Controcorrente

(Quaranta Enzo)


Drin, drin. Squilla il telefonino e Antonio, appena uscito dalla doccia e ancora tutto bagnato, si affretta a rispondere.
“Pronto Direttore, volevo ricordarle che alle otto e trenta c’è la riunione del consiglio di amministrazione, alle dieci ha appuntamento con la delegazione giapponese e alle sedici c’è il briefing con i dipendenti. Volevo anche comunicarle che l’ha cercata un signore di nome Mario, presentatosi come suo cugino, e mi ha detto di riferirle che è venuta a mancare sua zia Ernestina e che i funerali sono domani. Le vorrei ricordare che domani abbiamo l’incontro con la delegazione americana per la conclusione del contratto. Cosa Faccio?”
Marika è una ragazza trentenne, magra, slanciata, sempre in perfetta forma. Ha la voce stridula e un accento pronunciato milanese, e quando parla ha una velocità che ricorda i dischi che andavano a settantotto giri. Sono oramai cinque anni che è la segretaria personale del direttore Antonio. Più che segretaria è tutto fare. Organizza i pranzi e le cene del capo, manda l’agenzia a pulirgli l’attico dove vive, provvede con la lavanderia, organizza gli incontri mondani nella Milano bene. Insomma gli organizza la vita, sotto tutti i punti di vista. Ma proprio tutti! Infatti tra lei e il direttore ogni giovedì dalle venti alle ventidue, oramai da tre anni, ci sono incontri di sesso. Sulla carta Marika risulta essere anche la sua fidanzata. Peccato che la sua professionalità le impedisce di dare del “tu” al direttore, rendendo formali anche i momenti intimi.
“Grazie Marika”, risponde Antonio. “Provvedi ad inviare tramite interflora un mazzo di fiori per i funerali di zia Ernestina, tra venti minuti sono in ufficio”
Antonio, di origini meridionali, si è trasferito a Milano poco più che ventenne. Ha studiato alla Bocconi, master in Private Management a Londra, e dirigente d’azienda già poco meno che trentenne, ora, poco più che quarantenne, direttore generale di una società italo nipponica, con fatturato in biliardi e compensi per lui spropositati. Ha un attico di proprietà al centro di Milano e la sua vita è fatta di lavoro, pubbliche relazioni e shopping, con annesso incontro di sesso con Marika il giovedì sera, e sbronza con scappatella in discoteca con sconosciute giovani donne il sabato notte. Insomma, Antonio è uno che può dire di essere “arrivato”, ha scalato il successo in giovane età, è lanciato verso nuove mete lavorative ed economiche, è di bell’aspetto e non gli manca assolutamente nulla. Si è anche tanto sacrificato, perché il lavoro gli porta via quindici ore al giorno e oramai sono oltre dieci anni che non scende più al suo paese. Figlio unico di genitori contadini, scomparsi entrambi da oltre un decennio a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, non ha alcuna ragione per tornare nel suo paese d’origine. Zia Ernestina, sorella del padre rimasta nubile, era l’unica parente diretta ancora in vita. Ha anche diversi cugini viventi sparsi nel mondo. L’unico rimasto a vivere a Torremaggiore (il suo paese d’origine, incastonato nella piana di capitanata in Puglia) è suo cugino Mario, suo coetaneo e molto legati da adolescenti.
Arriva in ufficio e inizia la sua giornata fatti di incontri cadenzati, pranzi di lavoro a base di ostriche e prodotti vegetariani, e appuntamenti con i vari dirigenti dell’azienda. Alle venti entra nel suo ufficio Marika ed essendo giovedì si appresta al suo rituale d’amore, non prima di aver svolto al meglio il suo ruolo di segretaria per annunciare i futuri appuntamenti dei giorni seguenti.
“Volevo comunicarle che per imprevisti problemi metereologici l’incontro con la delegazione americana previsto per domani mattina è saltato. Pertanto le rimane come unico appuntamento domani l’incontro con i sindacati alle ore dodici” dice Marika.
