Un mondo a colori

(Crippa Nicola)


C'era un volta, qualche tempo fa, un quadro gigante e molto, molto particolare. Era in bianco e nero, e i paesaggi e le persone che vi comparivano non erano sempre gli stessi come succede nei normali quadri, ma erano anzi in continuo movimento. Quel quadro gigante ritraeva un'enorme città tutta avvolta da nubi grigie grigie e da una nebbia che pareva non scomparire mai. Pensate che addirittura nel quadro non era possibile vedere i visi degli adulti che abitavano quel posto da quanto erano avvolti dalla nebbia grigia. Si potevano intravvedere solo i contorni, mai i dettagli. E così, per esempio, nessun bambino conosceva il colore degli occhi della mamma, e nessun innamorato sapeva che forma assumesse il sorriso dell'amata.
La città di quel quadro non presentava giardini o alberi, ma soltanto altissimi palazzi e strade trafficate da automobili e pullman e tram. Nemmeno le biciclette comparivano sul quadro gigante, forse perché sembrava fare molto freddo in città. I cittadini adulti di quel posto, infatti, accendevano tutti i giorni delle rumorosissime macchine che servivano per scacciare via il freddo, ma quelle macchine producevano a loro volta altre nubi grigie che andavano a sommarsi a quelle che già immergevano la città, impedendo al sole e quindi anche al caldo di penetrarvi.
Di persone abbronzate, quindi, non c'era traccia. Ma questo sembrava non importare ai cittadini: nessuno infatti si guardava mai in faccia e così non interessava più se la pelle era pallida o lucente. Tutti guardavano solo ai loro computer tascabili (anche quelli, ovviamente, in bianco e nero) e così quasi nessuno aveva amici. Quasi nessuno, non nessuno, poiché in quella città abitavano anche Michele e Kevin, due inseparabili amici per la pelle.
Michele e Kevin frequentavano la quarta elementare, giocavano sempre insieme e ridevano tantissimo, spesso senza alcun motivo, cosa molto inconsueta per quel posto. Addirittura a volte i due amichetti scoppiavano in risate così a crepapelle che divenivano tutti paonazzi: le loro guance si facevano rosse rosse e i loro occhiolini perdevano qualche lacrimuccia divertita. Quando ciò accadeva in presenza di altre persone, però, erano guai: "Dovreste vergognarvi a comportarvi così.", "Che guance rosse avete: sembrate giullari da quattro soldi!"; questi erano solo alcuni dei rimproveri che ricevevano. Ma nonostante tali ramanzine, i due amici continuavano a ridere e a divertirsi assieme, sperando di riuscire a contagiare un giorno anche gli altri cittadini. Ed effettivamente, ai loro occhi, cosa poteva esserci di più bello che trascorrere giorni felici in compagnia di chi si ama?
Un giorno i due amici ne combinarono una grossa: Kevin aveva radunato tutti i suoi compagni di classe nell'atrio della scuola e li aveva disposti in un cerchio al cui centro aveva fatto accomodare la bella Claudia, bambina di cui Michele era follemente innamorato. In quel momento proprio Michele, vestito con il fiocchetto e la camicia, fece il suo ingresso nella scuola reggendo un manoscritto. Si portò davanti a Claudia e lesse le poche righe scritte sul suo foglio: "Claudia, sei bella da impazzire - Ti amo da morire - Vorrei baciarti di giorno e di notte - Ti regalerei le bibite più buone tutte in una botte - Amore, tesoro - Salsiccia e pomodoro - Ho finito le rime e mi scuso - Ma vuoi essere la mia fidanzata? Ti scongiuro". Claudia divenne tutta rossa dalla vergogna, alcune compagne di classe piansero per l'emozione e gli altri fecero un super applauso a Michele, incoraggiati da Kevin. Il baccano fu tale che destò l'attenzione delle maestre, le quali interruppero bruscamente il romantico momento mettendo tutti quanti in castigo e trascinando Michele e Kevin lontani da tutti, nel terrazzo del quarto piano della scuola, a colloquio con la signora preside. "Ne ho davvero abbastanza delle vostre sfrontatezze: avete visto quanto rossore avete creato sulle facce dei vostri compagni di classe? Volete che siano emarginati socialmente? Ne avete proprio combinate di tutti i colori, ma adesso basta: a mali estremi, estremi rimedi. Da domani voi due non sarete più nella stessa classe." "No signora preside, non separateci", la supplicarono i due amici. "Non si discute. La decisione è stata presa." Così pronunciò la signora preside, che subito si voltò e scese nel suo ufficio, lasciando i due ragazzi da soli sulla terrazza.
