Il sogno ricostruito

(Pierro Antonio)


Si alzò da tavola senza terminare la sua cena, anche l'appetito oltre l'umore mancava quella sera e la semplice insalata di pomodori preparata senza entusiasmo, restò sul tavolo a far compagnia alla lattina di bibita, estratta dal congelatore qualche minuto prima per avere sollievo contro la calura che non concedeva tregua al respiro da alcuni giorni, in un'ardente estate. Non gli restò che uscire in giardino e sedersi sulla sedia di vimini, l'ultimo acquisto, incerto, e non ancora utilizzato al necessario riposo richiesto dal suo corpo. Erano ormai tre giorni che Agnese aveva lasciato Marco dopo tre anni di fidanzamento, per un motivazione talmente futile, che anche lei non sapeva dare spiegazione a ciò, ma erano mesi che non provava più amore per lui, a suo parere il rapporto era diventato asettico, non sentiva più passione nei suoi pensieri, anzi, il ricordare i momenti di felicità, tre anni d'intensa passione, la irritava nell'animo, la faceva soffrire internamente. Aveva la percezione di aver perduto tempo con lui e la sua vita necessitava di una svolta radicale nei sentimenti e nei comportamenti.

L'afa estiva graffiava la sua pelle e nel cercare con agitazione e frenesia un po' di rilassamento, prese la decisione di donare refrigerio con una doccia al suo languido stato d'animo. Era la soluzione più limpida, anche se la più banale nella sua mente confusa. Asciugò i capelli tenendo lo sguardo chino, lo specchio era un nemico da affrontare con le mani disarmate, ma lei era consapevole che evitandolo, sarebbe stata mera umiliazione per il suo essere donna forte per le cose che contavano, indecisa per le semplici; non era mai riuscita a spiegarselo tale comportamento, ma caratterizzava la sua indole . Restò con gli occhi rivolti al pavimento, perchè la sua immagine riflessa, gli provocava un effetto strano quella sera e non dava motivazione a questo suo sentimento, convincendosi sempre più che la sua vita necessitava di un cambiamento radicale ed energico, di mettere in atto la grandezza della sua virtù ed al più presto cancellare Marco, i suoi occhi, il suo sorriso che in tanti giorni l'aveva ammaliata, doveva sparire la sua figura dalla sua mente.

Per dare un senso a quella serata abulica, indotta da uno scatto d'egoismo, sfilò i suoi album fotografici riposti nella libreria, dove ormai gli acari storpiavano le parole del Manzoni e degli altri illustri. Sentì il bisogno di farlo in ordine cronologico, ripassare il suo passato tracciato dagli anni, rivedere come era stata raffigurata la sua trasformazione con l'ausilio del tempo. Su qualche fotografia si soffermava di più, il ricordo la tratteneva sull'immagine, su altre meno. Quando il suo sguardo arrivò su una in particolare, voltò con impeto pagina. Scossa per qualche secondo, con lucidità tornò con l'indice indietro, la sfilò dalla fodera in cui era inserita e con le mani rabbiose la strappò, in tanti pezzettini, come una fanciulla rabbiosa, stizzita e desiderosa di distruggere il suo più bel giocattolo, assalita da uno scatto d'ira improvviso.

Quella foto la scattarono il giorno del venticinquesimo compleanno di Marco, abbracciati ed avvolti in una bandiera inglese con un cartello di semplice cartone, riportante la scritta” I LOVE LONDON”. Agnese amava quella città ma non vi era mai stata. Marco si, anni addietro: si era recato per studio, un soggiorno di venti giorni nell'anno in cui iniziò la frequenza universitaria. Si erano prefissati che quel sogno, quel desiderio impellente di Agnese si sarebbe dovuto concretizzare quanto prima, anche solo in lungo fine settimana. Quel giorno discuterono sul loro futuro e Londra, con il suggello di un bacio, fu definita prioritaria. Si alzò, si avvio al secchiello modulare dei rifiuti e prima di depositare all'interno i brandelli stretti nel pugno teso, gli diede un occhiata; dal viso scivolo lentamente una lacrima. Uscì in giardino dalla cucina e si sedette sulla sedia di vimini, di grande utilità in quei minuti; l'ultimo acquisto, con un sospiro venne consacrato come il più bello in quell'attimo. Rimase seduta per una decina di minuti, immobile, con la postura visibilmente angosciata ed incresciosa, ma assorta profondamente nel pensiero.

Terminata quella frustrazione, si recò sotto nel box dalla scala interna, impugnò la bicicletta dal colore rosso vivo, mise nel cestino il cellulare e chiavi di casa e partì con lena per la marina, distante circa un chilometro dalla sua abitazione. All'arrivo, la brezza della sera era benevola sulla pelle. Si sedette su uno scoglio e dopo aver preso fiato per colpa di una pedalata frettolosa, lanciò lo sguardo all'orizzonte, ma per via del buio calato sulla sera , la linea di congiunzione tra cielo e terra, non si ravvisava; il cuore rallentò ed iniziò a meditare. Venti minuti d'immobilità più completa, invidia per una guardia svizzera. Quella lunga riflessione, sprigionò nella sua mente, la considerazione che la causa della fine della storia con Marco, era da attribuire a lei, egli non c'entrava assolutamente. Agnese era cambiata: la sua personalità, il suo carattere, le sue azioni, tutto riconducibile ad una mutazione del suo umore; tutto ciò era evidenziato dalla sua analisi comportamentale . All'improvviso quella staticità fu interrotta da uno scatto improvviso e mutò in un passo lesto, teso a raggiungere la bicicletta adagiata accanto ad esile tronco di un bianco oleandro. Nel cestino, la mano tremolante impugnò il cellulare e digitò il numero di Marco depennato dalle chiamate rapide nei giorni precedenti. Con un tono energico al pronto di Marco, lo pregò di recarsi celermente al bar del molo il prima possibile, senza dare altre spiegazioni e motivazioni dovute a quell'atto. Il giovane non capì cosa stesse accadendo, ma avvertì che Agnese si trovasse in una situazione di pericolo.
Senza cambiarsi d'abito, infilò un paio d'infradito ed avviò lo scooter per recarsi al luogo destinato all'incontro. La scelta del motociclo fu motivata dal fatto che sarebbe stato più facile per lui divincolarsi nel traffico vacanziero, permettendogli di raggiungere Agnese in una quindicina di minuti. Mille pensieri s'intrecciarono nella sua mente; in quale situazione di pericolo era finita, per avere telefonato con tale urgenza. Giunse al bar e la vista di Agnese seduta ad un tavolino, richiamò un sospiro di sollievo, ma con voce impetuosa, gli domandò cosa stesse succedendo. Lei rispose: “Marco sei disposto a perdonarmi?”. Lui l'abbracciò senza esitare e la strinse forte a se. Agnese come prima parola disse grazie e dopo qualche secondo ruppe il silenzio con queste parole:”Non strapperò mai più un sogno, perchè mi sono trovata senza futuro”. Dieci giorni dopo erano sotto il Big Ben. Chissà quale nome diedero al bambino.