“Ah cavolo, era importante l’incontro con gli americani. Senti ma hai mandato i fiori per il funerale di zia Ernestina?” risponde Antonio.
“Certo, ha anche chiamato nuovamente suo cugino Mario per dirmi che la zia Ernestina aveva chiesto espressamente di lei prima di morire e quindi sperano di vederla al funerale previsto per domani pomeriggio alle diciassette.”
“Davvero? Mi voleva tanto bene zia Ernestina. Fai una cosa, disdici l’appuntamento con i sindacati e prenotami un volo per domani mattina per Bari, con annesso noleggio auto, visto che dopo quarant’anni ancora non fanno un aeroporto degno di questo nome a Foggia. Prenota anche un biglietto aereo di rientro per domenica sera.”
“Va bene direttore”, risponde Marika mentre si sta già spogliando per adempiere al ruolo di fidanzata attraverso il costante rito d’amore del giovedì. Come amante non sarà certo il massimo, ma come segretaria è impeccabile visto che dopo mezz’ora dal termine del rituale d’amore comunica ad Antonio che il biglietto aereo è stato fatto con partenza alle ore dodici da Milano e quindi alle undici l’autista passerà a prenderlo a casa. A Bari risulta noleggiata BMW cabrio a suo nome.
L’indomani alle undici Antonio viene accompagnato in aeroporto, volo per Bari e arrivo nella città pugliese alle ore quindici. Fa un caldo insopportabile a Bari in quel venerdì di fine maggio. Con il suo bel macchinone noleggiato si dirige verso Torremaggiore. Antonio più volte si sofferma a guardare il paesaggio, uno splendido mix di colori, dall’azzurro del mare e del cielo, al bianco delle nuvole, dal verde degli alberi d’ulivo, al giallo del grano maturo, da marrone del terreno incolto al rosso delle ciliegie. Non ricordava che era così bella la Puglia, non ricordava più quei paesaggi, immerso da anni in quel grigio e ombroso colore del centro di Milano.
Arriva appena in tempo a Torremaggiore e si dirige nella chiesa di San Nicola, ubicata al centro del paese. Il feretro è già sull’altare e la messa è appena incominciata. Il suo arrivo in chiesa è accompagnato dallo stupore generale, del parroco e di tutti i presenti. Nessuno si aspettava di vederlo arrivare. Alla fine della messa Mario va verso Antonio, lo saluta calorosamente e gli sussurra nell’orecchio “Grazie a nome di zia Ernestina, vieni avanti ora” e lo trascina verso l’altare dove si consuma il rito di ricevere le condoglianze da parte di tutti gli intervenuti. Antonio, Mario e qualche altro parente di zia Ernestina, ricevono il saluto e i baci di tutti i presenti. Antonio ricorda questo rituale che ha dovuto sopportare alla scomparsa dei suoi genitori, ma non credeva che ancora si usasse questo arcano modo di esprimere solidarietà per il dolore di un defunto.
Dopo le condoglianze, accompagnano il feretro al cimitero. Attraversando il paese Antonio nota che nulla è cambiato, forse è solo peggiorato. Arrivati al cimitero il guardiano annuncia che la sepoltura avverrà l’indomani mattina perché ora è già tardi. Non è dispiaciuto perché magari l’indomani avrà l’occasione di far visita ai propri defunti.
Usciti dal cimitero, Antonio chiede a Mario dove può trovare un ristorante per cenare e un albergo per dormire. “Stai scherzando?” risponde Mario. “Questa sera si cena tutti insieme a casa di zia Ernestina e poi vieni a dormire da me.”
“Tutti chi?” pensa Antonio, ma non proferisce parola.
Sono le nove di sera e nella piccola casa che è stata prima dei nonni paterni e poi di zia Ernestina, arriva Antonio. Appena entrato non può non notare che tutto è rimasto come prima, che non è cambiato nulla, dai mobili ai colori sulle pareti. Sembra che il tempo in quella casa si è fermato a quando lui era bambino e giocava attorno al tavolo con i cugini o ascoltava le filastrocche del nonno.
