Ora c'era lui che era Amore

(Lanza Bruna)


La chiave nella toppa, appena due mandate e il calore di casa l’avvolse con un tepore soffice e ristoratore.
Sì, quel giorno era stato freddo, l’umidità s’insinuava nelle ossa. Socchiuse per un attimo gli occhi, un sospiro di sollievo, ora poteva riprendere la sua vita, comoda in quegli abiti smessi, cedevoli al corpo come se sapessero già che la dovevano coprire senza forzature di pose d’occasione.
La cena, due spaghetti veloci al pomodoro, una mela, un caffè e la solita sigaretta come per sigillare un rito. Guardava dietro le sue spalle, non riusciva a capire, quel passato tanto odioso non lo scorgeva più, sforzava la mente in cerca di qualche dettaglio, pareva che avesse aperto la finestra permettendo al vento di rimuovere tutta quella polvere che la inchiodava in una vita non vita.
Le sofferenze di quegli anni non esistevano più, quel dolore che comprimeva il cuore non esisteva più, si sforzò di guardare meglio, nulla, il passato cancellato come se non fosse mai esistito, nessuna ferita sul cuore, nessuna lacrima offuscava il suo orizzonte.
C’era, solo, quella nuova stella nel suo firmamento, Dio, come era brillante, luminosa. Sì, era lui, il suo lui.
Qualche volta, incontrandolo sul pianerottolo, vi aveva scambiato qualche battuta di lui conosceva poco o nulla, poteva solo dire che era una persona a modo, educato, corretto, discreto.
Un giorno lui le confessò il suo amore, disse che l’avrebbe amata così, senza complicazioni, l’avrebbe amata solo lui.
Quella confessione, piacevole e terribile le sconvolsero il cuore, la costrinsero ad accettare una verità che lei negava, quel uomo così complicato e di una semplicità mistica, quel uomo che lei non riusciva a classificare le piaceva.
Ecco, ora lei non poteva più nascondersi alla sua stessa passione.
Fu una notte tormentata, lo voleva amico mentre la passione per lui la divorava, cercava di porsi dei limiti inventandosi scuse balorde.
Non era più una fanciulla, non era bella, non aveva mire espansionistiche su nessun uomo al mondo, troppo era il dolore che si portava dentro, tradita nella anima e nel corpo solo perché aveva creduto una volta di troppo al suo cuore.
Giurò a se stessa che non avrebbe amato più.
E lui era lì che già l’amava.
Non aveva le armi per combattere una battaglia pari, non aveva la forza per resistere … e lo disse gridando piano perché troppa era la vergogna dell’onore che le si chiedeva “Amarlo”.
E lui, con l’ingenuità di un bambino, urlava della sua anima e di come fosse rapita da quel amore.
Non si accorse dell’uso che faceva delle parole, sì, era un bell’uomo per davvero, nel pieno del suo vigore fisico e come doveva essere era circondato da belle donne …. e lo disse a lei … costringendola a guardare la sua pelle.
Non era giusto, in un attimo le donò Vita e Morte.
Lui le chiedeva di spiegargli del suo stesso assurdo amore.
Per dire il vero, neanche lei riusciva a capire.
Poi tutto le parve nitido.
La vita giocava con loro sconvolgendo tutto il loro sapere.
Da solo lui doveva trovare le sue risposte, cercarle nel suo passato, per motivi diversi entrambi avevano vissuto come attraverso una sorte di pellicola filtrante, come vecchi clown avevano dato un senso particolare alla vita stessa per non soffrire.
Poi si erano ricreduti, forse compresero il senso reale dei loro passi e, quella loro storia che non stava in piedi per le mille differenze … mostrava a loro un cuore in scacco matto.
Lei gli chiese se sapesse giocare a scacchi? Lei non sapeva giocare, sapeva che avrebbe perso, già lo sapeva prima ancora che la loro storia prendesse vita e ne era felice.
