Lettera a Piero

(Giovagnetti Elzide)


Lettera a Piero

Macerata, 8 ottobre 2012

Sono venuta a scrivere ai Giardini Diaz di Macerata, sulla terrazza che permette di vedere i monti sibillini. Sembra quasi di toccarli. Volevo in qualche modo esserti vicina ricordando il giorno che sei venuto da me. Credo ci sia solo una costruzione nuova che non potresti riconoscere se ti mandassi una cartolina. Il resto è immutato anche se non ne sono così certa perché ancora cammino con la testa bassa. Anche da bambina avevo predisposizioni artistiche, ma credo di non aver approfondito con il disegno o la pittura perché i miei occhi a volte sono ciechi; le immagini si fermano nel cervello senza che io le veda, e non riuscirei a metterle nei disegni con gli stessi colori. Comunque entrano a suscitare emozioni, arricchire il pensiero che ne esce con una moltitudine di parole che vanno a finire sui libri, e qualcuno poi ne sopporta le conseguenze.

Ho pubblicato diverse sillogi di poesie e racconti e i miei amici, pentiti di avermi spinta, sono gli unici lettori del mio pensiero. Piero, i monti sibillini quasi si confondono col cielo e guardare più lontano fa dimenticare di essere seduta su una fredda panchina poco fuori dalla città, la stessa che tu venendo da Roma hai definito "piccolissima frazione di provincia". Strano essere qua a parlare al vento, ma so che i tuoi occhi scorreranno avidi sui fogli per poter toccare il mio pensiero. Per tutto il tempo che siamo stati legati dalle parole, non mi sono mai sentita sola e neanche "persa".

... Questa città sta diventando buia, le mura crollano, macerie invadono la strada, le auto cambiano corsia per continuare la marcia. Qualche piccione solitario sporca la pavimentazione delle vie deserte del Centro e nessuno a imprecare per l'accaduto, né a sorridere alla "fortuna caduta dal cielo". I bambini non sono sulla strada, lontano ricordo le loro grida festose. Barboni sempre più simili a persone comuni chiedono elemosina a chi è stanco di dover dire no. I giardini sono coperti dal cemento e l'unico albero ora piega la chioma. Violento il vento, intanto che si spegne il giorno, spezza i rami e strappa le radici dalla terra...

Non sono impazzita Piero, facevo questo gioco con te anche allora, ricordi? Descrivevo situazioni assurde e inventate, come quella volta che ti scrissi del marziano che mi aveva contattata solo per farti entrare nel mio stato d'animo. Deformazione di chi scrive? Forse... O solo usare immagini per raccontare quel che scotta nella mia testa! Voglio in qualche modo farti conoscere il mio disagio. Sono triste e confusa, ho scritto una poesia che voglio farti leggere e forse ti avvicinerà di più a me. Credo il poeta non scriva per se stesso come molti affermano. I suoi scritti non sono sterili sfoghi impressi sui fogli, sono comunicazioni e si sa che relazionarsi è fondamentale per stare seduti nello stesso mondo, per non essere allontanati. A volte pecca di presunzione e manda messaggi di comportamento. Un po' veggente prospetta ancor prima che accadano gli eventi. Il poeta "SENTE" tutto quello che non si può neanche immaginare. E' un po' come il pittore che vede sfumature dove il colore sembra compatto e ben definito. Ma sentire provoca tanto dolore o gioia che il poeta non può trattenere, escono allora parole disordinate da mettere in versi che possano trasmettere al lettore le stesse emozioni.

Piero, credo il vero poeta sia quello che tu riconosci come te stesso. Ora leggi senza pensare a nulla, lasciati cullare dalle mie parole e immagina ciò che ha girato nella mia testa prima di scrivere questa poesia.

"VITE PARALLELE"

Germoglia dal legno la vite,
tralci intrecciano tra foglie
piegate sui grappoli d'uva,
attorcigliano,
attaccano ai rami di olivo
e si allungano a fare frutti.
Stanco riposa
sotto l'ombra del ceppo
un uomo solo,
mano sulla fronte rugosa,
aperta come foglia al sole,
ricorda passi pesanti
sulle diverse vie,
tralci di vite parallele
che non intrecciano,
non fondono, né si uniscono,
sterili di frutti.
Deserti infiniti dove muore
assetato l'amore.

