Il mimo di Crikvenica

(Bregoli Fabrizio)


Reggo un violino dipinto d’argento
e scorgo il mio viso a nuovo innevato
sulle spente acque del lembo di mare
stretto orizzonte all’immoto mio sguardo.
Mi fingo di pietra, acquatto il respiro
perché tu mi creda il quieto ritratto
dell’uomo compito e sazio di niente,
sobillatore quel tanto imprudente
che sfida in silenzio la pioggia e il vento,
cova il segreto d’ogni turbamento.
Se insidiano le labbra mosche e arsura
o qualcuno celia, o sprezzante passa
talvolta brevi gocce di sudore
improvvise brillano sulla fronte
rapide poi imbrunendo sulle guance.
Sono i pensieri che non so trattenere
nel lago opaco delle mie pupille,
il battito più acceso sotto pelle,
quando veemente zampilla il sangue
d’un tremito le palpebre socchiude.

Quando sarà deserto questo spazio
mi curverò più lieve su me stesso
e mi raccoglierò nel mio mantello
in vicoli angusti in fretta svanendo.
Domani indosserò il mio volto d’uomo
all’alba consueto sconosciuto
tra i passi frettolosi dei turisti,
anch’io ambulante maschera fra tante.