Il tempo del male

Il rammarico per le vicende riguardanti la sfera personale ed in particolare collettiva, in questo spazio temporale, che è Storia, ha dato corpo ad una narrazione di ordine esistenziale e intrapsichico, maturando nell’Autrice Nunzia Binetti la scelta del titolo

Come nell’epifania conclusiva tra tutte quelle che si manifestano in Dubliners di James Joyce, dunque nel racconto I morti, il nulla accerchia tutti, bianco; cade come neve e, nella raccolta di >strong>Nunzia Binetti>/strong> Il tempo del male (Terra d’ulivi edizioni, Lecce 2019), esso è “egotica tendenza al non pensiero” – l’endecasillabo perfetto si addice perfettamente, quasi a passo di danza, a questa definizione. Il nulla si manifesta in quell’intervallo di “perfezione ardita”, quale si rivela essere la solitudine. Questa è non solo condizione oggettiva, vale a dire un semplice dato di fatto per chi la vive e la attraversa, bensì anche un momento perseguito intenzionalmente, con chiara e netta autocoscienza e con la deliberata ricerca del silenzio, là dove il tempo si distende.


La deliberata ricerca del silenzio è a sua volta animata da due correnti principali: la prima va nel senso della sottrazione alle mode e alle etichette, della presa di distanza da teorie e da ‘massimi sistemi’, verso quella che l’autrice, nella Nota che conclude il volume, chiama “poetica pura, lirica e antistorica”; la seconda è tenace ribellione, da un lato alla corsa irrefrenabile del tempo, che nella prodigiosa sospensione “quasi per miracolo s’allunga”, dall’altro all’epoca in cui trascorre l’esistenza dell’io lirico, epoca vissuta, come recita il titolo della raccolta, come “il tempo del male”.
Si chiarisce allora che la definizione “antistorica” indicata da Nunzia Binetti per la propria poetica, non è indizio di fuga dall’esistente né, tanto meno, di una sua negazione. Prova ne sono non soltanto i componimenti dedicati alle vittime, attestate dalla storia contemporanea e travolte dal “tempo del male” – “Volevo starmene tra belle note e l’indaco”, componimento a p. 11 dedicato a Valeria Solesin, tra le vittime della strage del Bataclan; Migranti a p. 17; Alberi a p. 22, poesia dedicata a Fabiano Antoniani (Dj Fabo), Madre viva a p. 25 , ma anche tutte le tracce di ricordi, testimonianze ed esperienze vissute che vanno sempre ben oltre la dimensione meramente autobiografica e che, espresse in una forma alla quale la contezza delle voci che hanno preceduto storicamente, almeno a partire dal mito greco, ha conferito una efficace asciuttezza (significativi sono i versi di Camillo Sbarbaro posti in esergo nella I sezione del libro: Nel deserto/ io guardo con asciutti occhi me stesso), raggiungono una dimensione universale proprio attraversando una ‘storia delle voci’ che è stata ben interiorizzata.

Il tempo, vissuto e percepito, il tempo disteso e “il tempo prorogato”, per ricorrere al titolo di una nota poesia di Ingeborg Bachmann, il tempo inventato e il tempo sospeso, il tempo, in sintesi, nelle sue mutevoli varianti, dialoga in maniera originale con il battito cardiaco di un io lirico, con la cadenza di una voce poetica che si appassiona e patisce, che acutamente avvertono, battito e cadenza, la prossimità di “pathos” e di “pazienza”, che sanno come Eros e Thanatos, nel loro perdurante intreccio, non possano sfuggire al sentimento del tempo, quale esso sia. A tale proposito occorre ricordare l’articolazione della raccolta, che consta di due parti, una prima sezione intitolata Il tempo del male e una seconda sezione che reca il titolo Variazioni sul tema (Eros o Thanatos?) .





La cifra stilistica che ne risulta ha tratti ragguardevoli, tra i quali vanno menzionati la capacità di far palpitare l’urlo trattenuto e la presenza vivida dei colori, questi ultimi dotati di un portato simbolico tutt’altro che banale e protagonisti in diverse tonalità e in contesti molteplici: il carminio (p. 7), il Blu China (p. 8), il rosso-sangue (p. 11), il bianco niveo (p. 12), il verdenero (p. 15), il viola (p. 17), l’azzurro, il grigio, il giallo maturo (tutti e tre a p. 34), il rosso dei capelli a p. 60.
Della poesia autentica, la raccolta Il tempo del male di Nunzia Binetti ha, oltre a quanto messo in rilievo in precedenza, la veridicità sonante delle domande e la coscienza che le risposte non potranno mai essere risolutive o salvifiche. Sta alla sua autenticità, all’autenticità della poesia, rinnovare, nel suo articolare il tono, la ricerca: Così elevo il tono, cerco l’osso (p. 58).

Posted

22 Jan 2023

Critica letteraria


Anna Maria Curci



Foto di Nunzia Binetti





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