Il restauro dei ricordi

(Spedicato Assunta)


Prima di partire Andrea alza un’ultima volta lo sguardo verso le imposte chiuse della sua finestra al quinto piano.
La facciata dello stabile volge a sud, verso la sua terra d’origine. Tante volte l’ha cercata oltre la terra incolta, oltre l’ammasso grigio sullo sfondo prodotto dai capannoni delle fabbriche: alcune moribonde, altre chiuse o abbandonate.
Per quanto si sforzi, non è semplice immaginare il bello oltre i cumuli di lamiere, cemento sgretolato e ferraglia. È impossibile non procurarsi altro dolore al ricordo dei cancelli chiusi; e non risentire l’eco deprimente dei passi all’interno del capannone vuoto, privato a tradimento dei macchinari, durante la chiusura estiva.
In circostanze analoghe è finita anche la sua storia d’amore. Come per il lavoro: senza preavviso, senza rimedio. A Conferma che le promesse ormai non contano. Abituati come si è a vedersi cambiare le regole, da un giorno all’altro... come se nulla fosse! e soprattutto senza un prezzo da pagare.
Eppure, solo vent’anni prima, ai tempi dell’assegnazione della casa popolare, tutto appariva diverso. Il futuro aveva il pregio di poter essere immaginato e costruito.
Il verde dei prati, allora, si estendeva compatto fino ai campi di frumento. Nei giorni di vento, le spighe erano onde dorate. Nel loro agitarsi, Andrea intravedeva il passaggio delle correnti marine; quelle fasce d’acqua di colore più chiaro che, nella sua fantasia, si ricongiungevano al mare di Puglia. Lo stesso che sentiva scorrere ancora nelle sue vene. Immagini che compensavano l’assenza del mare e delle abitudini dei posti di mare.
Tra le sfumature del cielo, era possibile immaginare la curva all’orizzonte che unisce aria e acqua: il rientro in porto dei pescherecci, la scia movimentata dai gabbiani, curiosi come i compratori tra le bancarelle improvvisate dai pescatori, l’odore del pesce appena pescato e quel suo sapore genuino. Immagini e sensazioni, difficili da condividere tra la gente che non ha mai avuto la stessa fortuna.
Da quella finestra rivedeva anche i campi di grano della Murgia assolata, il cielo terso riflesso nelle acque cristalline del basso Adriatico e la luce intensa sui frutti odorosi che indorava anche il presente. Ormai solitario e nostalgico.

Ora, sotto i suoi occhi, c’è il risultato di una lenta e costante aggressione di un territorio un tempo ospitale. Un risultato, questo, che per Andrea corrisponde a un’ulteriore sconfitta. Insofferente alla nuova condizione di mobilità, si sente sotto assedio. Come se il degrado sia divenuto un nemico, pronto ad avanzare approfittando di ogni piccola distrazione. Ora più che mai, teme che possa penetrare all’interno della sua stessa dimensione e annullare il concetto gradualmente elaborato: l’idea di un progresso subordinato alla dignità umana.
Per questa ragione, quando il suo stato d’animo glielo rende possibile, evita di realizzare quanto sia concreta la desolazione dei dintorni. Preferisce scavalcare il presente e mirare lo sguardo oltre il visibile. Là, in quella direzione, dove l’illusione prevarica ogni sconfortante disinganno, sa di poter contare su un territorio genuino e ospitale.
La sua, ovviamente, è una stima al rialzo che ha penalizzato l’ambiente nel quale vive, e la sua totale integrazione.

