Breve viaggio fasanese tra carri e carrozze. Una figura d’altri tempi: il cocchiere

Il conduttore di carrozza è una figura scomparsa con l'avvento dell'automobile. Generalmente il cocchiere (u cucchiere) veniva chiamato dalle persone prive di mezzo di trasporto, per essere condotti alla stazione o al cimitero

Leggendo sui social ho appreso che tempo fa nel Museo di Catanzaro si era salvata dal rogo una carrozza, rimasta intatta, proprio quella del famoso film Via col vento ispirato ad uno dei best sellers della letteratura mondiale.
Incuriosita sia dalla notizia che dalla figura del vecchio cocchiere in cassetta, argomento di questa ricerca, ho cercato di documentarmi. Dopo essermi aggirata in lungo e in largo mi sono imbattuta ne Il mastro di casa, opera concernente il modo di governare le case dei Grandi, di tale Francesco Liberati, risalente nientemeno che al lontano 1658.


Fra le figure descritte minuziosamente che gravitavano all’interno delle corti vi è il cocchiero addetto alla gestione delle scuderie. Pare anzi che ve ne fossero due. “Il primo non era tenuto a governare alcun cavallo ma aveva cura dei legni e fornimenti vari. Il secondo doveva governare i due cavalli della carrozza, ripulendoli dal fango e dalla polvere. Sempre provvisto di chiodi, corde, spaghi ed altro interveniva per riparare a eventuali inizi di rottura e schiodatura. Ogni mese doveva ungere le ruote, controllare sempre la qualità del nutrimento, che il fieno fosse buono, la paglia, e soprattutto che mangiassero in sua presenza, poiché tra le galline e i cavalli nasceva inimicizia per accaparrarsi la biada o l’orzo”.
Sull’entità del salario avrei reperito una testimonianza storica resa nientemeno nel 1860 da un tale Giovanni Carotenuto, antico cocchiere di casa Borbone. Condusse in carrozza Francesco secondo figlio di Ferdinando durante la sua fuga da Capua, in seguito alla battaglia del Volturno. Ebbene il suddetto Carotenuto, da casa Borbone percepiva un salario mensile di lire trentacinque.

Vestendo i panni di una donna aristocratica del passato mi sarebbe piaciuto girare in carrozza per il centro di Roma, nell’epoca in cui in assenza di motorizzazione se ne potevano ammirare le ineguagliabili bellezze architettoniche. Ma rientrando nella mia realtà socio/geografica mi sono chiesta se anche a Fasano abbiamo avuto i così detti cucchjire a servizio presso la nobiltà locale o le antiche masserie. Ed eccomi qua a narrare quanto appreso da coloro che hanno reso testimonianza.