Vigliacca di una vita, ancora a giocare con l’essenza di lei e con l’amore di lui.
Lui le chiedeva di spiegargli cosa gli stava accadendo, perché era tanto preso da lei
Lei non poteva e non sapeva farlo, troppo presa a rimettere in sesto il suo cuore frullato in un mixer gigante.
Nulla sarebbe rimasto di esso, già lo sapeva, la sua vita era una poltiglia informe di sentimenti.
Sarebbe morta a ogni nuova carezza cercando di guardarlo negli occhi sperando ogni volta di non leggervi il disprezzo che meritava per non averlo allontano da se.
E mentre lei si disperava in quel suo tempo, sentì il suo grido.
Non era un urlo pietoso e neanche da conquistatore, era un grido che lacerava l’anima, era un uomo che reclamava il suo amore.
Aveva la forza di un leone, la grazia di una gazzella, lo sguardo dell’aquila e le tendeva la mano, ferma, sicura.
Calda la mano dell’uomo afferrò la sua, lei lo guardò negli occhi e si ritrovò in essi accoccolata e si riposò nel suo abbraccio.
Il gelo non era più suo padrone, ora c’era lui che era Amore.
Lei lo guardava mentre sparivano tutte le altre donne.
Una sensazione strana le catturava il cuore, pareva quasi che il sangue volesse di lui nutrirsi trasportandolo in ogni mia fibra di se stessa.
Lenta lei la mano alzò ad accarezzargli il viso, non sapeva quel che faceva ma sapeva che lo doveva fare, sentiva lui nel suo palmo, sentiva il suo passato che lo rendeva grande oggi, sentiva i graffi sul suo cuore, tutti li cancellò perché per questo lei era nata, ora lo sapeva.
Lui ebbe un attimo d’incertezza, non si aspettava quel tocco morbido così intenso, pose la sua mano su quella di lei portandola alle labbra, un bacio in quel palmo aperto e lei non capì più nulla.
Arrogante, sfrontata, prepotente divenne in un istante, gli si avvicinò baciandolo.
Era ciò che lui desiderava, la tenne stretta mentre le labbra si univano, si guardarono negli occhi, si sorrisero, un sorriso strano, uno sguardo affamato d’amore chiedeva cibo.; cibo per placare quella folle fame d’amore..
Una smania d’appartenersi, di viversi li, su quel pianerottolo.
Per lui fu impresa ardua tenerla stretta mentre armeggiava con la chiave.
Finalmente dentro l’appartamento, finalmente potevano saziarsi l’uno dell’altro.
Un trasporto e una passione li stavano divorando come fuoco nella paglia, s’incendiarono i cuori, si persero in quell’attimo quasi arrabbiato.
Si fermarono per confermarsi a loro stessi, si guardarono felici, consapevoli di essere finalmente vivi e di nuovo stretti, avvinghiati quasi a volersi fondere nell’altro.
Consumato fu quel tempo che aprì nuovo tempo, più calmo e sempre costante in quella passione che incendiava i loro cuori.
Appagata l’anima, ora davano sfogo alla curiosità di quella loro esistenza, non usarono parole, quelle erano per la gente ordinaria, usarono gli occhi, le carezze e quel senso strano che li trasformava in padroni e schiavi all’unisono.
E ancora ebbero conferma di essere uguali, battaglie dure avevano condotto, sfiducie e pentimenti avevano governato per lungo tempo il loro cuore.
Si sorrisero, si toccarono come a regalarsi immortalità l’uno all’altro e vissero coscienti di poterlo fare, coscienti di essere sul podio della vita.
Sì, erano felici.
Nei tempi che seguirono nessuna scacchiera li vide perdenti, i pezzi degli scacchi rimasero statici mentre loro, tra carezze e abbracci, tra il vivere quotidiano e i tempi di passione si appartenevano per ogni nuovo attimo della loro vita.