“Ehi, Antonio, ben arrivato, accomodati”. In casa ci sono oltre trenta persone. Ma chi sono? Ad accoglierlo è Ninetta, cugina di zia Ernestina, una signora allegra e rotonda che lui ricordava da ragazzo. Non è cambiata molto e riesce subito a riconoscerla. Ma gli altri chi sono? Arriva Mario che capisce lo stato di confusione di Antonio dal suo sguardo, gli si siede accanto e gli dice “Ora ti faccio tornare la memoria.” Così Mario inizia a identificare ad uno ad uno i presenti, ricordando quando e dove si erano conosciuti, ricostruendo di fatto tutti gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza che avevano trascorso insieme.
Antonio a poco a poco prende confidenza con i presenti, ricorda gli aneddoti, persino alcune parole in dialetto, sorride. La tavola è apparecchiata stile matrimonio. C’è di tutto: carni nostrane, pasta fatta in casa, zuppe di verdure, insaccati. Tanti piatti tipici della cultura contadina pugliese, un ritorno, in parte, a quella che era stata le sue origini.
Si stava consumando ciò che in dialetto pugliese viene detto “ricunsilo”, La traduzione in italiano sarebbe “riconsolare”. Tradizione di cui non si conoscono le origini, ma ha come logica quella di riconsolare il corpo a seguito di un lutto. Quando muore qualcuno, i parenti meno prossimi preparano lunghi pranzi o cene per i parenti più stretti del defunto. Soprattutto nella prima metà del novecento, dove si pativa davvero la fame, era davvero un modo per tenere quanto più in forma corpi già debilitati che, a seguito del dolore per la scomparsa di qualche parente caro, rischiavano di ammalarsi definitivamente. Vi era anche un’altra ragione. Secondo la tradizione locale, l’anima di ognuno di noi viene identificata come qualcosa di reale e materiale presente nel nostro organismo, vicino al cuore, non distante dallo stomaco. Mangiare tanto, significa, nelle credenze popolari “far scendere il dolore dell’anima”, come se fosse stato possibile defecare la sofferenza per un lutto. Si racconta che negli anni settanta, un certo Gigetto, persona molto povera di Torremaggiore, si ritrovò a partecipare ad un ricunsilo per la dipartita di un suo cugino. Il pranzo fu così abbondante e gradevole che quando finì di mangiare, Gigetto esclamò “Cento di questi giorni!!”, tra le facce stupite di tutti i partecipanti che leggevano nelle parole pronunciate, la speranza di futuri e cospicue dipartite in famiglia.
Antonio mangia un po’ di tutto quella sera, in ogni pietanza riscopre i profumi della terra che gli ha dato i natali, sente l’odore che respirava da bambino a casa dei suoi nonni, o i sapori delle ministre che preparava la mamma. E’ strano, ma è bastato così poco per tornare a sentirsi a suo agio, a rielaborare quei ricordi che forse anche un po’ forzatamente, aveva messo da parte.
“Ninetta, ma il pancotto non c’è?” dice Antonio, ricordando quel piatto tipico della cucina contadina, realizzato con il pane raffermo insieme ad un groviglio di verdure ed erbe della loro campagna.
“Mannaggia, a saperlo te lo preparavo”, risponde Ninetta.
La serata passa in armonia tra racconti e ricordi e Antonio quando arriva a casa del cugino Mario, crolla in un sonno profondo.
La mattina dopo, di buonora, Mario sveglia Antonio per andare a dare l’ultimo saluto a zia Ernestina. Arrivati al cimitero, il feretro viene riposto nel loculo, e si procede alla chiusura.
