I premio letterario "Una perla per l'oceano"

Il rumore dell'acqua

(Parlato Nunzia)


"Il suo sguardo vagò oltre la finestra, si posò distratto sui rami quasi spogli dell'albero secolare che, solo, sfidava lo scorrere impietoso del tempo. Il cielo era grigio, autunnale ed il vento giocava divertito con le nuvole. Ritornò nella stanza. Quell'attimo di aria, di aperto le aveva riempito il cuore di voglia e di paura.

"Buongiorno Lisa". Si voltò verso la porta. Il camice bianco di lui la tranquillizzava e la atterriva, sempre. Si sedette di fronte a lei, dal lato giusto della scrivania, il lato di chi ascolta o, perlomeno, cerca di persuaderti che lo stia facendo. Lisa abbassò lo sguardo sulle sue mani, non riusciva mai a controllarne il tremore, in un impeto disperato, le strinse a pugno. " Lisa, guarda." lui richiamò la sua attenzione. Aveva svuotato sul piano della scrivania un sacco colmo di fotografie. Erano centinaia o forse più, di ogni formato, a colori ed in bianco e nero. Immagini vomitate da frammenti fermati nel tempo. Volti, sguardi, gesti e sorrisi paralizzati da un clic. Un clic può prendere un pezzo di te e tu puoi anche non accorgertene. " Conosci questo ragazzo, Lisa?" Le porse una delle foto. Lei aprì il pugno e tese la mano verso l'immagine. "Si, lo conoscevo..." "Non ne hai mai parlato - e la guardò in attesa- perché Lisa? "

Gli occhi fissi alla foto, le sue dita ne seguivano i contorni del viso " Ho conosciuto tante persone...alcune le ho amate, altre non ho saputo amarle, qualcuna non ho voluto amarla..." " E lui, lui l'hai amato?" Lisa guardò il suo camice bianco, socchiuse gli occhi, come abbagliata, e poi aprì lo sguardo sul suo viso " Si... nel corso di una vita si incontra tanta gente... molti ti guardano, pochi ti vedono... lui mi ha vista." Un guizzo animò lo sguardo di Lisa, i suoi occhi persero la trasparenza solita per un attimo, forse una crepa, pur se sottile, aveva segnato il blocco pietroso delle emozioni. " Era una sera calda, l'aria era pregna di umido che s'attaccava alla pelle e faceva evaporare i pensieri. Ci accompagnammo alla porta... uno andava l'altra restava... ma ancora per poco. Non si può rimanere a vigilare sui frammenti di un intero, vero dottore?"

Lui la guardò fissamente, sparito il guizzo si poteva attraversare nuovamente lo sguardo di lei, così come se si fendesse l'aria. " No Lisa, non si può. " La mano di lei si posò sulla foto come per distenderne pieghe immaginarie, poi la lasciò cadere nel mucchio. " In quel tempo ero solita rannicchiarmi in un angolo della stanza... stringevo a me le gambe e trattenevo." " Era il dolore, Lisa? " Gli occhi di Lisa andarono ancora alla finestra, l'albero era sempre là, fermo e imperturbabile alle sferzate del vento che ora distribuiva foglie al cielo. " Era il tempo in cui sentivo, dottore." La sua mano si fece strada tra la folla di volti di carta, come se sapesse già dove andare. " Guardi questo viso - offrì allo sguardo di lui l'immagine di un uomo dall'età indefinibile, una faccia segnata da rughe allargata da un sorriso di fanciullo - "

Cesco viveva per strada, accanto al suo carretto su cui scaldava castagne" si guardò la mano aperta col palmo rivolto verso l'alto, socchiuse gli occhi come a voler ricacciare un pensiero, una sensazione... " Cesco era un tuo amico?" lui continuava ad osservare questa donna, ad ascoltarla, registrava i suoi mutamenti, avvertiva nettamente ed in modo assurdamente distinto tutto quel che in lei si agitava... i pensieri, le sensazioni di Lisa si muovevano nell'acqua... andavano, tornavano, fluivano restando sempre in superficie... lei si era resa liquida per non sentire. Avrebbe dovuto far scorrere via tutta quell'acqua da lei... avrebbe dovuto ricondurla alla consapevolezza delle sensazioni, far emergere la terra sommersa del suo dolore e spingerla fuori, nella vita. Soltanto questo: era l'unica certezza che sentiva guardandola, il resto affogava nei colori sfumati colati giù dal dipinto della sua esistenza. "

