Come le stelle quando fa nuvolo

(Crippa Nicola)


31 agosto 2016, Roma. Ore 01.30 a.m..
"Il poeta, alchimista dell'anima, ammonisce ed'incoraggia a proseguire il cammino.. 'Non prevalebunt'.. "
"Alchimista dell'anima", pensavo tra me e me, impugnando la pergamena consegnatami solo poche ore prima nel palazzo del Campidoglio, Roma. "Hanno scelto proprio una bella espressione per descrivermi, domani a casa dovrò complimentarmi pubblicamente con la giuria, magari su Facebook.. "
"Sono liberi questi tre posti?". Annuii sorridendo alla signora, e spostai il mio tablet dal sedile accanto al mio. "Figo! Di che marca è?", mi domandò un bambino, presumibilmente figlio della copia ormai seduta a me dinnanzi. "E' un Samsung, mentre io sono Michele. Tu?". "Lo vedo che è un Samsung, ma che modello è? È davvero tanto bello!" "José, il signore ti ha chiesto come ti chiami, rispondi gentilmente alla sua domanda e non disturbarlo troppo.", intervenne la madre. "Scusa", ribatté sconsolato il bambino, che mi chiese: "Posso sedermi accanto a te?" "Certamente", gli feci eco.
Josè era un bambino mulatto, con dei bellissimi boccoli, neri come i suoi occhi. Avrà avuto poco più di dieci anni, e non capivo se era più appassionato della tecnologia o delle fortuite chiacchiere con gli sconosciuti. La madre era invece la tipica signora mediterranea: alta e fiera, carnagione scura, occhi castani e capelli liberi di giocare all'effetto vedo non vedo con il sensualissimo seno coperto, o scoperto, dalla scollatura a 'v' di una magliettina color giallo sbiadito. Il padre sembrava invece appena uscito da una sit comedy messicana: mulatto come il figlio, pelle rugosa, baffetti, occhi incavi e poi indossava, oltre ai pantaloni neri e alla camicia in seta, anche degli stivali da cowboy e un cappello in stile Country Western. Lui e lei si erano subito addormentati, mentre José mi aveva già spiegato che amava il mare e il calcio, che il suo calciatore preferito era Ronaldinho seppure la forma non era più quella di una volta, che detesta le ragazzine tutte blabla-quaquaraquà della sua classe almeno quanto detesta la nebbia e il freddo, che vive a Firenze e che era sul treno con la sua famiglia perché stava finalmente tornando a casa dopo aver trascorso il ferragosto a Roma. Dal canto mio avevo invece avuto giusto il tempo di comunicargli che stavo rincasando pure io, che ero molto stanco e che ero stato a Roma per lavoro.
"E che lavoro fai?", "Faccio il poeta", gli risposi. Lui mi guardò stupito. "Cioè?". "Sono come un pittore", gli spiegai, "Solo che al posto dei colori uso le parole." "Capito", mi interruppe svogliato. "E di dove sei?" "Sono bergamasco." "Davvero vivi a Bergamo? Bleah che schifo!" "Come che schifo? È una città bellissima invece." "Non ci credo: tutti i miei amici dicono che è grigissima, che fa sempre freddo e che c'è tantissima nebbia." "Evidentemente i tuoi amici hanno visitato Bergamo solamente nei mesi invernali", gli feci notare divertito. "Beh, ma i mesi in cui fa freddo a Bergamo sono almeno sei, per cui per sei mesi la città è grigia, triste e nebbiosa. Di conseguenza almeno per sei mesi all'anno fa schifo. Se poi consideri che nei mesi estivi qualche giorno piove, qualche altro giorno grandina e che non c'è il mare, direi che Bergamo fa quasi sempre schifo.", concluse saccente.
