IL poeta gallese

(Guillaume Gianluca)


Aveva ingannato tutti: genitori, amici, perfino i medici che, trovando nebulosa la sua diagnosi, gli prescrivevano vitamine d’ogni genere, integratori, pappe reali e altre improbabili panacee. Diceva perpetuamente di essere stanco, assonnato, e la sua corporatura estremamente esile rafforzava ancor più le sue lamentele. Pietro sapeva bene di essere sano e la menzogna giornaliera non gli pesava. Aveva perso almeno dieci posti di lavoro per questa mistificazione, e a trentuno anni viveva ancora sotto il tetto paterno, per nulla intenzionato a ottenere quell’indipendenza economica obbligatoria per recidere il cordone ombelicale e camminare da solo. Tra l’indennità di disoccupazione e le varie liquidazioni percepite negli anni, poteva permettersi di passare un anno a oziare, a procrastinare, a fantasticare. Quanto amava perdersi nel suo limbo, passeggiare tra i chiaroscuri della sua immaginazione, immergersi nell’assurdo per arrivare a conclusioni ardite. Sicuramente innata era la sua pigrizia, eppure fu determinante la lettura di una biografia riguardante un poeta gallese vissuto nella prima metà del secolo “breve”, che visse alle spalle della gente amata lasciando ai posteri poesie esplosive e incantevoli, e una massima impressa a fuoco nella mente di Pietro: “Vorrei essere poeta e vivere di astuzia e birra”. Divenne un mantra per Pietro. L’immedesimazione fu totale; e finì che un anno divenne due , poi tre , poi fu così fino alla fine dei suoi giorni. Poche poesie furono scritte; pochi scossoni ebbe la sua esistenza; placidi e monotoni furono i suoi lustri. Canuto e solo, Pietro perse poco per volta interesse alla composizione lirica privilegiando la lettura di gialli, di romanzi picareschi e il ritratto disimpegnato del suo gatto fu la sua ultima manifestazione in campo artistico. Il suo cuore era ormai colmo di tedio, di malinconia, di frustrazione, di tutti quei sentimenti che sono linfa vitale dell’accidia. Pochi artisti compresero profondamente l’angoscia derivante dalla noia, dall’ozio che divora dentro lentamente, senza posa e senza dolore, inesorabilmente. E lui non era certo uno di questi. Non si accorse di nulla, e come nulla svanì, silenziosamente.