Cesco era un principe... - fissò i suoi occhi in quelli di lui, li attraversò per andare a posarli su di un punto indefinito alle sue spalle - non possedeva corona né tesori... non abitava un castello - prese la foto e cominciò a carezzarla lentamente, quasi a sfiorarla - nessun ponte levatoio si sollevava per accogliere il suo ritorno... Cesco dava sempre e comunque... senza mai prendere nulla per sé, senza mai chiedere... parlava dei suoi pensieri, dei suoi amori... i suoi sogni non erano sognati erano pezzi di vita vissuta... le sue caldarroste erano manna dal cielo nelle gelide serate d'inverno. " Si appoggiò la foto alla guancia come a cercare il calore di quella pelle... " la libertà è nella nostra mente - diceva - ci confiniamo nelle gabbie quando i nostri pensieri diventano ferri pesanti che ci schiacciano al suolo.

La ricerca della verità è l'ancora che ci fa volare basso, ci fa perdere quota, la zavorra che lega all'inganno, alla falsa conoscenza... la verità non esiste - io lo guardavo affamata, ogni sua parola apriva un varco, una possibilità di vita - esistiamo noi, noi con il nostro cuore, l'anima, i pensieri... ciascuno di noi reca un tesoro, dentro, ma guai a pensare, a credere che quello sia il Vero, l'Inalterabile, l'Immutabile. Siamo parte di un mistero, siamo fatti di mistero, di luce ed ombre, chiaro ed oscuro ed in questa non-dimensione nulla vi è di certo, di assolutamente, eternamente vero" " Sa, dottore, io l'ho conosciuto prima... dopo, sono corsa a cercarlo... una sera di dicembre, il freddo intorpidiva gli arti... era venuta giù una nebbiolina fitta, sembrava un velo messo lì tra me e le cose intorno... camminavo spedita, quasi correvo, ad ogni respiro usciva un alito di fumo... percorsi la sua via una volta e poi un'altra ed un'altra ancora...

" Cesco - chiamavo - Cesco sono qui..." Nulla. Lui non c'era, neppure oltre la coltre di trine fumosa riuscii a scorgere il suo viso. " Portò la foto all'altezza del suo sguardo, un'ultima carezza con gli occhi e poi la lasciò cadere nel mucchio. Lui sapeva cosa fosse il "prima" e conosceva bene il dopo... unica caratteristica comune ad entrambi era il male di vivere di Lisa. Si tolse gli occhiali e si passò una mano sul viso, con le dita stropicciò gli occhi come a voler far cadere una tensione, una preoccupazione. Lisa doveva andare via da quel falso riparo che la isolava dal mondo, doveva imparare a fare a meno di lui, della sua affatto professionale capacità di accoglierla... Lisa doveva lei accogliere sé stessa e prendersene cura... Ma, come avrebbe potuto lasciarla andare via se il timore di un conseguente e probabile smarrimento di lei lo inchiodava ad un fermo senza fine?

La guardò: si era nuovamente voltata alla finestra, il suo sguardo era lontano da sé un tempo non misurabile, né decodificabile. " C'era un tempo in cui credevo di non poter vivere senza le mie emozioni - con le dita cominciò a spostare le foto, una ad una - queste immagini sono la memoria...quel che resta dell'altra mia vita..." " Quante vite pensi di avere, Lisa?" le fermò la mano, gliela strinse, lei la ritrasse, lentamente, prese gli occhiali dalla scrivania e glieli porse " Li inforchi, dottore, e mi guardi, attentamente... in qualsiasi posto in ogni momento più o meno significativo della mia esistenza io ero sempre presente in parte, o meglio, ero presente ed assente, perché ero anche altrove... no, non pensi ad una fuga, era un bisogno irrinunciabile: io non posso fermarmi, mai... anche quando sono ferma... io vado e torno, senza posa... è una fatica, uno strappo, un dolore e non c'è tregua... anche ora io sono qua con lei e sono altrove... vede quell'albero, fuori? E' maestoso, forte, solido, fermo... quell'albero ha radici che io non ho... io non riconosco le mie radici. Io so, io sento di non appartenere a questa dimensione, ne esistono altre, dottore, dentro di me ne percepisco altre ma, non appartengo a nessuna."

