Il grande focolare

(Bellucci Vilma)


Quando il sole tramontava ed il vento suonava le sue canzoni sugli angoli delle casa come sulle corde di un violino, ci si radunava nella grande cucina. Un grande tavolo al centro faceva da padrone, contornato da sedie impagliate di vimini che sembravano vestite a festa. Il grande camino occupava una parete intera e vi erano ai lati due grandi nicchie. Ed io, che ero ancora una bambina in cerca di emozioni, non potevo non provare entrambe le parti. Così mi sedevo una volta da una parte e la volta dopo dall'altra, per guardare la differenza del riflesso della fiamma sulle varie angolazioni delle pareti della cucina. Sul caldaro in rame appeso al centro del focolare, invecchiato stagione dopo stagione e nero dal troppo lavoro svolto, le lingue di fuoco schizzavano le loro sfumature dorate e l'acqua che bolliva con la legna che scoppiettava, sembravano vecchi amici a canticchiare. Quel gioco di ombre e luci che si rifletteva sui miei vestiti e nei miei occhi come in uno specchio, mi rendeva più docile di quello che già non ero, un colloquio intimo, fra me e la vita che era appena iniziata.
Era in quelle nicchie che mia nonna mi raccontava le sue favole speciali, dove non c'erano né fate né principi dagli occhi azzurri e la bella addormentata era ogni donna dominata dalla stanchezza del troppo lavoro del giorno. Le sue favole era pezzi della propria vita, e forse non erano proprio racconti adatti ad una bambina, ma lei sapeva sempre trovare le parole giuste per spiegare e non spaventare una bambina, che ascoltando cominciava a farsi le prime grandi domande della vita. Io ero molto attenta ad ogni particolare, e facevo domande e domande sui tempi di guerra. La nonna era come se accudiva un frutto ancora acerbo con carezze e con calde e sagge parole. Mi diceva che come le stagioni anche la vita ha i suoi momenti, che vi sono momenti di grande freddo, di desolazione e assenza di sogni, momenti di malinconia e di pioggia, ma che ci sono anche momenti di sole, di gioia e di speranza.
Ricordo che anche il vento si era calmato e sussurrava appena, ma il buio ed il freddo fuori ancora toglieva il respiro e si avvicinava per me, che ero la più piccola, l'ora di andare a dormire e lasciare quelle fiamme che ancora sfarfallavano, sfogliando nei miei occhi parole e frasi alle quali avrei voluto ancora fare domande in tutte le lingue del mondo.
Mentre m'infilavo nel confortevole tepore del grande letto riscaldato dal carbone, spiavo dalle persiane rotte e semichiuse la luna nel cielo, che vegliava il mondo con il suo sguardo immenso e sognando la vita che avrei voluto, piano piano mi addormentavo.
Il giorno dopo giocavo senza pensieri con quel poco che avevo, in casa o nel cortile, in fondo ero ancora una bambina...