Reclina il capo con rassegnazione. Riassetta i pensieri sulla strada e avvia il motore. Ingrana la retromarcia per uscire a ritroso dalla palude delle sue incertezze e dal cancello, eternamente spalancato, del grande condominio a ridosso della zona industriale.
Visto da lontano, l’intero quartiere pare un paladino incautamente esposto ai veleni delle fabbriche. Si erge a una distanza tale dal centro, da risultare escluso da qualunque altro tipo di prospettiva.
La grande città ha un cuore irraggiungibile per chi, suo malgrado ne resta fuori. Un centro nevralgico con ritmi e regole ben scandite. Insostenibili per chi deve fare i conti con la distanza, non solo fisica, ma soprattutto emotiva.
“In pochi riescono a costruirvi un passato e a sentirsi parte della storia già scritta nelle piazze o negli edifici amministrativi. Ogni singola pietra che ne costituisce le fondamenta, è stata forgiata nei laboratori di questa stessa terra”. Questo pensava Andrea, privandosi della possibilità di affidarsi al lavoro del tempo.
Ma nonostante tutto, non osa pensare a una partenza definitiva. Sarebbe come ammettere un fallimento. L’idea di una lunga vacanza, invece, è un degno compromesso: un’incognita aperta sulle variabili del caso.
Le ruote della vettura scorrono fluide sulla strada, quasi a inseguire il tratto sicuro di un disegnatore nel momento della creazione, quando con la matita realizza l’immagine partorita dalla mente.
Procede senza accelerare, con calma e guardandosi intorno, quasi avesse bisogno di tempo per filmare il paesaggio e conservarne il ricordo. In realtà, spera di cogliere un segnale lungo la strada, un qualcosa che suggerisca una soluzione alternativa al rientro.
L’attraversamento di una galleria determina un attimo di smarrimento. È un breve blocco al quale, ben presto, se ne aggiungono altri. Quei camminamenti bui sono pause variabili tra un’aspettativa e l’altra; una perdita di fiato che sottrae respiro alla speranza.
In una di queste parentesi, forse la più lunga, Andrea fa un salto indietro e ripercorre il lungo viaggio di andata.
Era felice, allora, di lasciarsi tutto alle spalle, compreso l’affetto della famiglia. Considerava il suo, un paese immobile, ostacolato da un diffuso spirito di rassegnazione. Una condizione che scoraggiava ogni iniziativa. Piuttosto che una volontà di cambiamento, Andrea percepiva nella maggior parte della gente, una propensione all’adattamento passivo. Nella sua mente si era radicata l’idea di un paese sempre troppo indietro rispetto alle proprie esigenze di emancipazione.
Partì guardando in avanti, impaziente di raggiungere territori più fruibili.
Forse l’eccessiva voglia di cambiamento e il desiderio di fuga, avevano finito col caricare di troppe attese il suo prematuro viaggio. Per Andrea, queste, erano state delle molle di cui la sua giovane età si era servita per tentare di recuperare, al volo, il tempo che erroneamente riteneva d’aver perso. Non aveva previsto, infatti, che ai primi ostacoli e mancando la presa, il rimbalzo all’indietro sarebbe stato inevitabile.
L’evoluzione richiede tempo e costanza e ora, non più giovane, sente d’aver perso lo slancio; a furia di tenderle, le sue molle, sono divenute logore e allentate.
“Cosa recuperare dalla mia storia? l’esperienza forse, l’amore per la mia terra? Su quale mattone stenderò lo strato di malta?”, queste le domande che continua a porsi. Finché non decide di fermarsi in un’area di servizio e provare a riposare.
Sogna una galleria che attraversa un paese in rovina, invaso da un’aria pungente e torbida, e sulla quale preme un cielo plumbeo. All’improvviso la galleria diventa la cruna di un ago e Andrea, un sottilissimo filo bianco. Dopo l’attraversamento, il filo si ripiega indietro per ricongiungersi con la sua estremità opposta, alla quale si unisce, definitivamente, con un nodo ben stretto.
Lentamente l’ago comincia a muoversi: entra ed esce da un tessuto sgualcito, con l’intento di ricucire uno strappo. A lavoro ultimato Andrea fa parte di un abito nuovo.

Giunge nella sua terra all’alba, quando le prime luci hanno ancora il colore limpido delle promesse.
Lo sguardo si apre sulla distesa pianeggiante. I suoi bordi frastagliati scivolano dolcemente nelle acque chiare di un mare tranquillo, mostrando un panorama che si perde nella profondità della distanza.
Abbandona l’autostrada per addentrarsi nel cuore della sua terra. In fondo può concederselo. Nessuno sa del suo rientro: i suoi genitori non ci sono più, e degli altri parenti ormai ha perso ogni contatto.
Ma ciò che osserva è qualcosa che sta entrando in conflitto con i suoi ricordi.
Le campagne intorno ai centri abitati sono aride, aggredite dal traffico e dai rifiuti. E sulla strada che costeggia il mare, rileva una pericolosa invasione del cemento.
“Dove mi trovo?”, pensa per un attimo.
Un’improvvisa fretta s’impossessa di Andrea; ha urgenza di verificare. Teme che il tempo possa aver danneggiato quei luoghi così a lungo venerati.
Quando infine raggiunge la vecchia casa adagiata sul porto, si accorge di non riconoscerla più. Se ancora fossero stati in vita i suoi anziani genitori, sicuramente avrebbero provveduto alla conservazione!
Intorno, tutto è cambiato! Palazzoni di cemento armato, a ridosso delle vecchie case, soffocano gli antichi cortili limitando l’aria e la vista del mare. Un po’ ovunque si notano i danni della modernità. Danni di cui si sente responsabile e vittima al tempo stesso.
Andrea sta facendo i conti con tutte le sue illusioni: non è questo il paesaggio atteso. Non è indolore l’osservazione della realtà!

A un tratto, una donna anziana seduta sulla soglia della propria abitazione, richiama la sua attenzione. Le offre un posto a sedere e un po’ di compagnia.
Basta poco a entrambe per riconoscersi. La donna è una vecchia conoscenza: come sua madre, era moglie di un pescatore, e come lei era abile nel riparare le reti.
L’anziana comare è contenta di rivederla dopo tanti anni, di riabbracciarla e di accoglierla in casa. Ma non si limita solo a questo. Con passo svelto e risoluto torna in strada. Usa un dialetto stretto per richiamare l’attenzione del vicinato. E per incanto, Andrea ha l’impressione di rivivere il suono del passato, il calore dell’amore.
Vecchi ricordi ora affollano la piccola cucina, dove già si spande un buon profumo di caffè. Intorno a lei volti rugosi, segnati dal tempo. Ma pur sempre sorridenti.
L’esperienza vissuta le impone un cambiamento, una nuova responsabilità. C’è solo da capire cosa potrebbe realizzare lì e in quella sua vecchia casa. È certa, però, che non le mancherà il sostegno. Se c’è un luogo designato a favorire una sua ripartenza, sicuramente è quello che per primo ha nutrito le sue giovani radici.
Un primo miracolo è già avvenuto: è iniziato il lavoro di restauro. E già vede riemergere i colori autentici di quell’opera d’arte che custodiva nella galleria dei suoi ricordi. Il calore del mare e della gente, la semplicità dei modi e la genuinità dei rapporti, sono immutati.
Un miracolo, questo, che Andrea ha saputo apprezzare.