Si accarezzò un braccio quasi a voler affermare la propria fisicità poi, accennò ad un sorriso come a voler dire: vedi, io ci ho provato ad adeguarmi... ma non sento. "Quella sera è giunto lo squillo del telefono a spezzare il silenzio della mia anima." Strinse gli occhi, a voler buttare indietro l'immagine del ricordo... le mani corsero alle foto, cominciò a cercare in mezzo... sembrava un cieco che, tastoni, si affanna ad afferrare l'interruttore della luce.

"Cerchi questa, Lisa?" lui le aprì una mano e ve ne adagiò una. Gli occhi serrati, Lisa prese ad accarezzarla " Non ho bisogno di guardare..." " Continua Lisa..." lei posò la foto di lato alle altre, aprì gli occhi e lo guardò... " Mi ritrovai nel corridoio dell'ospedale da sola, non ricordavo di aver chiuso la telefonata, probabilmente avevo anche lasciato l'auto aperta, di sotto, nella fretta di raggiungere Riccardo e portarlo con me, a casa...." Si voltò ancora verso la finestra, il vento, ora, faceva da padrone, fuori, e scuoteva i rami portando via le poche foglie superstiti... le faceva volteggiare a mulinello e poi le abbandonava al suolo a formare un tappeto giallo-oro con venature fiammanti: pennellata preziosa di un artista ribelle. "Avevamo camminato a lungo per le viuzze del paesino arroccato, i nostri pensieri non avevano abbandonato le parole neppure un istante...era come riversarci l'uno nell'altra, con la fretta febbricitante di chi sa che gli attimi da vivere sono pochi: il tempo sarà inclemente ed avaro.

Eravamo stanchi quando giungemmo al lago, entrammo nel piccolo bar a riposare. Riccardo scelse un tavolo accanto all'ampia vetrata: il sole si immerse nell'acqua, come in caduta libera, e la incendiò con scintille di fuoco. Afferrai il suo braccio, lo strinsi a me, erano sparite tutte le parole, scivolate via nel suo sguardo umido e bucato. Non si può assistere ad uno sguardo così e percepirsi distinti... non si può entrare in uno sguardo così ed uscirne intatti..." i suoi occhi corsero ancora alle foto ma, era chiaro che ora non ne vedeva alcuna... non scorgeva la scrivania né focalizzava la presenza di colui che, rimasto seduto e fermo, le offriva ampia possibilità di cambiare l'intera scena e risalire l'inerpicata china che l'avrebbe condotta alla soglia del dolore. "In quello sguardo avrei dovuto fermarmi, in quello sguardo avrei voluto fermarmi... era una dolce oasi offerta al mio peregrinare, era l'abbraccio che mi avrebbe accolta interamente, senza nulla chiedere...- serrò le palpebre e si strinse a sé stessa, a rievocare quel momento - ma io rifuggo dagli abbracci - aprì gli occhi, lo fissò - mi fanno male, riaprono le ferite, il sangue ricomincia a scorrere e colora tutto di rosso e di dolore ". Unì i palmi delle mani e li portò all'altezza del petto " Gli lasciai un frammento di respiro... Riccardo ha preso con sé un mio battito, la sua aria si è mischiata alla mia ed il mio cuore ha assunto una cadenza sorda, priva di una nota. Sono andata via lasciando dietro la mia musica, nel silenzio dell'anima..."

