Il bambino in inverno

(Trapasso Maurizio)


Che tappa della vita scelgo, per trascrivere?
Faccio un percorso e la mia anima si inonda di tutte le storie, mi spronano presente e passato, vado e ritorno da lontani momenti dove fui bambino in inverno e uomo di un romanzo cavalleresco autunnale venendo.
Vado e giro assaltando esperienze e trovando le mie lettere incollate ai ricordi.
Non c’è nessun modo né tempo, non ci sono forma né fondamenta al quale appoggiarsi.
La parola fluisce o si blocca, tatuata nell'anima rimane ed in qualche momento sorge e risorge come assemblati fili di un telaio, dove abitano le idee.
A quale immagine ricorro per raccontare la frondosa vita?
Al bambino di quattro anni che perse sua madre, dove l'abisso si insinuò in un partire di lì, il punto esatto dove attraversò quella vita, e la segnò a fuoco con infanzia senza allegrie.
Al bambino che crebbe solitario, protetto dalle fate della malinconia ed i folletti della tristezza.
E se lo scelgo è perché crebbe in un prato di fantasie, quelle che mi permettono un oggi colorito sentendo l'aroma del gelsomino e la glicocolla, il sapore della lima ed un rituale di bambino con giocattoli di cucina, armando la sua propria storia, in un angolo di cuscini; disegnando una piastrella su mattonelle vecchie.
Aprendo sipari, con polsi di stracci uniti, in sacchetti di carta legno.
Scenario di un gioco infantile che non finisce, un ruolo che si trasformò nell'istinto più forte ed oggi è catena.
Guardo le foto di quel bambino e lo vedo amato, seduto in una poltrona di fustagno verde, ed il suo vestito di colore blu, mi dicono che è stato curato; conto questa breve tappa perché, la madre non stette dopo per dirgli che quel bambino aveva negli occhi stelle di qualcuno che lo riparava.
Era la sua mami che sistemò i suoi capelli ed il suo vestito.
Se, lo scelgo come immagine di bambino con gli occhi tristi, ma brevemente protetto, delle forti ondosità del mare che fosse la sua vita, in tutti i suoi stati.
I rifugi della mente proteggono le sequenze sane ed i ricordi buoni si alloggiano come tesori, per affiorare con forze quando l’ora è forte e noi assalto.

Egli aveva il suo albero, ma prima dovette imparare che per molto tempo non pronuncerà la “r” e il suo unico amico si chiamava Roy.
Primo ostacolo in un linguaggio infimo dove i vincoli teneri si fissano come le frasi e sono francobolli nelle immagini.
E lo porto nella mia mente, sapendo che altre sequenze appaiono.
Somatizzando nella sua magra vita fiorirono fiale, giusto quando il percorso della madre morta fosse le strade più lunghe e grige in una funzione funebre con sequele italiane.
Il bambino in inverno, non capiva niente, solo vide un viso addormentato, un viso molto bianco.
E l'inverno rimase bloccato nelle profondità dell'anima di un bambino con fredde ossa.
Allora comprendo a questa magra sequenza di freddo intorno ai grigi giorni di pioggerellina.
Allora comprendo, la sottigliezza nelle dita tremule acchiappando il caldo quando il sole brilla.
Ma capisco anche che i giorni furono cambiando che ci furono gloriosi giochi intorno a focolari e vestiti nuovi, apprendistato di sciogliersi al vento in liane di palme, lavarsi di fronte nel muscoso fiume e le braccia aperte in bicicletta al vento.
Il bambino in inverno appariva di tanto in tanto.
Un compleanno mai festeggiato e l'unico per festeggiare, arrivando i piccoli invitati, con rappresentativi regali e la casa grande vuota, senza adulti, né torta né cioccolato fino all'ultimo istante.
Tacca per tenace memoria ricorrente nel passato delle identità.
Bambino in inverno ebbe tuttavia come anche la vita, ricorrenti estati.
L'estate dei pisolini e le salite all'albero, le more dolci e gli imbrunire polverosi, venti del nord scricchiolanti nei rami e suono delle cicale.
L'estate rinfrescante dopo una pioggia calda, lasciando la trasparenza in fosforescenti foglie.