Mi sono sempre chiesto perché Bergamo non piaccia ai non bergamaschi. In fondo è una stupenda cittadina, secondo me. Forse non piace a molti soltanto perché molti non l'hanno mai vista. Ed ero certo che José non vi era mai stato. Impugnai allora il mio tablet e invitai il bambinetto a guardare delle foto che gli avrei presto fatto vedere. Volevo trovare su Google una bella immagine della mia città per mostrargli quanto il suo giudizio non corrispondesse al reale. Per mia sfortuna, però, il tablet era così scarico che se avessi acceso il 3g si sarebbe definitivamente spento. Cercai allora tra la mia gallery fotografica, certo di trovare qualche file adatto alla missione. "Ecco qua", gli dissi soddisfatto consegnandogli l'apparecchio, "Apri questo documento intitolato 'BG' e dimmi se la città in cui vivo è davvero così brutta". Josè eseguì l'ordine e subito scoppiò a ridere. "Quanta nebbia! Mai vista così tanta tutta insieme! Fa davvero schifo!". Mi rimpossessai subito del Samsung, e, ad onor del vero, dovetti ammettere che l'immagine in questione era così grigia da sembrare in bianco e nero, seppure era una fotografia reale. E comunque a discapito di ciò amavo profondamente quella fotografia. "Ma non è nebbia questa, sono nuvole basse!", lo ammonii. "Nuvole basse? Di che si tratta?" "Devi sapere che Bergamo, o almeno Bergamo Alta, è una cittadina tutta arroccata su delle colline abbastanza alte da toccare le nuvole. È un piccolo borgo medioevale, e in alcuni angoli cittadini sembra che la storia si sia fermata. In quegli angoletti, infatti, tutto pare bello e perfetto come nelle miniature medioevali. E poi vedi questo?", gli domandai indicando con l'indice la torre squadrata che si erge in secondo piano nella foto, "Quello è il campanone, una torre costruita mille anni fa e da cui è possibile vedere un panorama mozzafiato: se ti giri verso sud vedi la pianura Padana e, a destra, i grattaceli di Milano, mentre se ti volti in tutte le altre direzioni scorgerai dei verdissimi e altissimi monti, sontuosi ed eleganti, spesso aguzzi ma comunque gentili: a me trasmettono un senso di protezione che non scambierei per nulla al mondo." José scoppiò a ridere: "Ma che dici Michele? Da questa foto pare chiaro che anche da quella torre si veda solo nebbia, nebbia e nebbia! Dove vedi i grattaceli di Milano?"
In effetti il bambinetto aveva ragione, e quella non era la foto migliore per descrivere il paesaggio dell'hinterland bergamasco. Fu così che in quel momento mi accorsi che quella nube bassa, che copriva tutta la città, non nascondeva solo i territori limitrofi, ma anche i motivi per i quali ero e sono così innamorato della mia terra.
Cominciai allora a raccontare a José cosa nascondeva tutto quel grigio, e come mai non era poi un grigio così ripugnante. "Guarda bene José: immagina che quella gigantesca nuvola grigia sia in realtà un'enorme coperta, di quelle pesanti pesanti che sanno ripararti dal freddo. Ecco, sotto quella coperta si nasconde città bassa, sede dei negozi cittadini. Città bassa è il luogo dove tutti si recano per lavorare. Quando ho scattato questa foto erano circa le 6 del mattino, e già sentivo i rumori dei pullman nel centro. Moltissime persone si alzano prestissimo, a Bergamo, perché pensano che lavorare sia un modo per dimostrare ai propri cari quanto valgono e quanto bene vogliano alle loro famiglie. Quindi, sotto quelle nubi, troverai persone vestite in giacca e cravatta, che indossano abiti seri e per nulla colorati, ma questo non significa che sono individui cattivi o noiosi. Tra quelli ci sarà per esempio Gigi, un commerciante proprietario di un negozio di abbigliamento in via XX Settembre. Gigi è un uomo bellissimo, ha i capelli tutti grigi, lisci, ben ordinati. Ha degli occhi chiari e vivissimi, che trasmettono luce e allegria. Si alza tutti i giorni a quell'ora perché si reca repentino al suo negozio, siccome è convinto che quello sia la sua opera d'arte. Lo pulisce per bene ogni santissima mattina: non senti l'odore del detersivo sul suo parquet?" "No, non sento nulla!", "Prova a chiudere gli occhi, e vedrai che riuscirai." José seguì il mio suggerimento e socchiuse le palpebre. Stette per qualche secondo immobile ed in silenzio, poi notai che arruffò un poco il naso, concentrandosi a più non posso.
