Gli antichi mestieri di Napoli

Oggi vorrei parlare degli antichi mestieri della mia città di origine, Napoli, dove ho vissuto gli anni magici
della mia infanzia, mestieri di cui oggi alcuni sopravvivono, anche se si sono trasformati. Prendetelo come un
gioco di un'anima che ama sempre riallacciare il presente col passato, affinchè l'uno non resti sradicato
dall'altro. 

Gli antichi mestieri del mio paese dimostrano anche la capacità del popolo a cui appartengo, di conoscere bene,
l'arte di arrangiarsi e di inventarsi la vita. Quando vivevo a Napoli, giravo spesso per le strade perchè mia
madre mi affidava diversi lavoretti da fare ed io, che ero curiosa, andavo infilando il naso dappertutto perchè
quella città mi sembrava veramente un palcoscenico all'aria aperta. C'erano allora le botteghe che vendevano
solo i vini e gli oli sfusi, quindi bisognava portare un bottiglione di 2 litri. Per le strade, si incontravano
i Lustrascarpe, che avevano una grossa poltrona rivestita di velluto e molto comoda, su cui il cliente veniva
fatto sedere e mentre leggeva il giornale, l'uomo, aperta la cassetta dei suoi attrezzi, spalmava cromatina a
piu non posso e poi, con varie spazzole, lustrava e rilustrava, in piu l'ultimo tocco lo dava con un panno di
lana.

Il gentiluomo scendeva dalla poltrona come se stesse scendendo da un trono regale, poi, con gesti lenti prendeva
dalla tasca alcune monete e le porgeva all'uomo che faceva l'inchino e non la smetteva di ringraziare.
 C'erano e ci sono ancora, anche se hanno cambiato modo di essere, gli Acquaiuoli, che vendevano acqua fresca
di tutti i tipi. Liscia, frizzante, ferrata e in piu spremute di limone e d'arance che inghirlandavano, in bella
mostra, il chioschetto. L'acqua ferrata o minerale, in genere, veniva tenuta al fresco, d'estate, in grosse
anfore di terracotta che esse stesse erano un vero e proprio capolavoro dell'artigianato popolare. Mentre
giravo incontravo il Venditore di spighe di mais, che le tirava fuori da un pentolone che bolliva sempre
poichè lo stesso poggiava su un fornelletto, dove bruciava carbone. Per lo piu, questi uomini erano poverissimi
e vestivano sempre in maniera molto approssimata. 

Io ne ricordo uno che si era conquistato un suo posticino fisso, ai mercatini alimentari. Era grande, grosso e
le magliette, sempre troppo corte, gli lasciavano fuori il vistoso pancione, mentre i pantaloni erano troppo
stetti ma lui aveva un faccione allegro, e così, con questo sistema, manteneva la sua famiglia. C'erano poi i
Mellonari, che d'estate vendevano, per strada, fette di anguria fresca. La gente si sedeva intorno ai tavolini
improvvisati, posti sui marciapiedi, e l'uomo, faceva scegliere l'anguria, tra tante, messe a rinfrescare in
una grossa tinozza di legno, con bacchette di ghiaccio. Immediatamente l'uomo affettava tutta l'anguria e ne
portava due fette enormi ciascuno. Che goduria, per noi bambini! C'erano poi i Tarallari, che vendevano i taralli,
impastati con lo strutto e pieni di mandorle, panini con soffritto (interiora di maiale, passate in padella con
crema di peperone rosso, alloro ed altre spezie). 

I Frittellai, venditori di frittelle, pasta cresciuta (pasta delle pizze) riempite di tutte le verdure di stagione:
le piu gustose erano quelle semplici o quelle con i fiori di zucchine e i "cicinielli" (sarebbero le alici con
pochi giorni di vita, chiamati bianchetti). Inoltre, per le strade, si sentivano spesso le urla degli arrotini,
degli ombrellai, dei riparatori di fornelli, dei venditori ambulanti che tenevano stese su un braccio teso, tutte
le loro mercanzie (cinture per pantaloni, borsette per bambini e altri giocattoli, e tra le mani accendini, sia
per sigarette che per fornelli). Inoltre ,ricordo ancora i venditori di granite, gente che viveva nei bassi, case
poverissime che davano direttamente sulla strada, senza finestre e senza luce che, di solito, venivano fittati ai
commercianti. Fuori i bassi, c'era un vero e proprio commercio. D'estate, appunto, grattavano le bacchette di
ghiaccio che tenevano chiuse in panni di lana e su cui versavano a richiesta sciroppi rinfrescanti: menta, granatina,
orzata, fragola, limone... Ricordo che costavano 5 o 10 lire, a seconda della grandezza. Nei giardinetti pubblici,
unico svago domenicale o estivo, per quasi tutti i bambini, c'era sempre una coppia di coniugi molto anziani che
dovevano "guadagnarsi la giornata" e allora si ingegnavano così: avevano riciclato, chissà dove, vecchissime
biciclette a 3 ruote, come grossi tricicli, tutte di ferro, che nella povertà generale, ai bambini sembravano
bellissime. Anche qui con 5 lire si facevano 5 giri corti, mentre con 10 i giri erano piu lunghi. La volta che
mio padre e mia madre ci portavano, tutto finiva nel pianto, poichè noi non ci accontentavamo e avremmo voluto
girare tutta la sera.

