Il primo derby Nord-Sud: ma l'arbitro fu onesto?

Il 2 giugno del 1946 l’Italia sceglie di cambiare pagina: il racconto d’un ragazzo del ‘37. 25 milioni di cittadini (gli aventi diritto al voto erano 28 milioni) si recarono alle urne: il risultato fece emergere un’Italia divisa tra Nord e Sud

No, non parlo di calcio, anche se a quel tempo ero “fissato” per il Grande Torino che purtroppo due anni dopo fu coinvolto nella tragedia di Superga. Amavo così tanto il calcio che “fondai” una squadra Gli aquilotti partenope, con tanto di magliette, naturalmente azzurre, di tessere e foto, e della quale ero, ovviamente, presidente, allenatore, capitano e portiere.

Mi allenavo continuamente, talvolta anche fino a mezzanotte, sotto la statua dell’Immacolata a Piazza Gesù Nuovo trasformata, da noi ragazzi, in campo da calcio, con le porte segnate dai cumuletti dei nostri vestiti; ricordo ancora che giocavamo con una “palla di pezza”.
Quante sfide con quelli di Santa Chiara, di San Sebastiano, di San Domenico Maggiore che, nonostante i miei duri allenamenti notturni, mi infilavano puntualmente non meno di dieci volte a partita!

Il “derby” al quale mi riferisco è in realtà il Referendum istituzionale tra Repubblica e Monarchia del ’46, che spaccò l’Italia in due, proprio come avviene oggi quando due tifoserie opposte si lanciano reciproche accuse e si lamentano dei favori o meno degli arbitri.
A quel tempo, dopo quarantasei anni di regno, Vittorio Emanuele III, nell’estremo tentativo di salvare Casa Savoia, troppo coinvolta nel ventennio fascista con la guerra fortemente voluta da Mussolini e le leggi razziali del ’38, abdicò il 9 maggio del ’46 a favore del figlio Umberto.
Pochi giorni dopo, il 2 giugno, agli italiani viene chiesto, con un referendum, di scegliere tra monarchia e repubblica. Con il nord prevalentemente a favore della repubblica e il sud, in particolare Napoli, a favore dei Savoia, l’esito che ne scaturì fu la sconfitta della monarchia per meno di 2 milioni di voti.

Apparentemente tutto regolare.
L’aver escluso tuttavia dal conteggio del quorum più di un milione e mezzo di schede nulle, fece gridare ai brogli i monarchici.
Per circa 250 mila voti, la bilancia fu a favore della repubblica: un’inezia, tenuto conto che i votanti furono oltre 25 milioni.
Ah, Giambattì, Giambattì, cumme tenive raggione! La storia nei suoi corsi e ricorsi presenta sempre il conto! I dubbi sul Referendum del ’46, fanno il paio con quello del Plebiscito del 1860 sull’Unità d’Italia, che allora fu a favore dei Savoia, sempre grazie ad un “arbitro” che seppe ben mescolare le carte. A Napoli, la votazione sull’annessione al Regno d’Italia fu una vera e propria farsa grazie a gente di malaffare che presidiava i seggi e teneva d’occhio i votanti che dovevano esprimersi in modo palese con un “SI” o con un “NO”. E guai a far capire di aver votato contro l’annessione.


Ma torniamo al ’46. Fu l’allora ministro degli Interni, Giuseppe Romita, a risolvere la questione Repubblica o Monarchia.
Quando Alcide De Gasperi annunciò che ormai i monarchici erano in maggioranza e che riteneva difficile un ribaltamento del responso, tirò “fuori dal cassetto”, nella notte tra il 5 e 6 giugno, un milione di voti provenienti dalle urne del settentrione e che, astutamente, per disincentivare i pigri elettori del sud, non aveva comunicato.
La situazione si volse a favore dei repubblicani.
Napoli, con circa 700 mila voti a favore, contro 200 mila contrari, si era confermata prevalentemente monarchica, come del resto era tutta la mia famiglia. Io stesso, che avevo nove anni e naturalmente non potevo votare, partecipai “di pancia” al referendum.
Guardavo come un estraneo e traditore chi si diceva repubblicano, e m’arrabbiavo con lui, anche se era un adulto.
Accolsi piangendo alla radio la notizia che la monarchia era stata sconfitta per colpa dei settentrionali e che re Umberto era partito per l’esilio dopo appena un mese dall’abdicazione di suo padre.
L’Italia era ora una Repubblica, un termine di cui non conoscevo bene neanche il significato. Le stesse sensazioni provai poi nel ’48 alle prime elezioni in cui si scontrarono i democristiani e i comunisti di Stalin. Avevo 11 anni e vissi con paura l’eventualità, come dicevano i comizi comunisti, che potesse venire “Baffone”. Ed evidentemente non sbagliavo ad essere preoccupato se ancora oggi, per i fini di una assurda propaganda politica, c’è chi predica un comunismo “mangia bambini”!

Posted

21 Oct 2020

Storia e cultura


Vittorio Fabbricatti



Foto dal web





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