Ultimamente ascolto storie tristi che mi turbano fino a farmi male. Da tempo mi è quasi insopportabile comprendere gli esseri umani che giustificano ogni comportamento. Sai della mia gelosia, del mio essere possessiva in amore, e conosci la mia fedeltà e trasparenza, dunque riesci a sentire la mia angoscia. Quando vedo Lorenza, felice per la sua storia che altro non è che una costruzione di falsità con un uomo già sposato, e Teresa, che realmente è Mario, un travestito che ha fatto perdere la testa a Luigi, felicemente sposato con figli, che non ha avuto coraggio di accettare il suo essere, ecco mi viene da piangere. Per non parlare di depravati che vivono come persone rispettabili malgrado siano pedofili o amanti della trasgressione senza limiti. Spesso qualcuno muore e molti chiudono gli occhi; gli intoccabili restano puliti. Politici, dottori, professori, categorie importanti che vivono vite parallele impensabili, difficili da credere se non dimostrate. E' un mondo che peggiora la nostra condizione di esseri spenti, zombi in cerca di emozioni. Non appena si chiude il quotidiano, o la bocca della vicina che racconta i fatti del paese, tutto torna normale, il nostro treno continua a percorrere le stesse rotaie senza mai deragliare. Non ci sono uomini tristi a riflettere sotto l'ombra del ceppo come descritto nella poesia; continuano a vivere storie che uccidono l'amore.

Piero, credo il mio treno stia deragliando, rotaie sconosciute hanno deviato il percorso e non vedo dove sto andando. L'altro passeggero ha messo un piede fuori tempo e le rotaie si sono scontrate. Strane figure percorrono corridoi, le carrozze sono affollate, i mie occhi sgranati cercano di dare un nome a ognuno. Non mi sono sentita mai così spaesata a casa mia. Forse non sono nello stesso treno, avrò sbagliato stazione. Si sa, una distratta che cammina a testa bassa come me. Una che ha sempre creduto al principe e al cavallo bianco riesce a formulare la sola spiegazione di essere nel treno sbagliato. Non so Piero, come un uomo possa essere due o tre o anche quattro e sentirsi morire quando incontri gli altri tre. Lo scontro è come un getto di acqua gelida che sveglia e ti fa stringere le braccia attorno al tuo stesso corpo per ripararti. Le gocce che scivolano sulla pelle si mescolano con le lacrime che scendono dagli occhi immobili, spalancati come da un rubinetto rotto che gocciola. Movimento lento continuo quasi insopportabile se ne senti anche la caduta.

Qualcuno credo sia al mio tavolo, restano solo briciole sul piatto e ho ancora fame, non c'è più neanche vino nel bicchiere e ho ancora sete. E' come se nel mio letto, dove c'erano due soli cuscini, ci fosse una testa in più e la mia resta fuori, penzoloni... guardo il soffitto mentre la stanza gira. Non si ferma il treno impazzito, all'impatto nessuno scenderà senza ferite. L'altro è ancora nella carrozza principale, ignaro dell'accaduto. Non sa di aver deviato la rotaia con il piede e con il solito sorriso e la sua sgradevole dolcezza mi racconta delle sue monotone giornate di lavoro. Se non fossi caduta mentre il treno deragliava, lo accarezzerei come si fa con un bambino che ha bisogno di calore.

Strano, non ha notato che i miei occhi sono arrossati; le sue mani continuano a "passare" sul mio corpo come fossi l'unica donna, come se non avesse appena mangiato e bevuto. Non si è accorto che sono scesa dal treno, che ho preso carta e penna per venire a scrivere a te. Non so quale dei quattro stia dormendo nel mio letto. L' unica certezza è che sono seduta sulla panchina, con il timore che anche tu sia seduto sulla carrozza sbagliata di un treno che deraglia. A volte i ricordi tornano e ne approfitto per restare seduta ancora un po' a guardare il tramonto, gioco con la mente che già vede un ragazzo di città raggiungere la terrazza, sedersi a guardare i monti scomparire all'orizzonte mentre si fa buio e si accendono le stelle.

Non ho nessuna fretta di tornare a casa. Non posso tornare alla stazione se il treno ha già deragliato. Le ginocchia sono rigide e la spalle attaccate alla panchina, le dita non riescono a stringere più la penna; ho freddo, tanto freddo. Continuo a scrivere, seduta sulla panchina. Non mi muovo...

Ciao Piero, scrivimi se puoi. Ora ho disegnato uno scalino. Se ti va di alzare il piede, puoi entrare!


Sara.