"Io non ci sto", sussurrò imbronciato Kevin. "E io nemmeno. Scappiamo da qui", fu la pronta risposta dell'altro. "Concordo, ma dove andiamo?" Michele si scrutò intorno: era la prima volta che osservava la città da tale altezza. Non si distingueva quasi nulla poiché tutto era ricoperto dalle nubi e dalla nebbia, ma all'orizzonte qualcosa splendeva di luce propria: "Hai visto laggiù? È tutto colorato di verde, sai di che si tratta?" "Sì: quella è la montagna -rispose Kevin- ma là è pericoloso: non vi è ancora giunta la civiltà." "E allora sarà esattamente là che andremo: la civiltà non è adatta per due amici come me e te", proferì Michele, incamminandosi proprio in quella direzione, con l'amico al seguito.
Era la prima volta che i due amici visitavano un bosco: avevano studiato sui libri qualche caratteristica degli alberi, ma mai prima li avevano visti con i loro occhi. In quel posto ogni cosa era diversa dalla città: anzitutto là non c'erano le nubi grigie e la nebbia e quindi le cose non erano in bianco e nero bensì colorate e dai contorni ben definiti, poi l'aria era fredda ma non pungente, e non c'erano rumori ma solo delicati suoni. Stupiti ed ammaliati dal nuovo mondo nel quale si trovavano, l'attenzione dei due bambini venne improvvisamente catturata da uno "SQUI SQUI". Di che si trattava? I due amici si scrutarono intorno. "Guarda là!", urlò Kevin indicando uno strano ammasso di morbidi peli marroni muoversi sinuosamente tra gli alberi. "Che cosa è?", domandò Michele all'amico. "Sono Squiro, uno scoiattolo!", rispose inaspettatamente l'animale. "Uno scoiattolo? E cosa è uno scoiattolo?", dissero all'unisono i due bambini. "Non sapete cosa siano gli scoiattoli?", "Sono solo bambini Squiro, e vengono dalla città. Penso sia la prima volta che vedano degli animali vivi. Dico bene?", chiese ai due amichetti Red la volpe, sdraiata sotto l'albero dello scoiattolo. "Esattamente. Noi siamo Michele e Kevin, è la prima volta che vediamo degli animali e scappiamo dalla città poiché là non vogliono che stiamo assieme." "E perché in città non vogliono che stiate assieme? Siete piccoli umani, dovreste essere accolti tra la vostra gente", li interruppe White, la lupa bianca, la cui tana stava alle loro spalle. "Perché noi siamo diversi dagli altri: ci piace stare insieme e divertirci e ridere", "Stare insieme e divertirci e ridere", fece loro eco Arlecchino il pappagallo, che aggiunse "direi che si nota facilmente che siete diversi: il colore della vostra pelle è ben più lucente di quello degli altri umani." Tutti gli animali del bosco, ivi radunati poiché incuriositi dalla presenza dei due bambini, concordarono con Arlecchino e chiesero ai due giovani ospiti di raccontare la loro storia, al termine della quale King il cervo proferì convinto: "Dobbiamo portare i nostri due giovani amici dal Pittore Matto: solo lui potrà aiutarli." Così disse e tutti obbedirono, e in un battibaleno Michele si trovò in sella a Speedy il cavallo, Kevin in groppa a Strong il cinghiale e con loro si incamminarono verso la cima della montagna, dove aveva dimora il Pittore Matto.
Il Pittore Matto aveva un aspetto molto simpatico: indossava delle scarpe piene di buchi, due calzini di colori diversi, pantaloni a pinocchietto tutti sporchi di vernice e una giacca viola chiusa da un laccio. Aveva capelli bruni e disordinatissimi che sembravano le foglie degli ananas e due vivaci occhietti azzurri pieni di luce. Quando i due bambini gli spiegarono quanto avvenuto, il mortificato pittore propose ai due amici di restare a vivere nel bosco. Michele e Kevin rifiutarono però l'offerta, poiché sentivano già la mancanza dei loro genitori, dei loro amici e, in particolare Michele, di Claudia. Avrebbero voluto trovare, insomma, un modo per vivere bene tra la gente piuttosto che un modo per scappare dalla gente. "Dobbiamo dunque escogitare una soluzione. Se gli adulti non riusciranno ad accettare due splendidi bambini come voi allora temo che la civiltà non potrà vivere a lungo", sospirò il Pittore Matto, che, come suo solito, impugnò un pennello e si mise a scarabocchiare su un cartoncino. "Avete mai notato che quando si scarabocchia su di un foglio tentando di disegnare distrattamente un volto, questo non prende vita finché non ne disegnate gli occhi?", chiese soddisfatto ai due amichetti. "E voi -continuò- non vedete mai gli occhi degli adulti poiché quelli sono sempre immersi nel grigio delle nubi. Se volete una città più viva, più colorata e più umana, cari miei, dovrete andare tra i cittadini con dei pennelli e colorare degli occhiolini sui loro volti." "Ma come possiamo pitturare sulle nubi?", chiese Kevin al Pittore Matto. "Facile: con i pennelli-pittura-nubi. Eccoli qui, ve li regalo!" Michele e Kevin erano increduli: finalmente avevano tra le mani la soluzione per riuscire a vivere bene tra la loro gente. Si precipitarono quindi in città, armati di pennelli e buone intenzioni. I primi occhi da colorare erano quelli più accessibili, ovvero quelli degli alunni delle classi quinte della loro scuola, perché quelli erano abbastanza alti da avere la testa già immersa nelle nubi, ma anche abbastanza bassi da potere essere dipinti facilmente dagli altri bambini.