"Allora, lo senti? E riesci ad ascoltare i ticchettii delle sue scarpe in pelle che corrono di qua e di là per ordinare le sciarpe o i cappotti?", gli chiesi, e divertito continuai: "Sono sicuro che un ometto come te ha un udito ed un olfatto così sviluppati da riuscire a percepire tutto ciò.. allora?" "Sì, in effetti sento un pochino ora, ma solo un pochino!" "Benissimo, rimani dunque con le palpebre socchiuse: a volte, con gli occhi chiusi, si vede meglio." José portò la mano sinistra davanti agli occhi chiusi, oscurandoli.
"Allora, oltre a Gigi probabilmente udirai anche un tram che si sta fermando proprio adesso alla stazione. Riesci ad intuire se la prima persona a scendervi sia un uomo o una donna? Dal rumore dei suoi passi lo capisci, ne sono certo." "Sì, è sicuramente una donna!" "Bravissimo Josè", gli urlai, spaventandolo un pochino. "E dunque? Chi è quella donna?", mi chiese il bambinetto richiudendo subito gli occhi riaperti pocanzi per lo spavento. "È una bella signora di 52 anni. Si chiama Cristiana, e si sta direzionando al bar Nessi." "Perché va al bar?" "Perché sa che tra poche decine di minuti sua figlia Chiara sarà a scuola, e siccome la scuola dista pochi metri dal suo ufficio, ogni mattina Cristiana porta nella classe di Chiara una brioche alla crema. Ora infatti l'ha appena comprata, la senti? Mmm che profumino!" "Si, pare proprio squisita!" "Puoi dirlo forte, caro mio." "MI PARE PROPRIO SQUISITA", urlò il piccolo. "Non intendevo in quel senso." José riuscì a stento a soffocare una risata, risata che con estrema naturalezza convertì in un magico e dolce sorriso.
"Dai, adesso proseguiamo prima che sia troppo tardi", lo incitai, "La giornata non è ancora cominciata e tutta la città sta facendo gli ultimi sbadigli prima di risvegliarsi. Odi il suono di queste ruote invece? Sono quelle di una bicicletta. È la bicicletta della professoressa Tiziana. Insegna scienze al Liceo, e oggi è un giorno speciale perché rientra finalmente a scuola una sua alunna appena guarita da una brutta malattia, e così la professoressa sta arrivando al lavoro con tutto quell'anticipo per scrivere su ogni lavagna della scuola 'Bentornata Marilina'." José si emozionò, e poggiò delicatamente la sua nuca sulla mia spalla.
"Da quel liceo", continuai, "se prosegui sempre dritto nella direzione opposta a quella da cui sta arrivando la professoressa Tiziana, arriverai in Porta Nuova. Da lì inizia una strada in salita. Dopo qualche tornante immerso nelle nubi, l'aria si fa più rarefatta e il grigio perde un po' di consistenza. Sempre in quella direzione c'è porta sant'Alessandro, la riconosci perché quando è attraversata dalle macchine si scatena al suo interno uno strano rimbombo. Una di quelle macchine è la station wagon di mio papà, che tutto profumato ed incravattato si sta dirigendo verso Varese, o Como, o Lecco. Sta andando da importanti clienti - lui fa il rappresentante di commercio- e mi ha appena scritto su what's app: 'Buongiorno Michi e buona giornata'." "Ma non si può usare il cellulare mentre si guida!", mi interruppe José. "Hai ragione, non si può. Ma lui lo fa lo stesso. È infatti sempre al lavoro, ma ha costantemente la testa altrove: pensa in continuazione a me, a mia sorella, a mia nonna, al suo cane e a tutto ciò che lo rende felice, anche se non ce lo dice mai perché vuole fare la figura del lavoratore incallito, che non stacca mai dai suoi affari, ma è palese che quella è solo una maschera. Comunque, più sali in alto e meno il grigiore è denso. Vedi infatti qua?", chiesi al mio piccolo compagno di viaggio indicandogli la casa in primissimo piano, a sinistra della fotografia. Josè aprì gli occhiolini stanchi, ed annuì. "Quella è casa di Kevin, un ragazzino che ha circa la tua età, e che evidentemente sta ancora dormendo. Come vedi, infatti, tutte le luci domestiche sono spente. Quella casa, per fortuna, al momento non è invasa dalle nubi, a differenza di quelle in secondo piano. Riesci infatti a notare quel corridoio di costruzioni abbastanza basse che percorre tutto il lato sinistro della foto? Tra quelle viuzze o sei del posto o ti perdi, con quelle nubi così basse. Mi piace molto quel corridoietto di casette, mi pare quasi di poterlo accarezzare. Ne percepisco la ruvida skyline dei tetti, che al tatto sembra quella delle grattugie, o quella dei muri che si costruivano anni fa, quelli che se involontariamente ci sfreghi sopra un ginocchio te lo sbucci tutto. Hai presente?"
