Questo di per se era pericoloso perchè attraversavamo strade molto trafficate e, a volte,
sbagliavamo i conti e il tram, che credevamo lontano, appariva veloce da dietro la curva.

Non mi rendevo conto delle bravate che commettevo e mi piaceva essere considerata un maschiaccio;
infatti, nella compagnia, ero io l'unica femmina. Poi, in un secondo momento si affiancò a me mia
sorella Paulette, anche lei molto vivace. Capitò che i ragazzi cominciarono a contenderci e così io
mi ritrovai con 3 fidanzati e altrettanto mia sorella. I miei erano Amedeo, suo fratello Bruno e un
ragazzo siciliano detto Turiddu. Preferivo il primo, perchè non solo mi somigliava fisicamente ma anche
nel carattere, infatti era giocherellone e delicato nel comportamento. 

Detestavo Turiddu perchè non faceva altro che guardarmi i piccoli seni e così chiesi ad Amedeo di
escluderlo dalla nostra compagnia. Gli affari di mio padre andarono male e ripresero le solite discus-
sioni in famiglia che mi amareggiavano tantissimo e mi facevano perdere fiducia in me stessa. Mia madre,
donna molto decisa e, devo dire, eroica si rimboccò le maniche e, dopo aver fatto chiudere l'attività 
commerciale che era piena di debiti, fu costretta a fittare una e, a volte, anche due delle camere della
nostra casa. Non solo, ma si vide costretta anche a preparare il pranzo e la cena. Noi bambini venimmo
accatastati, un letto dopo l'altro, in un lungo corridoio, coperti da paraventi, mentre i miei genitori,
spostato il tavolo in camera da pranzo sotto la finestra, si arrangiarono su 2 brandine. 

Quegli anni furono veramente tristi e vidi spesso mia madre piangere perchè non poteva comprarci il
necessario. Finimmo per comprare tutto a rate e quella che andava girando per i negozi a farsi segnare
la spesa ero sempre io, che essendo ormai una ragazzina, me ne vergognavo e cominciavo a fare storie.
Le mie due sorelle furono risparmiate, come al solito. La prima perchè dicevano che era troppo timida
e la seconda perchè era ancora troppo piccola. A parte questo, il quartiere era affascinante. 60 anni fa
Napoli era stupenda, autentica e in quel quartiere povero tutto sembrava somigliare ad un presepe.
Infatti, la povertà e l'arte di arrangiarsi si respiravano ad ogni passo che si faceva. Dovunque c'erano
botteghe con arredi squallidi, vecchi, logori. Piccole botteghe che dovevano dar da mangiare a famiglie
numerose: c'erano la rivendita di vini e olii, molte panetterie che non vendevano altro che pane cotto
al forno e di grano vero.

Vedevi ogni giorno, per le strade, uomini con panelle, pezzi di pane rotondi, anche di 3-4 kg o filoni
di 2-3 kg. I poveri si sfamavano con il pane mentre il companatico o non c'era o era sempre pochissimo.
C'erano le drogherie e le caramellerie in cui ogni bambino entrando vi restava 10 minuti almeno, per
decidere quale tipo volesse. Intorno, sui ripiani, c'erano tanti barattoli di vetro con caramelle mini.
Io decisi, ogni volta, di comprarne un tipo diverso ma non arrivai mai ad assaggiarle tutte. Ancora,
c'erano le macellerie che vendevano solo le interiora, bovine e suine: era questo il pasto di carne per
i poverissimi che sapevano però renderlo gustoso con l'aggiunta di peperone forte e di alloro. Vi erano
anche molti coloniali che tostavano il caffè dinanzi ai tuoi occhi e poi te lo impacchettavano; questi
stessi negozi, per la festa di S. Giuseppe, ponevano sulla strada, dinanzi al loro ingresso, enormi
padelle in cui friggevano le zeppole su cui poi mettevano creme ed amarene. Quante volte ho sostato tra
la gente, godendo dell'odore, con la speranza che qualche adulto me ne comprasse una, ma non successe mai.

Mia madre preparava lei i bignet in casa per non farci mancare nulla, ma l'impasto era molto duro da
girare nella pentola e ricordo che, ognuno di noi, partecipava per un pò. Insieme alle ristrettezze
economiche ci furono tante gioie e soprattutto quella di continuare a volerci bene e di avere una madre
che cucinava come una regina e, quando poteva, con i suoi piccoli risparmi, andava nei negozi eleganti,
al centro della città, ad acquistarci abitini che solo noi portavamo e fu anche la prima madre che comprò,
a delle figlie femmine, i primi pantaloni alla pescatore. Da allora, imparai ad amare questo capo di
abbigliamento e ne feci largo uso, preferendolo spesso ai vestiti e alle gonne. La vita era semplice però
piena di eventi gradevoli, infatti fu proprio in questa casa che conobbi le mie amiche piu care, ossia
le 3 sorelle: Liliana, Silvana e Patrizia, che mi accoglievano quasi tutti i giorni nella loro casa, mi
facevano giocare e spesso mi trattenevano a cena. La madre, come gia ho detto altre volte, era una
persona speciale per quei tempi. D'estate restavamo sui marciapiedi a giocare ma il sabato o la domenica,
mia madre prendeva spesso l'eroica decisione di portarci al mare. Allora era un vero spasso.

Procedevamo in fila per le strade e ognuno di noi portava una borsa o l'ombrellone o l'anguria mentre
mia madre trasportava in carrozzina il piccolo Antonio. Salire sul tram, così conciati, era un'impresa
durissima. Mio padre ci aiutava e, alla fine, l'anguria toccava a lui altrimenti, noi bambini, stanchi,
ce la passavamo di mano in mano e la facevamo cadere sempre all'ingresso dello stabilimento. Ricordo
che stavamo alla spiaggia fino a che non scendeva la sera perchè, chissà poi, quando ci saremmo tornati
un'altra volta...
data autore commento (si può commentare solo se si è loggati)

Elenco opere (*)commenti

Pubblicata il 06-09-2012

Numero visite: 1031


Commento dell'autore

Aggiornamento di stato
Di 
La memoria del passato,
poesia e altro