Alieni

Mentre viaggiava sull’autostrada Lea pensava a tutte quelle giovani donne sparite, le sembrava
strano, tutte in quei luoghi che lei stava attraversando, tutte dopo l’imbrunire; aveva paura,
sperava di arrivare dalla cugina prima che la luna diventasse alta nel cielo, ma era partita tardi
da casa, cercò con la mente il ricordo di qualche motel sulla sua strada, non voleva rimanere da
sola, avrebbe affittato una camera per le ore notturne. Ecco in lontananza s’intravedeva l’insegna
del motel, Lea pigiò il piede sull’acceleratore, desiderava arrivarci il prima possibile, ma 
all’improvviso la sua macchina non rispondeva più ai suoi comandi, per quando Lea tenesse stretto
il volante, la macchina sterzava verso sinistra, ci fu un bel sobbalzo e la macchina, a velocità
elevata, scavalcò la cunetta che delimitava la carreggiata e s’inoltrò nella boscaglia.

Lea teneva il piede sul freno, voleva fermare quell’assurda corsa, ma la macchina non rispondeva
ai suoi comandi, il panico s’impadronì di lei, non sapeva cosa stava succedendo. L’auto continuava
a viaggiare a zig-zag evitando gli alberi e gli arbusti fino a una radura dove si bloccò letteral-
mente, Lea uscì dall’auto, si guardò intorno, che posto lugubre, spianato, senza vegetazione, c’era
uno strano odore nell’aria e poi all’improvviso, al centro della radura una colonnina sbucò dal
terreno e s’innalzava in quell’oscurità. 

Quando tutta la colonnina fu emersa per circa 2 metri di altezza, emise una luce bluastra che
illuminò tutto intorno. Lea s’accorse di non essere sola, c’erano altre auto, e donne che come lei
si guardavano stupite, Lea ebbe un conato di vomito e istintivamente calò il capo per vomitare,
in quel mentre un raggio rosso attraversò tutta la radura investendo con la sua luce tutte le donne.
Lea alzò il capo, passò la mano sulla bocca amara come per pulirsi dopo aver vomitato e si rivolse
alla donna a lei più vicina ma, guardandola. ebbe paura. Quella donna aveva gli occhi strani,
sembravano spenti, provò a chiederle qualcosa ma la donna pareva un automa, non rispose e tutte
insieme s’incamminarono verso la colonnina. 

Sui lati della colonnina si aprirono delle fessure a mo’ di porta e tutte entrarono, Lea, presa
dalla paura, imitò le altre donne ed entro nella colonnina. Appena l’ultima donna fu dentro, si
chiusero le fessure e, con una velocità incredibile, la colonnina rientrò nel terreno scendendo
parecchi metri sotto il livello stradale, poi la discesa finì, si riaprirono le fessure e tutte
le donne, a gruppi di tre, uscirono. Lea vide uno spettacolo impressionante, sottoterra c’era una
vera e propria città sotterranea, tutte le donne, sempre in fila per tre, avanzavano ordinate verso
una luce rossa e quando fu arrivata a essa la fila delle donne si aprì come un ventaglio in tre
diramazioni, ognuno seguiva la scia di una nuova luce. La fila di Lea rasentava una parete che pareva
fatta di ghiaccio e mentre camminava Lea notò come una grata  semi spostata. Veloce la tirò via
entrando in un cunicolo, si girò e rimise la grata al posto suo e si inoltrò strisciando lungo quel
cunicolo.