José non mi rispose. Probabilmente era troppo piccolo per ricordarsi simili pareti. E probabilmente io ero troppo preso dall'evocazione di simili ricordi per accorgermi che ormai il mio piccolo amico si stava addormentando. "Mi spiace tanto che non si sappia apprezzare la mia città. Bergamo è infatti come.." avrei voluto dirgli che è come una tradizionale donna del nord Italia, che pare ad un primo sguardo tanto pia e composta, ma che in realtà nasconde sotto i suoi veli le forme più magnifiche, ma mi resi conto che, data la tenera età del mio quasi dormiente interlocutore, il piccolo José non avrebbe potuto apprezzare la metafora. Quasi dormiente, non dormiente. Il ragazzino era infatti ancora abbastanza sveglio e lucido da completare lui la frase che avevo appena lasciata a metà: "Come le stelle quando fa nuvolo.." "Come le stelle quando fa nuvolo?", gli chiesi. "Si, perché quando ci sono tante nuvole pare che le stelle non esistano più, ma in realtà ci sono, e se scruti bene il cielo scorgi il loro luccichio." "Bravissimo Josè, hai perfettamente afferrato il concetto: Bergamo è proprio come le stelle quando fa nuvolo!" "Ma tu,invece, che ci facevi già sveglio alle 6 del mattino con tutte quelle nuvole basse?" , mi chiese sbadigliando. Guardai felice il mio piccolo amico. Gli carezzai delicatamente la nuca, i boccoli neri ed infine le palpebre, ormai chiuse e pesanti. "In realtà non ero già sveglio, caro José, bensì ancora sveglio. Stavo contemplando la notte che se ne andava, portando via con sé il suo fecondo silenzio. Guardavo alla coltre di nubi che pian piano pareva penetrare nel terreno, lasciando spazio alla frenesia dell'imminente giornata lavorativa. Osservavo quella coperta grigia che lentamente svelava i suoi nascondigli. Scrutavo l'ultimo sbadiglio della città, assaporando la quiete che precede i moti del risveglio.." Spensi anche io lo sguardo.
Qualche ora dopo il trambusto delle rotaie mi destò dal sonno. A fatica riaprii gli occhi e subito mi accorsi con gran stupore che di José e famiglia non c'era più traccia. Reggevo ancora tra le mani il tablet, ormai annerito dalla mancanza di batteria. Come mai José se ne era andato senza salutarmi? E perché i sedili dinnanzi a me parevano tanto puliti e ordinati da sembrare nuovi? Poteva essere che avessi sognato tutto? Mi grattai la nuca, alquanto confuso. Ma ancor più che confuso mi sentivo triste, profondamente triste: avrei voluto salutare José, e dargli un abbraccio.
Arrivai addirittura a pensare che se il dialogo che avevo tenuto con il piccoletto fosse accaduto soltanto in sogno mi sarei sentito ancora più abbattuto e desolato. "La mia mente deve essere molto, ma molto annebbiata dal sonno per trascinarmi in simili riflessioni", pensai un po' rassegnato tra me e me.
Subito, però, scoppiai in una grossa risata: mi resi infatti conto che non avevo alcun motivo per essere giù di morale e notai che non sarebbe cambiato nulla se José fosse stato frutto di un sogno o reale. Ciò che importava era che di lui non vi era più alcuna traccia fisica. Ma il mondo, fortunatamente, non è solo un ammasso di materia, e accanto alla fisica esiste anche la magia. E così realizzai che da quel momento in poi il piccolo José sarebbe stato per me in tutto simile alla mia città. Ovvero come le stelle, come le stelle quando fa nuvolo.