S.S. dei naufragati

(Nodari Enrico)


Dopo il primo fiato corto dovuto alla fatica, alle ore di cammino, ai tratti impervi di arrampicata, eccolo finalmente in vetta in questa meravigliosa giornata di tiepido sole autunnale. Dalla cima appena raggiunta, Akram può gustare la bellezza della natura selvaggia e percepire il valore del silenzio. Col tempo ha imparato a identificare ogni rumore che sovrasta l'immensa tranquillità alpina. Lo scorrere dolce dei ruscelli che si trasforma nel fragore aspro e minaccioso delle cascate. Il soffio leggero del vento che di notte si tramuta in un ululato incessante. Il canto degli uccelli e il fruscio degli animali che abitano la valle ed ogni tanto si mostrano in tutta la loro bellezza, emozionandolo. E come può non amare i fiori, gli arbusti, i muschi, i mille colori che affiorano in ogni stagione e che, sopratutto in autunno, sono strepitosi. E' un momento molto intimo con se stesso. Si sente piccolo dinnanzi a tanta maestosità, con la mente libera dai pensieri ma colmo di quella pace interiore a cui ogni essere umano anela. Ripensa ai tre mesi appena trascorsi in cui ha dovuto gestire il piccolo rifugio montano. Si sono alternati giorni allegri e spensierati, dove bastava essere riuniti attorno a un tavolo in compagnia, dopo una faticosa ma appagante camminata tra il verde dei prati, il bianco del granito, il blu del cielo, a giornate faticose e piene di imprevisti in cui le condizioni meteo non permettevano di uscire, dove saltavano le comunicazioni e l'energia dei pannelli solari funzionava ad intermittenza. In questo contesto, Akram ha imparato l'essenzialità e l'adattabilità, valori che contraddistinguono la vita in rifugio, imparando ad apprezzare le piccole cose. Con questo spirito ha accolto tutti gli escursionisti che sono transitati presso di lui. Ora è giunto il momento della chiusura, siamo a fine stagione. Questo luogo sicuro, da dove si arriva e si parte proprio come una stazione, da dove si possono ammirare meravigliosi paesaggi dall'alba al tramonto, durante il rigido inverno viene avvolto da una coltre silenziosa e surreale, gelosamente custodita dai pochi animali che non vanno in letargo.


Il barcone maleodorante di legno marcio, gremito all'inverosimile da persone di varie etnie e religioni, arranca in balìa delle onde verso le coste italiche. Il sole sembra non calare mai. Tutto quel tempo passato in mare li ha stremati. L'arsura li sta cuocendo. La sete li ha prosciugati. Acqua, acqua dappertutto e nemmeno una goccia da bere … Non hanno più voce, non hanno più lacrime quei poveri disperati. Tra di loro Nadira, giovane ragazza afgana di etnia pashtun. La famiglia l'ha ripudiata, spingendola a forza tra le braccia di quei luridi trafficanti di uomini, per salvarla da una sicura lapidazione. Ella porta in grembo il frutto del peccato. Frutto che è stato seminato nel suo ventre contro la propria volontà da parte di un gruppo di banditi Tajiki. Agli abitanti del villaggio questo però non interessa. Lo scandalo, il disonore, è che una femmina pashtun sia stata ingravidata da seme tajiko. Si accarezza la piccola pancia tondeggiante con una leggera smorfia di dolore. Ha visto sorgere otto lune, in teoria è ancora presto per il parto, ma una serie di fitte dolorose, fanno presagire l'avvicinarsi dell'evento.
Si rompono le acque! Proprio ora che stanno arrivando le motovedette dei primi soccorsi. In un attimo è l'inferno. I disperati si spostano tutti su un lato per chiedere aiuto, la carretta del mare si inclina di colpo. Si vede la testa! Nadira urla, piange, spinge, nessuno l'aiuta. E' fatta! Il bluastro fagottino piangente ha trovato l'uscita. Vorrebbe abbracciarlo, baciarlo, accarezzarlo ma la barca si sta inabissando. Non ha più forze la giovane afgana. Sente le grida disperate degli altri quando l'acqua inizia a bagnarle la testa. Poco prima che le entri nella bocca, nei polmoni, riesce a vedere una mano impugnare un coltello arrugginito e recidere nettamente il cordone ombelicale. Caldi fiotti di sangue l'accompagnano mentre sprofonda lentamente negli abissi marini mancando all'ultimo istante quella presa, quelle mani che cercano di portarla in salvo insieme a suo figlio. Poi il buio, la profondità, la quiete eterna.
* Lo spettro vedemmo venire di lontano, venire per ghermire, nero di dannazione, vita e morte era il suo nome. Madre mia, salvezza, prendimi nell'anima. Questa è la ballata di chi si è preso il mare, che lapide non abbia, ne ossa sulla sabbia, ma bruci sui pennoni nei fuochi sacri, nei fuochi alati, della Santissima dei naufragati ... O Madre vieni a noi che siamo andati senza lacrime senza gloria, vieni a noi, perdon , pietà.*(V. Capossela)


Nella dottrina islamica Gesù è solo un profeta, ma la sua nascita è un evento straordinario visto che è partorito dalla Vergine Maria, esempio di straordinaria pietà e devozione spirituale anche per i musulmani. E' per questo motivo che all' approssimarsi delle festività natalizie, Akram riesce a stento a controllare le proprie emozioni. Si è inserito perfettamente nella piccola comunità locale, dove è stato accolto a braccia aperte da tutti gli abitanti che hanno molte cose in comune con lui, soprattutto l'amore per la montagna. Il giorno di Natale, quando nelle case le famiglie si riuniscono per lo scambio degli auguri ed è tutto un tripudio di baci e abbracci, lui compie sempre lo stesso rito. Sveglia all'alba e partenza da casa a piedi, zaino in spalla e ramponi. Nell'arco di poche ore arriva alla conca dove sorge la baita. Niente colori, niente rumori, il paesaggio è sommerso dalla neve che regna incontrastata. Il tempo si dilata, l'atmosfera è ovattata. Il giovane inforca gli sci d'alpinismo e lentamente, senza perdere il ritmo, inizia la faticosa salita verso la sua vetta preferita. Una volta giunto in cima, il panorama che gli si presenta girando lo sguardo di 360 gradi è quello di un anfiteatro di guglie svettanti ricoperte da una bianca marea. In quel momento Akram “il generoso” figlio pashtun di Nadira “la preziosa”, sopravvissuto al mare e accolto dalla montagna, alza lo sguardo al cielo. Respira profondamente e trattenendo il fiato si tuffa nelle insondabili e misteriose acque marine. Scende vertiginosamente nel profondo abisso, esattamente nel punto in cui gli occhi luminosi di sua madre, brillanti e risplendenti, lo attirano. Eccola, in attesa, con le mani imploranti protese verso di lui. L'afferra con forza, la trascina in superficie e poi su, ancora più su fino alla vetta innevata, fino alla soglia del Paradiso. Sente il suo calore, percepisce il suo profumo. Ora i due sono uniti in un infinito abbraccio universale, in quel luogo a loro sacro senza spazio e senza tempo, avvolti da un'aura magica di eternità. E prima di riaccompagnarla alla propria dimora marina, con occhi pieni d'amore e una voragine nel cuore, semplicemente le sussurra:«Ana 'ahabk 'ana 'amy fakhura» ( Madre ti voglio bene sei il mio orgoglio).