Quel senso di colpa

Lamiere infangate, contorte, tra la nebbia e il fumo lanciano bagliori luminescenti che mi accecano,
rendendo la mia vista improbabile. Cammino in questa notte ottusa, vuoto nell’anima. 
In cerca. 
Sento. 
So, che lo troverò. 
Devo solo avere il coraggio di entrare in quel rogo infiammato, lo scontro tra un camion e l'auto bianca.
Sicuramente i soccorsi staranno arrivando ma io me ne frego, devo trovarlo. 
Devo chiarire. 
Altrimenti non avrò pace. 
Comincia a piovere, l'acqua si fonde con il pianto, lava via il sangue. 
Ma non purifica dentro. 
Ah, se mi avesse ascoltato, a quest'ora avrei solo nettare che riga il mio volto, non quel liquido
ustionante che non riconosco più nemmeno come lacrime. 
In lontananza riesco a sentire le sirene di un fuoristrada, ecco che frena, un grido lacerante del motore,
quasi volesse anche lui essere partecipe di questa orribile serata. 
Una donna in divisa della protezione civile, probabilmente un paramedico, si avvicina e mi punta una torcia
addosso, accecandomi. 
“ E’ ferito? Sa indicarci dove sono gli altri passeggeri?”
La guardo inebetito. 
“No ,balbetto, sto bene ma ho sentito dei lamenti provenire da lì, sotto quel mucchio di alberi caduti,
probabilmente qualcuno è sbalzato fuori nell'impatto ed è rimasto incastrato là sotto.”
La donna in divisa mi guarda con sospetto. Non mi crede. 
Vedo il paramedico che si allontana per raggiungere il collega che nel frattempo sta trascinando il camionista
sulla strada, prestandogli i primi soccorsi. I due parlottano per qualche minuto poi la donna ritorna verso
di me e mi ripunta la torcia contro. 
“Potrebbe abbassarla un po'...per favore.”
“Lei era in uno dei due mezzi? 
I miei occhi cercano di evitare quelli della donna. 
“Sto cercando una persona. Conosco quell'auto, sono sicuro che è qua, da qualche parte.” 
“Scusi ma come fa a sapere di quest'incidente se non era uno dei passeggeri, l’ ha avvisata qualcuno?”
“No, non mi ha avvisato nessuno.”
La donna in divisa mi osserva sempre più sospettosa. 
“Si sente bene? La vedo molto disorientato. Come si è fatto quei lividi sul viso?”
Il mio volto magro, il naso aquilino e supponente, gli occhi grigi, impauriti oltre misura, la bocca, una
linea sottile, quasi un confine tra follia e perdizione.
Il mio volto, dicevo, gronda sangue, mi fa male, ed io stesso non so spiegare tutto questo. 
Faccio per muovermi e la donna mi prende per un braccio e mi dice :
“Ma dove va così ridotto, da solo non ce la farà mai a trovare chi cerca, poi con questo buio….. venga,
cerchiamo insieme.”
La guardo riconoscente. 
Ci addentriamo in una zona appena prospicente il camion, nascosta alla vista di chi passa di lì velocemente,
assorto nei propri pensieri. Pochi metri più in là un dirupo. .Sento un lamento, impercettibile ad orecchio
umano, provenire proprio da lì. Mi stacco dall'abbraccio della donna e comincio a correre febbrilmente. 
Il cappotto di cammello che indosso ora è diventato per me un sarcofago pieno d'acqua, mi impedisce di correre
come vorrei. 
Arrivo sul punto dove credo di avere sentito qualcosa, la donna in uniforme mi grida di aspettare, arranca
dietro me, mi raggiunge e insieme ci affanniamo ad aprirci un varco tra rovi intricati, pezzi di carrozzerie
e carcasse di animali. 
Lui non avrebbe dovuto ascoltarmi. 
Non avrebbe dovuto fare quel gesto empio. 
I bambini no, loro non avevano colpa alcuna ma io ero ormai fuori da ogni controllo ed un suggerimento, partito
da me, fece di lui un colpevole. 
Sento la donna che grida al collega qualcosa che non comprendo ed intanto la luce della torcia illumina un corpo.
Il collega fa per raggiungerci, non prima di essere scivolato su un ammasso di foglie marce che si trova sulla
strada asfaltata. La donna gli grida di fare più in fretta e poi punta la torcia sull'uomo disteso per terra. 
E allora vedo. 
Vedo un cappotto di cammello, di ottima fattura ormai corroso dall’acqua e dal tempo, un viso magro, dal naso
aquilino (e supponente), una bocca sottile e due occhi chiari aperti, rivolti verso il cielo. 
Tento di parlare alla donna, di spiegarle che io quell'uomo lo conosco, ma non mi ascolta e allora provo a
scuoterla, quell'uniforme rigida, la prendo per le braccia ma lei mi scivola via e si aggrappa al collega, gli
sussurra che no, non può essere e viene da lui trascinata via, lontana da me. 
Grido. 
Devono ascoltarmi. 
Col mio cappotto zuppo di pioggia corro verso di loro e grido, grido. 
Ma loro non mi sentono. Salgono in fretta sul fuoristrada ma io li raggiungo e batto furiosamente sul finestrino
dalla parte della donna. Il motore fa sentire il suo urlo agonizzante, ecco, hanno messo in moto mentre io batto
ancora i pugni sui vetri. 
Ma loro non mi vedono.
Loro non mi vedono...

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07-09-2016 Redazione Oceano Il senso di colpa che diventa incubo, l’incubo che diventa realtà, e la realtà che supera i limiti della sopportazione di chi si dibatte nel tentativo di sfuggire a se stesso. Il protagonista della tua storia si guarda nello specchio della propria morte, e noi che leggiamo sentiamo tutta la sua angoscia, tutta la disperazione e l’immenso bisogno di spiegare, di rimettere le cose a posto, di perdonare ed essere perdonati. Ma non c’è più tempo.

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Pubblicata il 06-09-2016

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