Lui le cercò lo sguardo, ora era attraversato da una patina traslucida, come un'ombra bagnata di pioggia... " Siamo rimasti chiusi ognuno nel proprio silenzio, ognuno con la lacerazione di una non possibilità di vita fino a quella sera... la sera che portò via le mie emozioni..." Si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra, la spalancò... un grande soffio di aria fredda le schiaffeggiò il viso, le scompigliò i capelli ma, lei non chiuse gli occhi e non si schermò con le mani, senza voltarsi continuò a parlare " Quella sera io non sapevo che Riccardo era in viaggio dalla mattina per raggiungermi... non c'era stato mai più alcun contatto fra di noi, non volevo procurargli altro male - la sua voce era diventata sottile, quasi un sussurro - di quella telefonata ricordo soltanto il suo nome pronunciato... e quello dell'ospedale dove era stato condotto..." Lui si alzò, le si avvicinò e, per mano, la accompagnò alla sedia "Piangi Lisa, piangi" lei strinse nuovamente le mani a pugno " " Non escono le lacrime, dottore... ne sento il rumore dentro di me, come di risacca... gocce di un pianto che mi riempie interamente ma non dirompe... questo dolore è solo mio, dottore, non voglio lasciarlo alla vita..." Si alzò con lentezza e prese a camminare per la stanza, a piccoli passi... poi si fermò al centro, con la mano spostò un ciuffo di capelli dal viso, la mano scese fino al collo e cominciò a carezzarlo " " Se non amassi così tanto, se non amassi affatto a cosa servirebbe la mia vita, non avrei motivo di svegliarmi ogni mattina " io restavo ferma a queste sue parole, e muta... il giorno dopo sarei salita sul mio aereo ed ancora una volta, come tutte le altre volte dell'intera mia esistenza, avrei affrontato l'ennesimo viaggio, avrei portato il mio corpo in giro per il mondo, avrei offerto la mia cortesia e la sollecitudine a quelli sempre spaventati dall'incontro col cielo... sarebbe servito a frenare l'urlo di dolore che mi devastava dentro.

Regnava sovrano il silenzio in me, fino a quella sera... sul display del suo telefono compariva il mio numero, da quello erano risaliti a me, forse aveva cercato di chiamarmi prima di andare via, per sempre, ma non gli era stato concesso il tempo...- un sorriso amaro le tirò le labbra, posò lo sguardo su di lui, fissamente - il tempo si è sempre negato a noi, era geloso e nemico perché sapeva che l'avremmo annullato, avremmo vanificato il suo lento, inesorabile scorrere..." si avvicinò alla finestra e la chiuse, con un gesto forte, quasi violento, insolito ed insospettato " Il tempo non ammette ribellione, pretende che tu ti adegui ad esso, ti vuole suddito e non padrone - un sorriso dolcissimo le schiarì lo sguardo - Riccardo ed io non riconoscevamo padroni al di fuori di noi stessi..." si avvicinò alla scrivania, si sedette ed appoggiò le mani in grembo, le gambe unite, lo sguardo vagava tra i viali di un dolore bagnato di poesia, tenuto vivo e stretto come la zattera da un naufrago " Uscii dall'ospedale priva di orientamento... ero mutilata... deficiente di un arto, un pezzo di pelle, i pensieri, il cuore e ne sentivo ancora la consistenza, lo spessore, il rumore nella mente ed il ritmo stonato nel petto... entrai in un piccolo bar, all'interno poco illuminato e frequentato... mi sedetti, nelle mani un bicchiere di vino rosso... dovevo lavare via il sapore di sangue che mi riempiva la bocca... e lo udii... udii la sua voce che carezzava le mie mutilazioni... le sue parole, quelle di sempre... da morire...non importava cosa ci fosse prima, " da morire" abbatteva ogni confine, oltre non esisteva più nulla, neppure la morte, annegata in un sussurro di vita... pensiamo sempre che l'amore si presenti a noi con vesti regali, che si esprima con linguaggio complesso e forbito, privo di errori... aspettiamo di udire il suo suono forte e sovrastante, la sua luce ci deve accecare per riconoscerne la forza... - una smorfia le disegnò sul viso un tratto furbo e consapevole - l'amore è semplice, dottore... e sbaglia... nelle macchie c'è la vita...il nitore è assenza, vuoto... inesistente... la sua voce è un sussurro, una carezza percepita... non servono toni alti, le urla non appartengono all'amore... la sua forza è tutta nel suo esserci, nel suo esistere calmo e silenzioso, paziente e dolcemente tenace... - il suo viso ritornò disteso ed ora schiarito da uno sguardo morbido, come emozionato -

