Il tailleur fortunato

(Cilifrese Anna)


Il grande giorno è arrivato, una scarica di adrenalina mi procura un fremito di eccitazione. Sono pronta, ultimo ritocco, ho scelto un trucco deciso ma leggero, ho indossato il mio tailleur fortunato. Stringo forte la mia ventiquattro ore e mi dirigo a grandi falcate e passo deciso presso l’ufficio del Signor Andreoli. Dopo i soliti convenevoli arriviamo al dunque.
-Signora Torso, il suo curriculum e le sue credenziali sono ottime a dir poco eccellenti, come mai ha deciso di trasferirsi a Milano?
-Mio marito è stato trasferito dalla sua azienda ed ho deciso di seguirlo.
-Capisco, ma al momento non assumiamo personale femminile, abbiamo avuto diversi problemi e per questo abbiamo adottato questa politica. Mi permetta di conservare i suoi dati per una prossima collaborazione. Questo è tutto, ci dispiace averle fatto perdere del tempo.
Il suo sguardo ed il tono della sua voce non ammettono repliche. Silenziosamente abbandono gli uffici della ditta Andreoli, sono arrabbiata anzi incazzata, contro questo modo ipocrita di definire le donne. In epoca di globalizzazione, del digitale, dove donne scalano vertici incredibili e concorrono per cariche presidenziali , io, Anna Torso, vengo scartata perché in grado di generare prole. Ho bisogno di aria fresca e decido di recarmi nei giardinetti per avere modo di scaricarmi in completa solitudine. Volutamente scelgo di appartarmi il più possibile, ci sono dei bambini che giocano ed in questo momento voglio stare completamente sola. Il cellulare suona ripetutamente è mio marito, blocco la telefonata e lo spengo . Sentire la sua voce sarebbe di conforto ma non ho nessuna voglia di essere compatita. Non so per quanto tempo rimango seduta, le luci del giardinetto iniziano ad accendersi. Mi alzo ed inizio a camminare, perdendo la cognizione del tempo e del luogo. Nella mia testa è un continuo rimbombare di no e ci dispiace, un rumore di foglie calpestate mi fa trasalire e mi giro immediatamente. Non c’è nessuno, il mio cuore accelera, forse mi sono allontanata troppo e quasi buio, decido di ritornare indietro e forse adesso la voce di mio marito sarebbe di grande conforto. Prendo il cellulare e lo riaccendo.
-Mamma mia quante telefonate , adesso lo chiamo per tranquillizzarlo.
Il calpestio delle foglie si fa più vicino, mentre sto per girarmi una mano afferra la mia e mi fa cadere il telefono. Terrorizzata cerco di urlare ma qualcuno mi tappa la bocca, cerco di divincolarmi ma la figura che mi sta alle spalle è troppo forte. Con una mano stringe le mie mani dietro la schiena, mentre con l’altra continua a tapparmi la bocca, mi spinge con forza, fino a farmi cadere.
-Ti prego non farmi del male, prendi la mia borsa, il telefono, prendi quello che vuoi ma ti prego non farmi del male.
Succede tutto così velocemente, il suo corpo sul mio è troppo pesante, non riesco a respirare. Comincia a colpirmi il viso, il sapore metallico del sangue entra nella mia bocca, non riesco a muovermi, forse se sto ferma andrà via. Mi strappa la camicia ed il mio seno è in balia della sua bocca famelica, mi morde, succhia ed emette suoni gutturali con la bocca. Riesco a liberarmi una mano e lo graffio in pieno volto.
-Ahhhhhhhhhh puttana, l’hai voluto tu.
Mentre si scosta dal dolore colgo l’attimo per sottrarmi a lui. Corro, corro più velocemente possibile, sento il mio aguzzino dietro di me, mi afferra dai capelli e mi sbatte a terra. Mi gira per guardarlo, vedo uno sguardo sadico, pieno di rabbia. Mi sta a cavalcioni sulla pancia, prende una grossa pietra e buio. Non riesco ad aprire gli occhi, una luce al neon mi acceca, anche se non è diretta verso di me. Sbatto più volte le palpebre per abituarmi. Mi sento sospesa e vedo il mio corpo steso su di un letto, ho gli occhi aperti ma sono nuda mi copre solo un lenzuolo. Mi guardo intorno perplessa, mi sembra di essere in un mondo parallelo, alla mia destra ci sono delle persone che confabulano tra di loro in camice bianco. Cerco in tutti i modi di parlare ma loro non mi ascoltano e neanche io sento la mia voce, tutto quello che dico è solo nella mia mente. Gli uomini in camice si avvicinano al mio corpo.
-Anna Torso, 27 anni, della provincia di Napoli, ha subito violenza carnale, in modo spietato direi. IL suo aggressore ed assassino ha infierito sul suo corpo ormai privo di vita, asportandole parte dei suoi genitali. La signora ha cercato di difendersi, sotto le unghia troviamo tracce di epidermide, la rimuoviamo per analizzarla.
Continuano a confabulare tra loro, non capisco che dicono, ma io sono qui non sono morta, guardatemi, sono qui. Cerco di urlare ma nessuno mi ascolta, ecco mio marito, piange e si dispera, ma perché non mi vedete cazzo! Sento la sua mano calda sul mio viso, una sua lacrima mi cade sul naso fino a scendere tra le mie labbra. Con un gesto dolcissimo mi chiude gli occhi.
-Addio Anna, ti amerò per sempre.