Arroganza

(Squeo Luigi)


Passeggiavo lungo un marciapiede e tentavo di estraniarmi dal grigiore del traffico o dalla consapevolezza di sfiorare persone che come birilli erano ferme nello spazio circostante, quando, improvvisamente, uno strombazzante automobilista richiamò la mia attenzione alla realtà.
Tentai velocemente di assemblare la scena che si presentava ai miei occhi. Notai l’automobilista inveire contro un anziano che tardava con la sua bicicletta a liberare la corsia al frettoloso o nervoso automobilista. Una trentina di metri più avanti, lo stesso automobilista parcheggiò a spina di pesce la sua auto, davanti ad un passo carrabile; egli era preoccupato soltanto di mantenersi il più vicino possibile all’ingresso di un bar dove consumare un caffè. La modalità di uscita dall’auto, simile a quella dei saloon nei film western, dette il tempo allo sfortunato ciclista di passare davanti all’ancora furioso automobilista. Questo non perdette l’occasione per continuare il suo dialogo, fatto di parolacce e minacce, dirette al povero vecchietto, tutto impegnato a non cadere dalla bicicletta. È inutile dirvi che, vestendomi dei sentimenti del vecchietto, mi agitai internamente e nonostante la mia natura bonaria, avrei voluto essere, per qualche attimo, Arnold Schwarzenegger nel film “The Terminator”, così da far rimangiare a quell’uomo tutte quelle parolacce offensive. Purtroppo, non so se ammettere la mia vigliaccheria o la presunta saggezza dello spettatore impotente, per giustificare la mia attonita e immobile reazione alla scena. Il traballante ciclista, mosso da una dignità non completamente sopita, vorrebbe imporre la sua autorità di giudizio accreditata dagli anni accumulati, reclamando una precedenza che era fuori da ogni logica dalla mente di quell’automobilista. Questa iniziativa, apparve subito sfortunata, poiché come benzina su un fuoco nascente, la vibrata discussione si trasformò in un incendio di emozioni dell’automobilista.

La folla, che nello stesso tempo si era radunata, cautelò l’anziano dalle percosse fisiche che si stavano annuvolando sulla sua persona. Si era presentato davanti alla mia attenzione un classico caso di arroganza, cioè opinione esagerata sul valore delle proprie idee, affermate con evidente presunzione e asprezza nei modi. Il famoso Filosofo francese, Voltaire, enunciò questa massima: “Non sono d’accordo con le tue idee, però mi batterò fino alla morte affinché tu possa esprimerle”.
Bellissimo enunciato; grondante del valore di libertà e rispetto del prossimo, ma mi sarebbe piaciuto che, come un fantasma, Voltaire mi apparisse tra folla di spettatori e che avesse assistito alla sceneggiatura appena descritta. Gli avrei chiesto di approfondire il significato della sua massima, perché in alcuni casi, diventa di difficile applicazione.
Lontano dal momento esagitato e confortato dalla riflessione, forse Voltaire mi avrebbe chiarito la questione nel modo che segue.

VOLTAIRE: Luigi, la libertà è un valore troppo grande e importante per porgli dei limiti suggeriti dall’emozione o dalla situazione contingente. L’uomo arrogante è come un bambino che maneggia un coltello: potrebbe far male al suo vicino o anche a se stesso. La sua giovane età non gli permette la disinvoltura nell’uso appropriato del pericoloso attrezzo. Dovremmo educarlo e attendere l’aiuto della sua esperienza la quale, unita all’evoluzione del suo spirito, potrebbe fornirgli quella consapevolezza necessaria per usare correttamente la sua Libertà.

LUIGI: Potrei essere d’accordo con te, ma quell’arrogante mostra di avere almeno 30 anni! Non credi che possano bastare per assicurargli la consapevolezza delle sue azioni?

VOLTAIRE: Non sono gli anni del corpo che contano ma quelli della mente.

LUIGI: Allora, amico mio, potremmo attendere invano. Educare una persona che potrebbe aver vissuto gran parte della vita in un clima di cattiveria e cupidigia, è da considerarsi utopia.

VOLTAIRE: Dobbiamo imparare a leggere il problema con la lente dell’universale. Non è possibile, cioè, dubitare sulla validità di una legge se essa, per un caso specifico, non fornisce i risultati sperati.
Per analogia, immagina la mente umana come un contenitore geometrico rigido; come una scatola metallica. Qualora volessimo conservare in questa scatola, piccoli oggetti, anch’essi rigidi, ne entrerebbero pochi rispetto allo spazio disponibile. Infatti, ogni oggetto dovendo mantenere la propria geometria, imporrebbe una percentuale di spazio inutilizzato. Questo spazio inutilizzato, potrebbe però essere usato dalla sabbia che riesce a infilarsi negli spazi liberi attraverso cammini tortuosi.
Nonostante tanta flessibilità della sabbia, ci saranno ancora spazi inutilizzati a causa dalla solidità dei granelli. Potremmo ottimizzare l’intero volume con piccole scosse di assestamento, ma raggiungeremmo un limite invalicabile. Volendo testardamente riempire i piccoli interspazi, potremmo farlo versando del liquido che non avendo forma si adatterebbe benissimo ai piccolissimi interspazi.
Chi non si accontenta del risultato raggiunto, potrà migliorare la capacità della scatola immettendo del gas, il quale, non avendo nemmeno volume proprio, grazie alla compressione, potrebbe infilarsi e assestarsi negli spazi che l’acqua non è riuscita a occupare.
Come vedi il processo che amalgama il contenuto della scatola, deve seguire un percorso che non dipende soltanto dal primo oggetto che è entrato, né dal singolo granello di sabbia, né dall’acqua, né dal gas, ma da un sistema che deve evolvere nella direzione dell’occupazione degli spazi.
L’arrogante della tua storia è un rigido oggetto la cui disgraziata geometria gli impone di occupare molto spazio, rubandolo ad altri. Egli avrà bisogno prima della sabbia, poi dell’acqua e infine del gas, per far intimamente gruppo in quella fantastica scatola dell’esistere. Ognuno di noi porta un po’ di tutto, con la differenza di portarne in misura diversa oggetti rigidi, sabbia, acqua e gas. Vivendo sperimentiamo lo scambio continuo, tendente a indovinare la giusta posologia; colui che indovina potrebbe dirsi felice. L’uomo, a causa delle sue limitazioni, abita uno spazio chiuso, pensandolo invece come parte dell’universo, esisterebbe in un sistema aperto, definitivamente felice.

LUIGI: Caro Amico Voltaire, credo che tu voglia indurmi a riflettere sul concetto di tolleranza, ma ti giuro che mi è difficile rimaner freddi davanti ad una assurda tracotanza.
Assistere inerti al procedere della violenza, sebbene Ghandi ne abbia dato prova, è concesso soltanto ai Santi. Probabilmente, Dio donandoci cuore e giudizio ha voluto prolungare sulla terra quella prova di fedeltà incrinata con il morso a quella benedetta mela!
Sarà il risultato finale di questa prova che ci farà guadagnare il Paradiso?

VOLTAIRE: Non farmi domande a cui non posso rispondere, posso semplicemente augurarti di vivere il tuo tempo nel clima dell’amore.