Questa è la verità che allarga lo spazio dentro dopo che hai preso per mano la morte, dopo che sei scesa nella sua voragine senza fondo... ed hai strisciato lungo le pareti scavando con le unghie per proseguire, un centimetro dietro l'altro, fino all'uscita, alla luce... sangue ed acqua, quella che si agita dentro e permette di non sentire e procedere..." appoggiò i gomiti alla scrivania, il viso tra le mani e lo guardò diritto negli occhi...uno sguardo strano, vi erano mischiati opacità e lucida determinazione...quella stessa di chi non vuole che si affondi la mano nella densità oltre l'acqua. « Io sono fatta di vento e come il vento inganno... anche se sono la prima a morirne...» i suoi occhi divennero bui, ancora più scuri di quanto fossero in origine... fondi ed impenetrabili come la notte..." del vento senti la carezza sulla pelle, odi il sibilo del suo soffio, la sua movenza è tutta nel trascinar altrove quel che tocca...lo senti, lo odi, lo vedi... arditamente pensi che i tuoi sensi possano testargli una forma... ora lo afferro, mi ci paro davanti e lo fermo, lo abbraccio.. ma nell'attimo preciso in cui tu potessi stringerlo a te, il vento cesserebbe di esistere... lui ti regala la sua poesia e l'illusione di poter superare ogni limite... il suo inganno è simile ad una magia buona..." " Quando il vento incontra il fianco del monte si ferma, Lisa." e la guardò fisso, ben intuendo quale sarebbe stata la replica di lei... ma voleva sentirla, desiderava che le sue parole veicolassero fuori tutta l'acqua..."

Il monte non ama il vento... gli si pone come ostacolo e lo spezza in due con la sua anima di pietra, immobile e paurosa..." abbassò lo sguardo sulle mani, tremavano di nuovo, le posò sulle foto, come a trarne rassicurazione, certezza. " Negli anni in cui ho vissuto al lago la mia felicità era adombrata dalla visione delle montagne, circondavano tutt'intorno il paesaggio... ne soffrivo la presenza, era come un prendermi l'aria, pormi un limite che io rifiutavo e negavo... amo intensamente quel luogo, parte inscindibile di me, ma la mia immaginazione l'ha sempre disegnato aperto, territorio giocoso del vento libero di scorazzare senza timore di morire." "Il lago è sempre stato presente nei miei momenti importanti negli attimi in cui si celebrava la vita..." di nuovo il sorriso le addolcì lo sguardo, le schiarì il viso e fermò il tremito alle mani. Si alzò lentamente dalla sedia prese una mano di lui fra le sue: " So che devo andare via... lei non trova il coraggio per dirmelo ma, io lo so..." si voltò nuovamente verso la finestra: il vento aveva lasciato posto ad una sera calma e buia, solo i lampioni del cortile ed i fari delle auto che mangiavano l'asfalto della strada illuminavano l'aria..."

Devo continuare il mio viaggio, questo viaggio, per lei..." con la mano si sfiorò il grembo ed un sorriso appena accennato, ma dolce di un ricordo bagnato di vita, le schiarì il viso. " Non ho avuto il tempo di dirglielo, Riccardo sarebbe esploso di gioia...ed io avrei dovuto arrendermi al suo abbraccio..." " Non ne hai colpa, Lisa...è accaduto tutto troppo in fretta... le cose insensate hanno la velocità di una discesa a precipizio..." Le accarezzò la mano e le sorrise... si, era giunto il momento per lei di continuare il percorso, quello interrotto dal ciglio della voragine... Lisa si era fermata sul terreno franoso, giù il vuoto fitto di buio pesto l'aveva attratta quasi quanto l'amore di Riccardo, ma il ricordo della luce di quell'amore l'aveva condotta oltre, oltre l'abisso. " Dovrai consegnare a lei, alla tua bambina, l'immagine di suo padre... dovrai farla sentire parte del vostro progetto di vita. Ti servirà forza, per questo, e lucidità: non dovrai più dubitare di te stessa, Lisa... io ci sarò, lo sai, quando e se vorrai, in ogni momento! "

Lei lo guardò con gli occhi socchiusi, come a voler ben focalizzare l'immagine, poi si voltò alla porta: " Era un sogno dottore, non un progetto di vita... quello è stato negato dalla mia paura... e dal tempo... Ora rientrerò nella mia casa e tinteggerò tutto di nuovo, di fresco, di colorato... dev'esserci una felice gioiosa accoglienza per l'arrivo della mia piccola... l'abbraccio di Riccardo è tatuato sulla mia pelle: quelle saranno le prime braccia che stringeranno la nostra Aurora..."