Il naufragio del transatlantico Principessa Mafalda

Vanto della tradizione e della creatività italiane

Storie di navi e di emigrazione
Storie di mare, storie finite tragicamente e non sempre assurte a una diffusa conoscenza come accaduto, invece, ai transatlantici Titanic (britannico) e Andrea Doria (italiano), rispettivamente negli anni 1912 e 1956, rimasti permanentemente impressi nell’immaginario collettivo planetario.




Nell’oblio pressoché totale sono incappati i drammatici eventi che hanno coinvolto la nave britannica Utopia (1891), e quelli ancora precedenti, tutti legati alla prima, intensa fase dell’emigrazione italiana diretta al continente americano, sviluppatasi negli ultimi decenni dell’Ottocento. Stessa sorte per il disastro più grave nella storia della Marina italiana che ha coinvolto il transatlantico Principessa Mafalda, tristemente ridefinito il “Titanic italiano” in seguito al tragico naufragio. Era il 25 ottobre 1927.

Grande lusso e un design all’avanguardia
Anche questa imbarcazione era funzionale all’ancora intenso flusso migratorio verso il Nuovo Continente – eravamo già all’inizio del XX secolo –, concepita secondo uno stile decisamente moderno, potendo esibire un comfort rivoluzionario per l’epoca: l'allestimento di gran lusso era stato realizzato dallo studio del designer italo-francese Vittorio Ducrot e proponeva un salone delle feste e altri ambienti alle cui pareti facevano bella mostra opere di artisti illustri create per questa specifica destinazione. La prima classe si distingueva per possedere anche una sala per la musica con pianoforte a coda, un jardin d'hiver, un fumoir, un ristorante, una sala da gioco, vari salotti e cabine con servizi interni.

Un progetto per fronteggiare la concorrenza
La decisione di mettere in cantiere il Principessa Mafalda discendeva dalla necessità di fronteggiare la concorrenza delle Marine degli altri Paesi – in particolare delle Compagnie navali inglesi – sulle rotte verso il continente americano, puntando sulla creatività, l’eleganza e la capacità costruttiva italiane. Per di più si ravvisò l’esigenza di affiancare al Mafalda un transatlantico gemello, il Principessa Jolanda. A entrambi fu imposto il nome delle prime due figlie del re d’Italia Vittorio Emanuele III.
Le due navi furono commissionate nel 1904 al Cantiere di Riva Trigoso (Sestri Levante) dalla Compagnia Lloyd Italiano di proprietà della famiglia dell’ingegnere e senatore Erasmo Piaggio. Avrebbero collegato l'America del Nord e l'America del Sud contribuendo a incrementare il prestigio della flotta italiana, forti del primato di essere le più grandi navi sino ad allora costruite per una Compagnia di navigazione del nostro Paese.

Il tragico destino del Principessa Jolanda
Il 22 settembre 1907 era il giorno fissato per il varo del Principessa Jolanda, preceduto da una capillare campagna pubblicitaria tesa a dare visibilità all’avvenimento.
L’imprevisto era in agguato: pochi minuti dopo il varo, nello specchio marino antistante il cantiere di Riva Trigoso, la nave si inclinò a babordo e scivolò in acqua tra lo sconcerto delle autorità e delle numerose persone intervenute per assistere all’evento, affondando in pochi minuti, adagiandosi sul fondo dell’oceano.

Le cause di un esito così nefasto vennero individuate nel cedimento dell’avanscalo (la parte smontabile e sommersa dello scalo su cui si varano le navi), nel baricentro troppo alto della nave per mancanza di zavorra, nel mancato montaggio dei finestroni laterali.
Superato lo sgomento per l’inaspettata fine del Principessa Jolanda, si fecero largo perplessità e dubbi sulla riuscita del varo della gemella Principessa Mafalda che, però, avvenne regolarmente nel mese di ottobre del 1908.

Una onorata carriera
Il viaggio inaugurale - partenza dal porto di Genova il 20 marzo 1909 con destinazione Buenos Aires – fu onorato dalla presenza a bordo del duca Emanuele Filiberto d’Aosta che ebbe modo di elogiare le peculiarità tecniche e il grande sfarzo del piroscafo.
Negli anni successivi, e fino al 1914, il Principessa Mafalda continuò a frequentare la stessa rotta, per poi essere impiegato sul percorso Genova-New York. Nel 1915 venne requisita dalla Regia Marina e adibita come alloggio ufficiali nel porto di Taranto.
Al termine del conflitto mondiale, riconquistò il ruolo di ammiraglia della flotta italiana sulla rotta per New York. Nel 1922, in seguito al varo del Giulio Cesare, riprese a navigare in direzione dell’America del Sud.

L’ultima partenza
Sarebbe stato comunque l’ultimo viaggio del Principessa Mafalda. Il piroscafo italiano era in attività ormai da 18 anni, facendo la spola tra i porti del nostro Paese e quelli d’oltre Oceano Atlantico. Pur considerato non più sicuro, usurato e bisognevole di una radicale ma non più risolutiva manutenzione, l’11 ottobre del 1927 si mosse dal porto di Genova diretto a Buenos Aires con 1.259 passeggeri a bordo e 300 uomini d’equipaggio al comando dell’esperto capitano Simone Guli che aveva cercato invano di annullare quel viaggio.
I primi problemi si manifestarono subito, con cinque ore di ritardo all’avvio per problemi ai motori. Da Genova a Barcellona si resero necessarie otto soste e nella città spagnola la fermata si protrasse per un’intera giornata. Altre fermate s’imposero a Dakar (Senegal) e a Sao Vicente (Capo Verde). Intanto il Principessa Mafalda cominciò a vibrare insistentemente e a nulla valsero le pur vigorose sollecitazioni del capitano per trasbordare i passeggeri su un’altra imbarcazione. Dopo due settimane di incerta e insicura navigazione, pericolosamente inclinata sul fianco sinistro, pervenne a 80 miglia dalle coste del Brasile, nel tratto tra Salvador de Bahia e Rio de Janeiro. Era il 25 ottobre 1927.

Il naufragio
Nel pomeriggio dello stesso giorno si avvertì un forte boato che accentuò l’allarme e il panico. L’asse dell’elica di sinistra si era sganciato e ruotando su se stesso aveva squarciato le paratie di poppa, consentendo all’acqua di invadere la sala macchine e la cantina. L’SOS lanciato dal capitano fece avvicinare tutti i bastimenti che transitavano nelle vicinanze, ma non abbastanza nel timore di esplosioni. Il dramma stava per compiersi. La forte inclinazione non consentì l’impiego delle scialuppe di salvataggio, mentre la confusione si fece indescrivibile e alcuni passeggeri preferirono spararsi per porre fine all’indicibile tormento. Molti si gettarono in mare, morti annegati o preda degli squali. I più fortunati raggiunsero le poche scialuppe che si era riusciti a mettere in acqua. In un ultimo, conclusivo atto d’eroismo, il comandante Guli chiese ai musicanti di suonare la Marcia reale e decise di legare indissolubilmente la sua sorte a quella ormai segnata del transatlantico. Alle 22,20 del 25 ottobre 1927 la poppa della nave si inabissò trascinando con sé l’intero scafo e tutti coloro che non erano riusciti a trovare un qualche scampo.

Posted

07 Jan 2025

Storia e cultura


Duilio Paiano



Foto dal web



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