In Crimea già al tempo dei Romani
Le testimonianze più antiche della presenza nella penisola di Crimea di persone provenienti dal territorio dell’attuale Italia sono affidate a diversi ritrovamenti archeologici che ci riportano al II secolo d.C. allorché i Romani avevano imposto il loro protettorato, mantenendo il controllo delle coste.
I Veneziani, a loro volta, mille anni dopo, e approfittando della conquista di Costantinopoli da parte dei Crociati, nel 1204 occuparono i porti della Crimea meridionale seguiti dai Genovesi che ottennero l’esclusiva del commercio nel Mar Nero. Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, però, furono gli Ottomani ad accaparrarsi questo privilegio e i Genovesi tornarono in parte in patria, altri vennero catturati e deportati.
Un movimento piuttosto vivace si registrò ancora negli anni 1782-1783, legato a molteplici vicende storiche che interessarono l’Europa e l’Italia: erano prevalentemente originari della Corsica ma anche sardi, genovesi e lucchesi. Si trattò di una presenza effimera, costituita soprattutto da commercianti, sebbene nel 1785 avesse raggiunto la consistenza di diverse centinaia di persone.
La rappresentanza italiana nei secoli
Tuttavia, il più significativo flusso di italiani verso la penisola di Crimea risale ai primi anni del XIX secolo ed è continuato nei decenni successivi, con un incremento consistente a partire dal 1830. Si stabilirono prevalentemente nella città di Kerč’, il cui porto era frequente approdo di navi italiane. Qui, nel 1820, vi abitavano già una trentina di famiglie provenienti da varie regioni – per lo più liguri, piemontesi, sardi, veneti, campani e pugliesi – che potevano contare sull’assistenza dei Consolati del Regno di Sardegna e del Regno delle Due Sicilie. In questi anni si calcola che siano giunte in Crimea almeno 3.000 persone, la maggior parte delle quali vi si fermarono, incoraggiate dalla Russia zarista.
Sia pure in numero inferiore, italiani si erano stabiliti anche nelle città di Feodosia, Simferopoli, Odessa, Mariupol e in alcuni altri centri portuali russi e ucraini del Mar Nero, Novorossijsk e Batumi.
Gli italiani della provincia di Kerč’ al censimento del 1897 costituivano l’1,8% della popolazione, valutabili in circa 900 unità. Nel resto della Crimea ve n’erano quasi 400. Nel 1921, sempre nel territorio di Kerč’, avevano raggiunto quota 2% e nel 1933 l’1,3%. Nel 1939 in tutta la Crimea c’erano soltanto 516 “italiani”, discendenti dei primi giunti nella regione.
Oggi la popolazione degli italiani di Crimea ammonta a circa trecento persone, la maggior parte delle quali risiede a Kerč’, dove nel 2008 è stata costituita l’Associazione “C.E.R.K.I.O.” (Comunità degli Emigrati in Regione di Crimea–Italiani di Origine).
Le “purghe” e la deportazione nei gulag
Gli italiani di Crimea si sono sempre inseriti agevolmente nel tessuto sociale di questa penisola, facendosi apprezzare per i comportamenti costruttivi e le spiccate abilità lavorative. La loro presenza, tuttavia, è stata caratterizzata da eventi drammatici legati alla storia di quella regione.
Già nell’ottobre 1917, in seguito alla rivoluzione bolscevica, la situazione divenne difficile a causa della collettivizzazione che portò all’esproprio di tutti i beni e anche per le carestie che procurarono diffusi lutti nelle famiglie.
Gli eventi più drammatici, però, sono legati alle “purghe” staliniane del 1937-38 e alle deportazioni di massa del gennaio 1942.
Afferma il giornalista Tito Manlio Altomare, autore del documentario “Puglia oltre il Mediterraneo”, che Il dittatore impose ai nostri connazionali di rinunciare alla doppia cittadinanza, privandoli di quella italiana. Furono anche costretti a cambiare cognome: Ragno fu trasformato in Ranjo, Botta in Botto, Mezzina in Mezino e Pergola in Pergol. Quanto alle deportazioni del 1942, si calcola che duemila italiani furono prelevati da Kerč’ e trasferiti in gulag del Kazakistan come ritorsione per l’invasione dell’Unione Sovietica da parte delle truppe tedesche e italiane. Qui furono accolti da temperature fra i 30 e i 40 gradi sotto zero e “ospitati” nel terribile Gulag di Karaganda.
Il rientro a Kerč’
Terminata la guerra, soltanto duecento italiani tornarono a Kerč’, privi di tutto e con la prospettiva di doversi reinventare una vita, costretti a russificare le proprie generalità.
Non hanno ottenuto grandi risultati, sul piano della riabilitazione e della restituzione della dignità civile, i contatti con le autorità del post Unione Sovietica, dal 1991 in poi.
Una sensibilità nuova verso questa superstite comunità italiana sembra essersi palesata sull’onda della crisi tra Russia e Ucraina, dopo il 24 febbraio 2022, anche per merito della già citata Associazione C.E.R.K.I.O.
I pugliesi di Crimea
Tra gli italiani che negli anni dal 1830 al 1870 giunsero a Kerč’, numerosi erano i pugliesi provenienti da Trani, Bisceglie, Molfetta e Bari. Si trattava di agricoltori, pescatori, artigiani e commercianti attratti dalla possibilità di conseguire buoni guadagni e di sfruttare una terra fertile, dal mare pescoso, dal clima mite. Laboriosi e inclini a inserirsi nella realtà locale, conquistarono immediatamente il rispetto e l’amicizia dei crimeani, segnalandosi come la comunità più stimata dell’intero territorio. In un’ondata successiva arrivarono anche professionisti: architetti, ingegneri, avvocati, medici, scrittori e musicisti che contribuirono al fervore e allo sviluppo culturale della città. Impararono ben presto a parlare il russo che intercalavano al dialetto pugliese.
Un rinnovato interesse
Dalla fine degli anni Novanta dello scorso secolo, come già rilevato, è aumentato l’interesse per gli italiani di Crimea. Numerosi studiosi e giornalisti se ne sono occupati con pubblicazioni e articoli di stampa.
Tra le testimonianze giornalistiche, ci paiono significative: quella di Ludina Barzini che nel 2004 scrisse sul “Corriere della Sera”: Non parlano ucraino, solo il russo e poche parole di italiano, conoscono le preghiere, sanno contare, ricordano anche i versi di qualche canzonetta; l’altra, di Margherita Belgiojoso che ha speso in Russia ben dieci anni della sua attività professionale e che sul settimanale «Diario» nel 2005 riportò con riferimento a una signora di origini pugliesi residente in Crimea: Ippolita Vincenzovna Scolarino, settantasei anni, … è l’italianskaija babushka, la nonna italiana della piccola città di Kerc’. … Parlano russo con qualche intercalare di pugliese… L’anziana signora, quando vuole essere capita meglio, infila qualche parola di dialetto. “Assettate!” dice la signora Ippolita per fare accomodare gli ospiti; e poi offre “u’ pan”, “u’ furmagg”, “u ‘ragù”.