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Era stanca, stanca di aver dato tanto, in pasto a se stessa; le fauci spalancate del suo io la
divoravano fino a svuotarla. Era stata ingannata dalla sua stessa anima generosa, si era nutrita
dei suoi sentimenti e  dissetata alla fonte delle sue emozioni.

Ora la terra sterile e arida elemosinava acqua per i suoi frutti acerbi, avrebbe conosciuto fame
e sete, sarebbe stata esule tra le sue pareti. Era stanca, stanca di guardare il manto azzurro e 
vedersi piovere addosso grandine di cemento e non avere sogni sotto cui ripararsi. Stanca di 
sedersi in riva al mare ad ammirarlo e riceverne in cambio sputi di spuma fredda e rabbiosa e 
avanzi di odori acri e salmastri di salsedine. Stanca di calpestare alghe agonizzanti,  avanzi di
vita, mentre sordide conchiglie tagliavano la pelle dei suoi passi.

Stanca di aprire le finestre su un muro di mattoni a far da cielo, e persiane semichiuse a negargli
una certezza. Era stanca di capire e di non dire; e di dire e non capire. Era stanca di dormire per
sognare; stanca di svegliarsi senza aver dormito. Era stanca delle albe e dei tramonti, delle stelle
e dei bagliori, dei satelliti inventati... e solo con la luna si guardava nello specchio.