Michele e Kevin giunsero alla scuola all'ora di ricreazione, e adunarono nell'atrio i loro compagni di classe, ai quali spiegarono la missione. Tutti decisero di sostenere i due giovani amici. Al suono della campanella, quindi, il gruppetto di bambini si diresse verso le classi quinte, dove gli alunni stavano tornando a sedersi sui banchi. "Ragazzi, al mio TRE li attacchiamo tutti insieme ok? Le bambine faranno il solletico agli studenti e i bambini si avvicineranno con i pennelli disegnandoli gli occhi. Chiaro?", "Chiarissimo Kevin!" "Bene e allora UNO, DUE, TRE!" L'assalto fu velocissimo e trionfale: in un batter d'occhio ogni alunno delle classi quinte aveva lucentissimi occhi, tutti parevano contenti e di tempera sprecata ce ne fu ben poca.
Fu dunque il turno delle maestre. Gli studenti si sedettero sotto i tavoli, e quando le maestre sopraggiunsero furono dapprima meravigliate dall'assenza degli alunni e poi da loro sommerse e catturate. E così ricomparirono gli occhi anche sui primi adulti. Giunse così l'ora della signora preside, che dinnanzi a tutti gli alunni e al corpo docente non poté che gettare la spugna in un battibaleno. La contentezza regnava sovrana nella scuola, anche se purtroppo durò per poco: infastiditi dal baccano e dalle risate, i vicini chiamarono gli agenti di polizia. Questi sopraggiunsero nella scuola e arrestarono tutti, con l'accusa di tentata rivoluzione. Per fortuna proprio in quel momento sopraggiunsero nella scuola tutti gli animali del bosco, preoccupati per l'incolumità di Michele e Kevin: sugli alberi Squiro lo scoiattolo pilotava i suoi simili, oltre che i serpenti e i picchi, White la lupa dirigeva invece l'azione dei predatori, Speedy il cavallo si occupava del battaglione degli animali più veloci e Strong il cinghiale di quello degli animali d'assalto. E ogni animale portava con sé miriadi di pennelli, con l'intento di pitturare un bel paio di occhiolini a ogni umano della città. La missione fu portata a termine con estremo successo, e ciò che più colpì fu anche l'intervento del Pittore Matto che dall'alto del cielo (era infatti trasportato sul dorso di una grossa aquila che capitaneggiava la squadriglia aerea) gettava tonnellate di pittura colorando ogni palazzo, ogni carreggiata, ogni viuzza e in generale ogni cosa della città. Michele e Kevin furono quindi liberati e da quel momento in poi riuscirono a vivere gioiosamente tra la loro gente, in una città ormai colorata e vivace.
C'era un volta, dunque, qualche tempo fa, un quadro gigante e molto, molto particolare. Era in bianco e nero e raffigurava una città molto triste. Quel quadro era stato composto nel lontano 2051, e ora che corre ormai l'anno 2115, tutti sono felici di vivere in un mondo a colori. Si dice che gli umani sappiano apprezzare qualcosa solo nel momento in cui la perdono. E così il mio augurio è rivolto a voi, cari miei piccoli lettori, che avete un'età in cui la vostra testa non è ancora inghiottita dalle nuvole grigie. Vi auguro di trovare quel quadro, sepolto in qualche terra poco lontana, di guardarlo per bene e di innamorarvi di ciò che lì mancava: innamoratevi dei fiumi e della loro acqua fresca, innamoratevi del mare e della sua musica, innamoratevi della neve e della sua morbidezza, del cielo con le rondini e di quello con i lampi, innamoratevi dei boschi e degli animali, dei prati e delle montagne. Innamoratevi dell'amicizia, dell'amore e del divertimento. Innamoratevi dunque di tutto ciò che colora la vostra vita, affinché possiate diventare voi stessi pittori, pittori di un mondo a colori.