La lavandaia

(Donatelli LauraEster)


Antonietta veniva il lunedì. Magra, allampanata, il capo stretto in uno scialle che la copriva fino ai fianchi; i piedi in logore ciabatte, i capelli grigi annodati a trecce intorno alla nuca. Doveva essere stata bella in gioventù, Antonietta, ora appariva logora e stanca, il viso rugoso, la bocca un po' spiovente e i lunghi occhi sempre semichiusi, come se non volesse più far parte del mondo. Arrivava di prima mattina, il passo era lieve, si sentivano solo il fruscio delle vesti lunghe fino alle caviglie e la sua voce, che parlava a monosillabi. Entrava in cucina, chiudendosi la porta alle spalle. In casa si spandeva un forte profumo di latte e caffè, in cui la donna intingeva con avidità grossi pezzi di pane. Subito dopo, da una borsetta di stoffa che portava sempre con sé, traeva un grosso grembiule di gomma che indossava per primo. Su questo ne sovrapponeva altri due di un cotone forte e grezzo. A questo punto, si arrotolava le maniche oltre il gomito e cominciava a lavare i panni, che l'aspettavano da giorni nel lavatoio di cemento.

Lavoro pesante il suo poiché, nell'acqua lercia, venivano posti i panni più pesanti che, inzuppandosi, crescevano ancor più di peso rendendo il suo lavoro molto duro. Con apparente indifferenza, per ore insaponava, sbatteva, allargava, stringeva e strizzava, rivelando nelle braccia una forza che aveva accumulato negli anni. Il suo viso restava impassibile ma, di tanto in tanto, la donna emetteva piccoli lamenti, unico segno, per chi le stava accanto, di stanchezza. Insaponava i panni, ad uno ad uno, con pezzi di sapone duro, prima su un lato e poi sull'altro e, lavorando di polso, insisteva sulle macchie più resistenti. Man mano li sollevava dall'acqua, li strizzava e li stringeva e li gettava in una grossa bacinella di zinco. Ogni tanto, con l'avambraccio, si scostava un ciuffo di capelli che le ricadeva sul viso senza mai interrompersi del tutto. Solo quando il lavatoio fu svuotato, tolse il tappo e, mentre l'acqua sporca scendeva scivolando via tra rantoli e lamenti, si ergeva diritta sulla schiena allargando le braccia, anzi alzandole in alto come per stendersi.

Mentre scendeva l'acqua per la sciacquatura, si concedeva una piccola pausa. Si affacciava alla finestra della stanza per guardare giù nella via sottostante. Le piaceva la voce della vita che ricominciava: saracinesche che venivano alzate, quasi con gioia, dai rivenditori, le parole allegre dei bambini, che andavano a scuola con in mano i loro preziosi pacchetti: brioche, biscotti all'amarena e pasticcini alla crema comprati alla Boulangerie, nonché gli strilli di qualche venditore ambulante che vendeva verdure e frutta. Era allora che le ritornava alla mente la sua vita. Ripensava ai figli che aveva lasciato soli nel basso, come faceva quasi tutte le mattine, i più piccoli affidati alle cure dei fratelli maggiori. Tutte le volte che li lasciava soli, si sentiva fortemente in colpa, ma non c'era altra scelta.

Il marito Carmine entrava e usciva di prigione per furti e rapine e lei l'esistenza se la stava sbattendo da sola. Inconsciamente alzava gli occhi al cielo e dalle labbra strette usciva spesso un "Dio mio, Dio mio!". Richiuse la finestra e riprese con nuovo vigore il suo lavoro. L'acqua fresca e pulita le dava insieme piacere e le strappava piccoli brividi di freddo. Ad uno ad uno, fece scivolare i panni già lavati passandoli dal catino al lavatoio con un gioco armonioso delle braccia. Li sciacquò e risciacquò più volte, finché il sapone non fu tutto andato via. Infine li strizzò con tutte le sue forze riponendoli nel medesimo catino, che era stato pulito da ogni residuo saponoso. Solo allora un sorriso la illuminava: la sua giornata di lavoro era finita. Sarebbe potuta tornare dai suoi figli, con qualcosa da mettere sotto i denti.

Completò il rito. Con calma si liberò dei grembiuli, li ripose nella borsetta, che appese alla spalliera di una seggiola e andò ad aggiustarsi i capelli nel bagno. Ora era quasi bella. Con il viso disteso, appariva la delicatezza dei suoi tratti, gli zigomi alti, gli occhi di un azzurro cupo, la figura slanciata e di un'eleganza innata. Il destino l'aveva voluta lavandaia, moglie di un avanzo di galera, ma avrebbe potuto conoscere un uomo della buona borghesia. Certamente, con pochi accorgimenti, non l'avrebbe fatto sfigurare, data la delicatezza d'animo e la compostezza.