Mario si rivolge al cugino: “Sai, zia Ernestina insisteva nel volerti qui a Torremaggiore. Continuava a ripetermi di chiamarti, di farti sapere che stava morendo. Mi diceva che era sicura che saresti venuto, perché non si può fuggire al richiamo del sangue e delle radici.”
Antonio non risponde, ma si sente un po’ confuso. Finita la sepoltura di zia Ernestina, decide di andare a fare una preghiera sulla tomba dei genitori. Inizia a camminare nei viali del cimitero. Guarda le foto dei defunti. Vede molti visi che gli sono noti, persone che ha conosciuto da ragazzo, giovani suoi amici che hanno già lasciato questa terra. E’ un groviglio di immagini, di volti sorridenti in quel luogo di tristezza, di foto sbiadite, di fiori appassiti, di silenzio assordante. Sarà l’eccessivo caldo o la stanchezza, ma Antonio perde l’orientamento, si sente chiamare ma non vede nessuno, inizia ad avere paura, non trova la strada per arrivare alla tomba dei genitori, inizia a correre, scappa da quello che gli è un posto troppo familiare, vuole trovare l’uscita.
Fuori dal cimitero, ansimante e spaventato si siede su una panca all’ombra di un vecchio pino. E’ scosso perché ha avuto la sensazione che quelle anime, quei defunti, lo rimproverassero di non esserci stato quando lasciavano questa terra, lo rimproverassero di esser stati dimenticati seppur avevano fatto parte della sua vita.
Drin, drin, squilla il telefono. E’ Marika. “Buongiorno direttore, volevo annunciarle che è stato indetto lo sciopero dei piloti aerei. Il suo volo per domani è stato cancellato. Inoltre, la delegazione russa prevista per lunedì ha anticipato il suo arrivo e pertanto domani alle 12 sono presso la nostra azienda. Sarebbe opportuno che lei li ricevesse, pertanto se vuole mando giù un autista che possa riaccompagnarla domani.”
“Che strazio!” risponde Antonio “Farò di tutto per esserci domani alle dodici. Vengo con l’auto noleggiata, non serve l’autista. Ci vediamo domani.”
Pranzo a casa di Mario, con la moglie e i suoi due bambini. Maria, la moglie di Mario è una ragazza tranquilla e sempre sorridente, forse troppo e a sproposito. Non si è mai diplomata e ha dedicato la sua vita ai bambini, Giorgio e Luca, due monelli che non riescono a stare fermi un attimo.
Il pomeriggio Antonio ha riposato, in maniera serena e profonda come non gli capitava da anni. Dopo cena, i due cugini si ritrovano in giardino a chiacchierare tra di loro, bevendo del vino rosso. Sarà colpa del vino, sarà per i piacevoli ricordi di gioventù, ma oramai entrambi ridono a crepapelle.
E’ notte quando Antonio, un po’ alticcio, chiede a Mario: “Ma mi spieghi perché hai deciso di tornare a Torremaggiore? Ti mancavano due esami per laurearti alla Luiss, avevi un futuro roseo, fatto di soddisfazioni, soldi e donne. E tu che fai? Torni a Torremaggiore, ti sposi con Maria che non è mai stata un arco di genio e ti metti a fare il contadino, senza alcuna ambizione e senza alcuna prospettiva? Ma mi spieghi perché?”
Antonio è sempre stato in competizione con Mario. A dirla tutta, Mario era un passo avanti rispetto ad Antonio: a scuola aveva i migliori risultati, nello sport vinceva tutte le competizioni, e anche con le ragazze era quello più attraente.
Mario, con estrema serenità risponde al cugino: “Ti ricordi quando abbiamo fatto quella regata a Vieste tanti anni fa?”
“Certo che me lo ricordo!” risponde Antonio. “Eri primo fino all’ultima boa, e poi sei andato fuori rotta, perdendo la gara. E’ stata l’unica volta che ho vinto io.”