Ogni tanto c’era una nuova grata e Lea sbirciava, vedeva sempre le donne che continuavano la loro
marcia, fino a un laboratorio di forma rotonda, alle pareti c’erano dei tubi e dei fili predisposti
in numero uguale ogni 60 cm; le donne, spinte da una strana memoria collettiva, si posero lungo le
pareti in modo tale che ognuna di esse avesse una coppia di fili rossi a destra e uno argentato a
sinistra.
Quando tutte le donne furono in posizione, dei ganci uscirono dalle pareti e bloccarono le donne al
collo, ai gomiti e poi sulla fronte, l’ultimo gancio era strano, era formato da una banda larga con
fessure di misure diverse; da ogni foro uscirono dei terminali, uno alla tempia sinistra che con un
ago entrò nella carne, in quell’istante gli occhi della donna tornarono normali, uno sguardo
impaurito e angoscioso, si sentì quasi all’unisono un grido di terrore e di dolore, nella cannula
del terminale si videro passare alcune gocce argentate e man mano che entravano nella tempia della
malcapitata si sentiva un urlo agghiacciante, un altro terminale si pose sull’addome delle donne e
successe la stessa cosa, un ago (questa volta ben più lungo). 

S’infilò nell’addome delle donne che questa volta non urlarono, nella cannula si videro passare gocce
di colore diverso, poi il terminale sull’addome si ritrasse e sparì nel buco del gancio da dove era
uscito, altri due terminali uscirono dal gancio sulla fronte, uno entrò nel torace ad altezza del
cuore e un altro nell’addome su un fianco, pure questa volta non ci furono urla, segno che non c’era
dolore.

Lea dal suo nascondiglio vide tutto, non capì cosa stava succedendo ma il suo terrore era grande,
decise di spostarsi da li e andò avanti strisciando nel cunicolo. Passò dinnanzi a molte grate, alcune
si affacciavano su laboratori simili al primo, altre su una sorta di magazzino, forse dei depositi.
Poi all’improvviso li vide, in uno di quei laboratori c’erano degli esseri strani, avevano un corpo
longilineo ma no come gli umani. Avevano il capo ovale con delle escrescenze sulla sommità, in alcuni
di esse le escrescenze erano appena abbozzate in altri erano grandi, in pochi erano più grandi ma
afflosciate, come se si fossero svuotate del loro contenuto, non avevano collo o se c’era doveva
essere molto corto tanto che non si distingueva. 

Il tronco era tozzo,quadrato, ai lati del tronco, a metà altezza  due braccia veramente corte rispetto
alle proporzioni del corpo, terminavano con solo tre dita  e poi due gambe, lunghe e snelle come due
trampoli, ma dovevano avere più di una articolazione perché erano molto mobili. Finivano con una base
pelosa, quando si muovevano i peli emettevano uno strano sibilo, come se risucchiassero aria per lo
spostamento (come le spazzole di un aspirapolvere), sul fianco di questi essere c’era una specie di
bomboletta con del liquido rosso e una cannula posta sulla testa di quegli esseri. Più Lea avanzava
più il suo terrore aumentava, si trovò davanti ad un laboratorio con le donne fissate alla parete con
i soliti ganci, parevano più vecchie, avevano la pancia gonfia e si lamentavano, le loro braccia erano
rinsecchite come se si stessero seccando come un ramo senza più vita, Lea piangeva, di un pianto
silenzioso, impotente, continuò ad andare avanti, altri laboratori, altre donne, altre pance, più
gonfie con qualcosa che si muoveva e poi quegli esseri che nutrivano quelle donne con pezzi di...
pareva carne cruda; ogni alieno nutriva cinque donne, si disponeva davanti a loro e con un telecomando
faceva salire dal pavimento un pilastrino, ne uscivano dei terminali che imboccavano le donne che
scuotevano, o almeno ci provavano, il capo e v’infilavano a forza la carne in bocca e in breve nutri-
rono tutte le donne di quel laboratorio.

E Lea proseguiva il suo viaggio silenzioso fino a quel laboratorio dove al posto delle donne, aggancia-
te al muro c’erano degli uomini, molti di loro avevano il capo inclinato in una posa innaturale, tutti
avevano ferite  che grondavano sangue e dei terminali con delle tenaglie alla fine, tenaglie a quattro
punte, agganciavano la carne del prigioniero e con una torsione e uno strappo veloce dilaniavano il
corpo dell’uomo.

