Luce

(Crippa Nicola)


La luce delle sette di sera, di quando il sole se ne va scomparendo al di là del mare, dando la buonanotte a tutta la Liguria, penetrava il soggiorno dell'interno 69, in via Orale.
Il cielo era limpido come sempre, e pure dall'interno degli alti palazzi tutti ammassati nel centro di Genova si poteva scorgerne la turchese maestria. E nonostante Filippo fosse sdraiato sul vecchio divano marrone sbattuto ad ovest del soggiorno di casa, avvolto nella penombra degli scaffali stracolmi di libri e quaderni per gli appunti, anche lui riusciva a scorgere il crepuscolo in tutta la sua possente caducità.
"Che belli i tramonti di fine estate. -pensava- È davvero triste che tra un paio di mesi alle cinque di sera sarà già buio." Filippo d'improvviso si accorse di essere ancora fuggito con il pensiero da ciò che con il corpo stava facendo, o meglio, da ciò che con il corpo Giorgia gli stava facendo. Che poi non era una cosa di corpo, non era un che di fisico. Quello che Giorgia gli stava facendo era, e doveva essere, un che di spirituale, o addirittura di religioso, stando alle complesse teorie di Filippo. E forse era proprio da questa eccessiva religiosità che Filippo evadeva, dimenticandosi di avere un corpo assai sensibile. E forse era proprio da questa eccessiva religiosità che Filippo fuggiva, dimenticandosi che la sua compagna si muoveva con un corpo sensuale, e che con quello si stava donando a lui. Ma Filippo se ne era dimenticato, e pensava che ciò che con il corpo Giorgia gli stava facendo fosse in realtà una sola questione di labbra, denti e lingua. E forse era proprio per via di quella eccessiva religiosità che Filippo scappava, perdendosi nei meandri dei suoi pensieri.
Ma ora basta, Filippo voleva riuscire a rimanere nel momento, godendone davvero, come mai era riuscito prima. Ma quante difficoltà sentiva, e quanti ostacoli vedeva tra sé e il godimento. Eppure lei si impegnava tantissimo, metteva tutto l'amore del mondo al servizio dell'eiaculazione di un pene mai davvero convinto.
La luce del sole, sempre più intensa nel suo rosso penetrante, disegnava sulla parete a destra di Filippo la skyline di via Orale, e il ventisettenne si divertiva a tentare di indovinare quale, tra le varie ombre, fosse quella del palazzo in cui abitava Maddalena, la donna con la quale perse la verginità, tanti anni prima. "Che grandi scopate con lei, -rifletteva- peccato che nemmeno con Maddalena ero capace di venire: mi piaceva tantissimo, ma riuscivo a raggiungere l'orgasmo solo con la mia mano." "Amore, va tutto bene?", le chiese Giorgia, abbattuta dall'apatia del suo compagno. "Benissimo Gio", le rispose Filippo, con una voce che sembrava quella degli scolari scoperti senza compito. "Posso continuare allora?", gli chiese timidamente; "Non desidero altro, amore mio", fu l'ipocrita replica.
La donna riprese l'amorevole risucchio e lui, come spinto da un subdolo senso di colpa travestito da dolcezza, le carezzò la fronte, sudata e in costante movimento. Filippo sorrise, divertito da quel su e giù della testa di lei, e pose quindi anche l'altra mano sulla nuca della compagna, per decifrarne i movimenti. Poi, involontariamente, le spostò i capelli, e per la prima volta le vide il dedito volto: i riccioli neri erano schiacciati sotto il peso delle mani di lui, gli occhi socchiusi ne spiavano il prepuzio mentre il delicato naso alla francese lo schivava a volte a destra, a volte a sinistra. Le grosse labbra arancio-rosa di lei assumevano quella forma ovale che sola sa convertire l'amorevole in erotico, e quando risalivano in direzione del glande lasciavano spazio visivo ai raffinati denti bianchi, pronti a mordere il sesso maschile. Quando invece le labbra scendevano verso il basso, le guance della donna a turno si gonfiavano, passandosi il sempre più retto testimone. Ai lati delle stesse guance, boccoli neri oscillavano vertiginosamente, e il loro altalenare era condito dai gemiti della golosità. Dietro i boccoli si intravvedevano invece delle nude e longilinee gambe, con le ginocchia appoggiate al materasso marrone del divano e le cosce perpendicolari ad esse, sopra le quali le perfette forme del sedere di lei erano esaltate dal fine perizoma in pizzo nero.
Guardando quello, Filippo si rese conto che con le mani sulla nuca della compagna co-pilotava il movimento erotico. Il giovane sentì un tremendo batticuore: era la prima volta che si trovava in una simile situazione. Sarà rispettoso nei confronti dell'amata? Come avrebbe potuto poi lui guardarla di nuovo in faccia? Il genovese ora, però, non riusciva più a pensare a simili interrogativi. E non riusciva nemmeno a trattenere i suoi gemiti, dando per la prima volta suono alla sua vorticosa goduria. D'improvviso sentì un formicolio alle braccia, poi alla gola e infine alla lingua. Il cuore gli pareva battere come nei peggiori incubi, quelli in cui devi scappare lontano da chi vuole ucciderti, e da ovunque l'uomo grondava sudore. "Che cazzo mi sta succedendo?", questo era l'ultima frase che la sua mente riuscì a formulare. E poi furono solo interazioni di vocali: "Oooh", "Aaahh"
Anche Filippo ora si muoveva, fluttuoso insieme alla compagna, anche lui partecipava ai suoi fremiti. Gli sembrava che tutta la stanza si stesse comprimendo intorno a lui, e che lui fosse al centro di un mondo al collasso, che con immane energia schiacciava tutte le sue montagne e rocce e vette contro il suo maschio corpo. Filippo non riusciva più a capire se aveva gli occhi aperti o chiusi, e nemmeno dove si trovava: i lineamenti di lei, prima definiti e delicati, ora erano vaghi e sfuocati, i suoi capelli erano una piovra o un buco nero o un uragano, le sue cosce erano muscoli sessuali, o latte divino. Filippo tentò di recuperare il controllo fissando un punto dritto a sé, e scelse di concentrarsi quindi sul triangolino nero di pizzo tra i glutei di Giorgia, ma anche quello pian piano sbiadiva nel tutto, o nel nulla. Rimaneva solo, intorno a Filippo, un argenteo nero. E anche di Filippo rimaneva ormai soltanto quell'argenteo nero, in un intensissimo chiaro scuro. Non esistevano più contorni, ne silenzi interrotti da gemiti, ne gemiti interrotti da silenzi. Esisteva un tutto, o un niente. L'unica costante era la luce del sole che tramontava, sempre più rossa e decisa. Quella rimaneva quando i corpi perdevano forma. E anzi quella diveniva sempre più piena, ed avvolgente, mentre le altre cose perdevano forma.
Ora tutto era quel rosso, e nulla fuori di quello. Un rosso forte e candido, un rosso tendente al bianco, un rosso accecante. Un rosso in fremito, un rosso incontenibile, un grosso rosso sul punto di esplodere. Una rossa esplosione, un'eiaculazione orgasmica, un reale sbiadito davanti al fuoco dell'inconfondibile vibrazione della vita, un quotidiano che pian piano riprendeva i suoi contorni, mentre lei ingoiava, felice, i frutti del suo uomo, quando anche la seconda metà del sole stava per spegnersi sotto il livello del mare.