Fermami il cuore
Oh., mio signore tu che regni ed imperi sentimento recluso regale, sussulti nel mio petto sposo leale, congiunto alla mente roccaforte del sovrano giudizio. Non ti chiedo sollievo Io che della morte sono un suddito prelievo. Ma dimmi, tu che stendi il passo acceso della passione che ti fustighi ed erigi sull’oppressione le mura della mia prigione dimmi, cuore perché, sulla carne mi cammini dolore? Non adirarti, tua è la parola quella che mi desti, perché pensiero avessi e se te lo sputo contro è perché adesso ti chiedo il conto si, è l’ora dello scontro dov’è l’imbroglio tu che mi hai abbandonato sopra questo scoglio immerso nel male, solo, con i miei limiti per remare non m’importa, come il pianto d’onde il volto mi ha solcato vieni giù. scendi dal creato voglio poter dire che con te ho scazzottato e poi, col pane e vino abbiamo cenato. Ti supplico Esonerami dal peccato e-levami l’anima fermami il cuore.
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12-08-2014 | Redazione Oceano |
Anacenosi all’invocazione accorata alla richiesta dei tanti perché. Il sentimento non ragiona, non suddito alla mente, soppresso perché debole, invoca pietà. L’assonanza è musica, tra righe che remano fuori controllo, bruciate dal sole sullo scoglio, percosse dalla sineddoche che inquieta non toglie dolore. L’introspettivo dichiarare alla ricerca di quiete, percorre in colori scuri, l’invocazione chiara accentua la drammaticità, mentre l’epifonema non trova requie ,perché ai versi iniziali (Non ti chiedo sollievo Io che della morte sono un suddito prelievo) concilia la sudditanza all’impotenza, ai piedi dei versi (Ti supplico esonerami dal peccato e-levami l’anima fermami il cuore) ne reclama un fine, un esonero dallo stato d’appartenenza. Non ti chiedo, ti supplico è la preterizione al dichiararsi alla finzione del non dire. |