Un uomo

(Salvi Silvano)


A volte lo noto da lontano avvicinarsi al padiglione dove io mi trovo, sempre accompagnato dal fido ed oramai consunto bastone, dove appoggia i suoi ottantanove anni suonati. Leggermente barcollante, ma forse lo fa volutamente per ribadire a se stesso che l'età comincia a pesargli un pochino, si guarda sovente attorno nella speranza di vedere qualche viso noto con cui potere scambiare qualche chiacchiera, e, nel frattempo, medita sui suoi problemi esistenziali che, a quanto mi è noto, sono affettivi di non poco conto. Qualche anno fa ha accompagnato la moglie nello sconfinato cielo e, per vedere se la sua tempra era sufficientemente coriacea, il Destino pensò bene di verificare le sue capacità di sopportazione al dolore, privandolo anche della giovane figlia, da non molti anni maritata. Oramai canuto, ma con chioma ancora folta, con un paio di occhiali necessari per potere ancora guidare la sua macchina, il suo volto sembra un po' segnato dagli eventi, ma non nega mai il sorriso ad alcuno quando gli si rivolge la parola. Nonostante viva da solo, pur avendo ancora due figli maschi a cui eventualmente fare riferimento in caso di assoluta necessità, si presenta agli altri sempre in ordine, sia nel vestiario che nell'aspetto, che cura come faceva un tempo in cui era solito girovagare per tutta l'Italia, quale sovrintendente all'assemblaggio di mulini per la farina e per la pasta. Referente di una grossa industria, pur non avendo chissà quale specifico titolo di studio, era solito concludere dei grossi affari che gli permisero una scalata nel mondo economico di buona levatura. Se economicamente si può affermare che la fortuna è stata dalla sua parte, senza togliergli alcun merito personale, nel campo affettivo avrebbe qualcosa da recriminare, vista come si è poi evoluta nel tempo la sua vita.
Saliti quei nove gradini che permettono l'accesso al padiglione, mi sento apostrofare: "Eilà! Ciao Silvano. Come va?". È il suo solito modo di attirare l'attenzione, oltre che un rispettoso saluto a colui a cui si rivolge. I suoi occhi sembrano illuminarsi nel vedermi, perché solitamente trascorre il suo tempo dinanzi alla lapide della moglie assorto nei suoi pensieri. Ha così modo di intrattenersi in chiacchiere che, oggi, sembrano essere particolarmente tristi per i ricordi che ha necessità di rievocare ed esternare per scaricare un po' la sua tensione emotiva. Oramai lo conosco, perché da anni abbiamo modo di incontrarci in quel posto, ma questa volta mi sembra particolarmente desideroso di raccontarmi qualcosa che, purtroppo, non è nuova, perché ha avuto la necessità di narrarmela più volte. Sono un buon ascoltatore, anche perché sono convinto di potergli essere di aiuto in questi particolari frangenti; piacerebbe anche a me, qualche volta, trovare un interlocutore che abbia già fatto qualche esperienza simile alla mia, in modo che sappia comprendere le mie esigenze e non mi compatisca per ciò che eventualmente gli vado a raccontare. Non ci vuole molto, alle volte, per portare un po' di conforto ad un bisognoso: è sufficiente sapere ascoltare in silenzio, lasciando che da quella bocca esca tutto ciò che è rimasto intrappolato nel suo cuore per troppo tempo. Mi accorgo di questa sua necessità, e ben presto lo imbecco con una frase che so essere il punto di partenza per tutto un suo racconto. "Allora, Adolfo, hanno sistemato la lapide di tua figlia?". Così dicendo so che ben presto esternerà tutto ciò che lo sta crucciando. E così è. Il suo gioviale volto si fa repentinamente serio, e comincia a dare libero sfogo a tutto ciò che lo deprime. Pur conoscendo la storia, e pur sapendone i minimi particolari, non riesco a non emozionarmi ed a non chiedermi come una persona della sua età abbia saputo sopportare tutte quelle angherie a cui è stato sottoposto per effetto del maleducato comportamento del marito di sua figlia. Sempre pronto a sostenerla economicamente per tutte le sue esigenze durante la brutta malattia, è stato poi ricambiato dal genero in un modo indegno per un essere umano, volendolo addirittura privare della visita della salma della figlia deceduta nella "Casa dei gelsi". Quello, per lui, è stato il massimo affronto a cui è stato sottoposto, e, a suo modo di vedere, nella saggezza della sua esperienza e dei suoi anni, mi ripeteva che di fronte a certi eventi, comunque e di chiunque siano state le colpe, sarebbe stato opportuno soprassedere, perché certe occasioni sono irripetibili per potere ricucire quegli strappi che la vita quotidiana aveva provocato. Non ho mai visto scendere una lacrima da quel suo orgoglioso volto durante i suoi ripetuti racconti; forse, perché le aveva di nascosto già esaurite a casa nella sua solitudine di padre oramai inutile per la vita e per la società, che sempre con maggior difficoltà sa accettare queste bisognose persone che tanto hanno dato agli altri quando hanno lavorato. I suoi occhi, però, si sono velati di quell'umore tipico di colui che sta soffrendo per l'impossibilità di non avere potuto gestire meglio tutti quei problemi. La fortuna, a volte, sembra arridere al fortunato a tal punto da renderlo dimentico delle vere difficoltà della vita; altre volte, però, questa si dimentica di fare il suo dovere, ed allora il fortunato si trasforma ben presto in disgraziato, andando ad annullare tutto ciò che di bello egli aveva acquisito in precedenza.
Per la prima volta, dopo così tanto tempo di nostra frequentazione, l'ho sentito inveire contro la malasorte e contro colui che riteneva essere il responsabile dei suoi problemi con la figlia quando era ancora in vita. Non lo avevo mai visto così alterato: segno che gli anni cominciavano davvero a farsi sentire sulle sue oramai fragili spalle, e segno che qualcosa stava cambiando in lui. Ho avuto l'impressione, per un momento, che non avesse più voglia di vivere, che fosse stanco di questa esistenza oramai monotona ed insignificante per lui. Avendo questa percezione, ho cercato subito di distoglierlo da questi suoi cupi pensieri, e non trovai di meglio che chiederli: "Ed allora, Adolfo, quando parti per la montagna? Quando pensi di andare a Nebbiù nella casa alpina del vescovado di Vittorio Veneto?". E questa mia forse inaspettata interrogazione, dopo averlo momentaneamente tacitato, ha fatto riapparire sul suo volto quel nostalgico sorriso suo tipico, dimostrando una evidente capacità intellettiva nel sapersi presto adeguare alle nuove situazioni, esprimendo non poca intelligenza e saggezza.
Il suo nuovo discorso scivolò su nuovi e ben più leggeri binari, e ben presto ho avuto modo di rivedere il suo ridente volto atteggiarsi alla disponibilità sua tipica quando si trova a chiacchierare con qualcuno. E, fortunatamente, l'arrivo di un'altra sua conoscente, gli ha permesso di accantonare totalmente, almeno per quel pomeriggio, tutti i suoi brutti pensieri, riportando in lui quel briciolo di serenità che ritengo sia giusto che a quell'età si debba godere. Per quanto altro tempo avrò la fortuna di vedere quel grande personaggio che è Adolfo?.