Un tale Nicola Saponaro (1878/1972), nato in Carovigno e residente in Pezze di Greco, si era unito in matrimonio con Michela Tagliente, originaria di Locorotondo che diede alla luce ben 7 figli, cinque femmine e due maschi. Egli prestò servizio come cocchiere presso la masseria du tënente ubicata verso Pozzo Faceto.
Proprio lì in una modesta casa affiancata al noto Santuario della Madonna del Pozzo un’esile vecchietta quasi centenaria, Rosa Zizzi, se la ricorda ancora quella vecchia masseria. Notizie più dettagliate mi sono state poi fornite dal signor Giovanni Petruzzi, del frantoio di Pozzo Faceto, produttore di olio che, in mancanza di foto della struttura non reperite cosi ha narrato “Prima dell’anno 2000 la masseria è appartenuta a tali Motolese, nobile famiglia di Grottaglie, i cui avi pare fossero imparentati con una fasanese. Dal 1930 è stata affittata dal mio omonimo nonno, Giovanni Petruzzi il quale lì ha cresciuto i suoi nove figli. Alla sua scomparsa la struttura è passata ai figli che l’hanno lasciata negli anni Ottanta pur restando ad amministrarla per il nuovo proprietario, Maurizio Zamparini, imprenditore udinese e magnate del mondo calcistico, scomparso di recente.
“Al piano superiore la masseria comprendeva due comode abitazioni con stupendi balconi, al piano terra vi erano locali di deposito per cereali, paglia, pomodori appesi e per la produzione di prodotti caseari con il latte autoprodotto. Dal lato mare, di fianco e dietro la masseria vi erano le stalle e il ricovero delle pecore. Dal lato monti disponeva di una grande cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, un forno a legna e un frantoio ipogeo all’interno di una grotta, rimasto in funzione fino agli anni Settanta. All’epoca, dovendo trasferirci per la produzione di olio a Pozzo Faceto, dovemmo ivi traslocare parte degli impianti tecnologicamente validi.”
Ma torniamo all’antica figura del cocchiere. Abitando Nicola Saponaro, detto u carvëgnule in Pezze di Greco, il tragitto per recarsi in masseria e quello per rientrare a casa veniva da lui battuto a piedi. Durante il percorso raccoglieva tutti i pezzetti di legno nei quali si imbatteva e che gli sembravano utili per ricavane una bella fiamma nel focolare di casa dove, appeso alla camastre cioè il gancio per appendere, penzolava u pulzënette, il calderotto capiente che veniva utilizzato per vari usi domestici.
In masseria Nicola Saponaro era un vero factotum, dove serviva una mano interveniva. Col mutare delle stagioni arava di volta in volta i terreni circostanti e se il lavoro era tanto vi trascorreva la notte.
Si può dire che il cocchiere è stato l’antenato del moderno autista o tassista. Dovendo uscire per una passeggiata o per altre incombenze da sbrigare, gli aristocratici in genere o i tenutari di quella specifica masseria menzionata fissavano l’appuntamento e per l’ora stabilita il cocchiere era già seduto in cassetta per farli accomodare. Erano suoi doveri tenere in ordine e lucida la carrozza o governare i cavalli nella scuderia.
Una volta raggiunta l’età della pensione il buon Nicola conduceva vita molto semplice tra la casa e l’unico bar dove si concedeva un bicchiere di vino con gli amici, rituale ricorrente anche in casa delle figlie che saggiamente lo allungavano con acqua. Teniamo presente che Nicola Saponaro è venuto a mancare a novantaquattro anni suonati. Mentre la figlia mesceva egli assumeva un’espressione del viso tra il gaudente e il soddisfatto e vuotato il bicchiere, ricorrendo al suo dialetto di Carovigno così apostrofava: Padre, fighhie i spirete ‘ssante, ce me ne dè n’alte, fazze sessante! (Padre, Figlio e Spirito Santo, se me dai un altro faccio Sessanta!)
Aveva sicuramente improntato lo stile di vita alla sobrietà e alla parsimonia per cui teneva molto ai suoi risparmi accumulati con sacrificio. Dormiva con la camiciola sotto il cuscino e uscendo di casa dopo la pennichella pomeridiana controllava jinte i palducce da cammëise (nelle tasche della camicia), se le monete fossero tutte al loro posto.
Parlando di Cavalli e di mezzi di trasporto a trazione animale non si può non accennare ai fratelli fasanesi, peraltro gemelli, Carlo e Achille Schiavone. Personalmente ho voluto incontrare Rosa, lucida novantenne, ultima figlia vivente di Carlo Schiavone la quale, dopo un’iniziale ritrosia a raccontare, ha confermato delle stalle paterne con i cavalli, ubicate in via F.lli Cervi dove abitavano e delle rimesse in via Paternò, deposito di calessi, sciarrette, sciarabballe e dei più consueti brek.
Da altre fonti orali, ho appreso che a quei tempi le carrozze, a Fasano, non trasportavano solo viventi ma erano utilizzate anche per i funerali. E qui la stessa Rosa Schiavone mi ha confermato. Suo padre Carlo talvolta se ne occupava, tuttavia egli era principalmente spedizioniere e, per commerciare vari prodotti, utilizzava soprattutto i brek.

Per la realizzazione di questi mezzi i trasportatori locali a chi si rivolgevano? Qui mi è giunta risposta dall’ingegnere Giuseppe Caramia, figlio di Tommaso Caramia, valente artigiano che realizzava con maestria vari tipi di carrozze compresa la più diffusa sciarrette. Egli ha inoltre aggiunto un dettaglio che mi ha colpito.
Per i funerali dedicati ai bambini il padre Tommaso, realizzava carrozze di dimensioni ridotte per il cocchiere, il padre del deceduto e per la piccola bara.
Ed ora torniamo alla Fasano nella quale circolavano i brek. Era facile che a quei tempi gli operosi viaggiatori diventassero un po’ gelosi del proprio mestiere e commercio rivaleggiando tra loro. Voglio rievocare tra i diversi personaggi Giuseppe De Leonardis, detto re centesëme.
Lorenzo De Leonardis, vigile urbano fasanese, mi raccontava che il suo bisnonno Giuseppe aveva una rimessa con cavalli sotto il palazzo Albano con ingresso da via Mogavero. Così come i suddetti fratelli Schiavone anch’egli commerciava trasportando diverse mercanzie nei luoghi viciniori. Ancor giovanissimo, aveva sin da subito mostrato attitudine e una grande voglia di guidare i mezzi di trasporto allora disponibili.

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04 Nov 2022

Storia e cultura


Onia Angiulli



Foto di Onia Angiuli





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