Il richiamo

Un romanzo di Maria Teresa Infante sull’accettazione, sulla essenza delle cose, sulle scelte di vita che nell’incalzare della trama si offre come testimonianza di una condizione antropologica, allargata dal Tavoliere delle Puglie al Mediterraneo

L’Autrice è dotata di una grande, genotipica ambizione che, finora, non si è manifestata all’apogeo delle proprie potenzialità, in quanto frenata soprattutto da fattori esterni.
Maria Teresa dovrebbe adottare un po’ più di sano cinismo e lucido calcolo, onde catalizzare il suo comunque “inarrestabile crescendo”! Dovrebbe ascoltare “Il richiamo”. Il richiamo della foresta è il titolo di un noto romanzo di Jack London (in ingl. The call of the wild, 1903), divenuto proverbiale per indicare l’insorgere del primitivo istinto selvaggio nell’animale che si sia per qualche tempo accostato alla civiltà e all’uomo, e per traslato, la prepotente nostalgia che può sentire una persona di tornare a un modo di vita più libero e naturale.




Ed è in questo traslato, in questa prepotente nostalgia che si può ipotizzare la scelta del titolo del romanzo Il richiamo, ovvero dall’istanza subliminale, ma ormai incoercibile, di un modo di vita più libera e naturale. Un alleggerimento, se non addirittura una dissipazione, delle sovrastrutture. Instauratio facienda est ab imis fundamentis! Faber est suae quisque fortunae! Lei stessa afferma:

“Se ho un viaggio nel cassetto? Non uno, ma mille, meglio abbondare. Alcuni li ho intrapresi da tempo e non so ancora dove mi porteranno; in fondo l’importante è partire; alcuni si sono arenati e chissà, ma difficilmente mi volto indietro. Credo che ciò che non è stato non lo sarà mai. Inoltre non ho un posto particolare che desideri visitare; mi sento a casa in ogni luogo”.

C’è un quid nichilista in “Credo che ciò che non è stato non lo sarà mai”, che sembra stridere con “in fondo l’importante è partire” e con l’universale più immanente de Il richiamo. Perché, dunque, non compiacere, non lasciare più spazio a questo catartico, pitagorico-platonico, odeporico anelito!? Il destino è il croupier, noi i giocatori!?
Patente e vibrante è in lei il manicheismo partire-restare, con un’asimmetria a favore del secondo corno del dilemma. Per ora “Il richiamo” è il Tavoliere! Il Suo Tavoliere! La Sua Terra! Nella simbologia onirica la “terra” assume diverse e variegate connotazioni. Un periodo di forte stress, di un segreto celato, la fine di un ciclo. Forte carica di energia e voglia di fare. Sicurezza e stabilità, ma soprattutto voglia d’intraprendere nuove strade, nuovi inizi e nuovi progetti, un nuovo percorso di vita.

Passione, energia, amore. Un periodo nel quale ci si sente pieni d’idee e pieni di sentimenti che non vedono l’ora di uscire fuori. La dura fatica per ottenere qualcosa nell’ambito del lavoro, dell’amore o della vita in generale, con sudore e tenacia, in attesa dei frutti. Uno stato primordiale e istintivo, il non riuscire a esprimere i propri reali sentimenti e istinti nella vita di tutti i giorni, presumibilmente costretti a comprimere ciò che si è realmente e il bisogno di conservare il tutto “sotto terra”.
La Terra di Maria Teresa è il Suo Sud, compendiabile, come chiaramente si evince dal romanzo Il richiamo, nelle sinestesie cromatiche e olfattive del Suo Tavoliere, che esplodono in ogni singola parola, mentre gradualmente ci si immerge, ci si identifica nella dimensione dei personaggi, dei luoghi, inducendo un’inderogabile analisi della soggettività umana e folklorica.





La Letteratura che la Nostra consacra alla Sua Terra è pura, istintiva, diretta, senza contorsioni. Il richiamo è icastico messaggio d’amore, di cor unum con il Suo Tavoliere, fantasmagorico caleidoscopio di realtà montane e marine, di policrome realtà agresti, di antiche attività rurali in cammino, chissà, verso struggenti evanescenze. Il romanzo induce a speculazioni umane e psicologiche ed è volano di crescita culturale, segnatamente in ambito di scienze sociali, per quel che concerne l’originalità del Tavoliere e del suo preziosissimo scrigno storico-artistico. In questo romanzo c’è l’universale del Sud che passionalmente narra se stesso!
L’Ars Scriben di Maria Teresa è estetizzante, souple. Il suo magistero descrittivo fa vibrare tutti gli elementi musaici del suo romanzo, attingendo dalla sua inesauribile Fonte Castalia, pittorescamente reificandone i messaggi. Il richiamo è intarsiato di contrastanti sentimenti. Il richiamo della terra di origine, manicheo all’istanza della partenza. Oppure altre, semplici e soggettive, tensioni esistenzialiste. Maria Teresa finemente minia un mundus minor, bilico di archetipiche fralezze e nel contempo dinamo di redenzione, di emancipazione, d’incoercibile anelito di poter dogmatizzare “cogito, ergo sum”, inderogabile postulato per recitare la magna pars della propria vita. La sua sensibilità, con cristallino fluire, conduce per mano il lettore, tra gli iridescenti meandri di un policromo universo di sentimenti e di umane vicende, fino a fargli sinesteticamente vedere, toccare, i personaggi e i luoghi, in un mai scisso, bensì ibrido, orfico alone di poesia. Il Richiamo è un invito ad amare.

Posted

14 May 2022

Critica letteraria


Mauro Pietro Montacchiesi



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