Mani in pasta

(Matilde Ida)


Aveva deciso di cucinargli le tagliatelle alla bolognese, per cena.
Era da tanto che rimandava; quell’estate, il caldo torrido toglieva il respiro, e solo al pensiero di mettersi a impastare, una patina di sudore saliva a inumidirle la pelle. E così rimandava di volta in volta, di giorno in giorno.
La luce del mattino entrava tenue dalle fessure della tapparella, quando si era svegliata. Dal bagno, arrivavano i rumori del suo armeggiare tra doccia, rasoio, spazzolino elettrico. Gli piaceva alzarsi presto, verso le sei e trenta. Una delle sue piccole manie. Anche nei giorni di festa. Poi le ritornava accanto e si insinuava dolcemente nel torpore del suo sonno e della sua carne. Allora sì che i giorni di festa cominciavano bene!
Era passato a darle un bacio, prima di andare via, con l’ espressione allegra nonostante si preparasse ad affrontare la cappa di calore che gravava sulla città. Era stato in quel momento che aveva preso la decisione.
“Stasera gli preparo le tagliatelle. Sì, stasera lo voglio coccolare. Mi piace coccolarlo anche con il cibo. Al ritorno dal lavoro, lo sorprenderò. Di certo non se lo aspetta.”
Sorrise tra sé, immaginando l’azzurro del suo sguardo illuminarsi di guizzi di gioia. Gli piacevano le tagliatelle fatte in casa. Ah, se gli piacevano! Era un godereccio, lui. Quando entrava in cucina, all’odore del cibo che gli andava incontro, le narici fremevano leggermente, come le froge di un cavallo. Lo vedeva aspirare piano l’aroma, piccolo sorsi di molecole fragranti che gli entravano dentro; poi li tratteneva, fermando per qualche istante il respiro, per gustarli, per non farli andare subito via. Il suo viso cambiava. Si distendeva. E cominciava a goderlo, quell’odore; come un gatto socchiudeva gli occhi, e tenendoli chiusi annusava ed elencava ogni cosa che cuoceva nelle pentole, sui fornelli. Senza mai sbagliare un colpo. E come un gatto si illanguidiva e cominciava a farle le fusa, mentre il piacere, l’aspettativa del piacere, montava in lui, fondendo in un mix esplosivo il piacere per il cibo, con quello per il sesso, per l’amore, per vita.
Era allora che avveniva la sua metamorfosi; il suo gattone, il suo tenero orsacchiotto di pezza, si trasformava un vorace grizzly. Pareva espandersi, insieme al suo sesso; diventava ancora più grosso, ancora più imponente e la fiutava, la sniffava, la cercava, a saggiare la pienezza e la consistenza della carne, il sapore e gli umori del corpo.
Le sue braccia cominciavano a cingerla, la sua bocca cominciava a baciarla, le sue mani a frugarla ovunque.
Aveva proprio voglia delle sue fusa! Aveva voglia del suo desiderio che si ingigantiva fino a diventare avido, smanioso, affamato.
Il suo desiderio fantasioso che la circuiva, la braccava, che le inchiodava le reni al tavolo, senza mai perdere quel fondo di tenerezza che la faceva impazzire. Già il sangue cominciava a scorrere più fluido e veloce, a quel pensiero. Lo sentiva formicolare nei suoi cammini segreti.
Sì, quella sera l’avrebbe preso per la gola!