Che sacrifici per i nostri genitori, spendere quelle poche monete, con le quali avremmo potuto comprare il pane
per uno o due giorni. Dinanzi alle case (parlo degli anni '50) o dinanzi ai negozi, c'erano spesso fermi dei cavalli
in sosta, con il muso infilato nel sacco dell'erba. Mi incuriosivano molto questi animali che non avevo mai visto
e poichè uno di loro stava fisso dinanzi al negozio di mio padre, mi sedevo sul marciapiede avanti a lui e gli
parlavo, ma il cavallo non mi rispondeva, al massimo mi guardava interrogativo, con i suoi grandi occhi buoni.

Un giorno fui colpita dall'arrivo di un uomo con un sacco sulle spalle, piuttosto sudicio nei capelli e nel-
l'aspetto, il quale, trasse una palettina e raccolse il letame dell'animale, che sporcava la strada. 
Questo episodio mi ricorda sempre quella bella pagina dello scrittore Domenico Rea, in cui parla del Lutammaro:
un bambino napoletano, che sapeva parlare solo il dialetto,si era trasferito con la famiglia in una città 
dell'Italia Settentrionale. I compagni lo tenevano alla larga perchè dicevano che era maleodorante e ignorante,
perchè non sapeva parlare l'italiano. 

Un giorno, la brava maestra, colse l'occasione per mettere in buona luce, il povero bambino e fece leggere in
classe appunto la pagina che parlava degli antichi mestieri di Napoli, tra cui il Lutammaro. Gli altri bambini
si sforzavano di indovinare di quale mestiere si trattasse poichè il loro compagno, interrogato dalla maestra su
quale mestiere facesse il padre, aveva risposto:"Il dipendente comunale." La maestra,alla fine, diede la parola
al piccolo Pasquale, il quale tutto impettito ,disse che il padre raccoglieva per la strade "o lutamme" ossia
gli escrementi dei cavalli.

Tutti risero divertiti e dal quel momento cercarono di venirgli incontro. Per finire con i mestieri ricorderò
ancora: i venditori di frutti di mare, che venivano scelti dal compratore, aperti dal venditore il quale ne
faceva sentire l'odore fresco di mare, riempiti di succo di limone e un pò di pepe e mangiati così, crudi. Il
venditore di "o per e o muss": si trattava di un uomo che sul suo carrettino portava musi di maiale bolliti,
zampine e altre parti del corpo, saporite. Lo stesso, li ritagliava a minuscoli pezzi e ne riempiva un coppetto
di carta bianca, mettendovi sopra sale, pepe e limone. Veniva consumato sul posto ed era gradito molto alle
classi meno abbienti. 

A chiudere questo elenco, ma sicuramente ce ne sono stati altri che ora mi sfuggono, poichè i napoletani
vendevano tutto, un'altra consuetudine della vecchia Napoli che mi è rimasta nel cuore: il suono di quei piccoli
pianoforti a manovella che giravano per le strade, facendo entrare nelle case le piu belle e antiche melodie
napoletane, rallegrando anche anime tristi. L'uomo gridava da sotto la via: "Signòòò, affacciateve, vegg fatt
sentì a musica, gettateme na moneta, pur e figli miei anna campà!" Si vedevano monetine da tutte le finestre
cadere nella via e tintinnare allegramente.L'uomo le rincorreva ma a volte riusciva a prenderle anche a volo
in un piattino di metallo che aveva in mano, insomma, un vero equilibrista. 

PS: Mi piacerebbe tanto che ognuno mi inviasse un elenco dei mestieri della vostra città..Non vi sembra poesia
anche questa???
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