Lea fu costretta a sedersi, si mise la mano davanti alla bocca e premeva forte fino a che le sue
nocche non si fecero bianche, non doveva urlare ma il disgusto ed il dolore era incessante e poi si
sentiva lo stesso olezzo della radura.

Lea capì che usavano gli uomini per nutrire le donne, Dio che disgusto, che atrocità; i suoi pensieri
furono interrotti da lamenti più sonori, si rimise in camino verso quei lamenti. Trovò un altro labora-
torio, altre donne, la loro pancia era spaventosamente grossa, si muoveva tutta come se al suo interno
ci fosse qualcosa che voleva uscire e le donne urlavano, ma forte, in modo straziante. Lea continuò
e in un altro laboratorio le donne dovevano essere morte, non si muovevano quasi il loro addome era
impressionante e alcune di esse si intravedevano delle mani piccole ma molto piccole che stracciavano
la carne per aprire un varco da dove ne uscivano di esseri simili a quelli adulti, ma ne erano tanti
per ogni addome, un odore nauseabondo e quando tutti gli ospiti erano fuoriusciti, la donna o quello
che restava di essa veniva sganciata, i piccoli esseri, traballanti sulle lunghe gambe, come se
ubbidissero ad un tacito comando si incamminavano verso un altro laboratorio. Le donne o quello che
restava di esse veniva sganciato, cadeva a terra, delle macchine ripulivano tutto, Lea, presa da un
frenetico delirio, si spostava lungo il suo cunicolo, arrivò a una grata, vi guardò e vide tutti
quegli esserini che si avventavano sui resti degli uomini usati per mangimi per le donne. 

Lea appoggiò le spalle al muro, pensò  perché nessuno su in superficie si era accorto di tutto ciò,
da quando tempo andava avanti questa storia? Come poteva lei fermarla, come poteva fuggire da un
simile luogo? Non ricordava neanche la strada che aveva percorso. Cosa mai poteva fare? Come dare
l’allarme, come poteva salvare il suo mondo?

Lea non sapeva proprio cosa fare, doveva cercare il centro di quella cosa, ci doveva essere un
punto di inizio e incominciò di nuovo a muoversi, non sapeva neanche lei per quanto tempo camminò
carponi, le ginocchia indolenzite, le mani ormai fredde le procuravano un dolore sottile e continuo,
ma Lea non voleva fermarsi, doveva fare qualcosa. Continuò il suo cammino, ma ormai non si reggeva
più, sbandava, urtava sulle pareti e faceva rumore, un rumore sordo, doveva stare attenta, ma era
troppo stanca, non riusciva quasi più a muoversi. All’improvviso vide delle grate che si aprivano,
degli esseri le bloccavano il passaggio, cercò di tornare indietro, ma anche dietro di lei c’erano
quegli esseri, li aveva su tutti i fronti, era stata scoperta, cosa mai poteva fare? Affidò la sua
anima al suo Dio e si lanciò verso il nemico, senza armi, solo con la sua disperazione, fu agganciata
da quelle mani, fu stretta da quelle tenaglie, fu ferita da quelle tenaglie, con gli occhi cercò la
luce, cercò il suo mondo, cercò i visi della sua gente, ma sapeva che lì sottoterra non c’era nulla,
emise un ultimo grido e il suo corpo martoriato non si agitava più.

Delle macchine stavano ripulendo tutto quando il silenzio di quel luogo fu interrotto da un boato,
in poco tempo si formò un fungo di polvere dalle dimensioni enormi,  poi il  centro del primo fungo
fu raggiunto da un secondo missile. Ci fu un vento che spazzò con violenza tutta la superficie, tutti
quegli esseri si frantumavano come castelli di sabbia, e poi ci fu un silenzio universale.

Comando delle Forze Unite : 
In data odierna sganciati due missili in zona convenuta.            
Distrutta tutta la cellula.
No resti di attività fisiche.
Contaminata zona suddetta.
Messa in sicurezza zona suddetta.
Nuovo livello sicurezza : GIALLO
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