“Ecco, ricordi benissimo. A quell’ultimo giro di boa ho sbagliato davvero la manovra, ma avrei potuto correggere la rotta ed andare a vincere. Mentre stavo per farlo, ho visto il colore del mare controcorrente. Era di un verde cristallino. I pesci nuotavano verso di me, potevo guardarli nella loro bellezza. Anche il vento finalmente spirava sul mio volto, riempendomi i polmoni di ossigeno e le narici di acqua salmastra. Ecco, in quell’istante ho capito che andare controcorrente non sempre è sbagliato. Quelli che hanno definito i canoni di felicità, che hanno deciso quale è la strada giusta da percorrere nella vita, convinti che sia una costante rincorsa dell’effimero, dell’inutile, dell’apparenza, non è detto che abbiano ragione. Io ho deciso di andare controcorrente, e sono felice di quello che ho, di quello che vivo.”
“Senti Mario, io non ti ho capito allora e non ti ho capito ora. Credo tu abbia perso tante buone occasioni. Ora però sono ubriaco e vado a dormire perchè domani mattina devo ripartire.”
“Antonio, posso farti io una domanda ? Tu hai soldi, fama e donne, ma sei felice?”.
Antonio non risponde a quella domanda e sente di colpo salire un gran calore su tutto il corpo. Non si è mai chiesto se fosse davvero felice. E’ turbato e non solo per colpa dell’alcol.
L’indomani, di buon ora, Antonio è pronto a partire. Lo aspettano tutti vicino alla macchina. Parenti indiretti e semisconosciuti con i quali ha trascorso queste due giornate. Chi gli dona dei dolci, chi gli ricorda che al nord ci sono altri loro parenti, chi come zia Ninetta ripone un tegame sul sedile anteriore dell’auto, raccomandandosi di aprirlo solo quando giunge a destinazione.
Si riparte, con la comoda BMW cabrio noleggiata, per cercare di raggiungere Milano in tempo per l’arrivo della delegazione russa.
In autostrada il paesaggio della costiera Adriatica è meraviglioso in questa splendida giornata di sole che annuncia l’arrivo dell’estate. Antonio è in ritardo per l’appuntamento a Milano, ma vuole godersi più che può lo splendido quadro che la natura gli offre.
All’altezza di Pescara vede però una lunga fila di auto. A causa di un incidente l’autostrada è interrotta e il traffico viene dirottato lungo la strada statale che costeggia il litorale adriatico ed è immersa nella macchia mediterranea. Sulla statale il traffico è ancor più intenso e si cammina a rilento. Antonio riceve ogni venti minuti una chiamata dalla segretaria Marika che vuole essere aggiornata sui tempi del ritardo.
Dopo un’ora di statale non ha percorso nemmeno quaranta chilometri ed è oramai chiaro ad Antonio che il suo appuntamento è saltato, ma, a differenza del passato, questo disguido non gli pesa affatto. Apre il tettuccio dell’auto e viene inondato da una miriade di profumi e colori. Sente l’odore salmastro della brezza marina mischiarsi con l’odore del biancospino e del pino. L’azzurro splendido del mare è striato dai meravigliosi colori pastello della natura risvegliata, il tutto illuminato da uno splendido sole .
In una delle pause forzate dal traffico, decide di aprire il regalo di Ninetta. Nemmeno toglie la tovaglia che avvolge il tegame e viene travolto da un profumo orami celato nella sua memoria. E’ pan cotto! Respira profondamente ad occhi chiusi quel meraviglioso odore, e mentre il vento gli accarezza i capelli asciugandogli il sudore, rivive come flash immagini meravigliose della sua infanzia, della sua gioia, della sua spensieratezza, della sua innocenza. Interrompe questo momento meraviglioso il solito drin drin del telefono che annuncia l’ennesima chiamata di Marika.
E’ un attimo, e quel telefono inizia un lungo volo per diventare oggetto di gioco per i pesci nel mare. E’ una liberazione per Antonio. In quell’istante, solo in quell’istante ha compreso il significato profondo delle parole di Mario, ha capito quanto siano importanti le piccole cose, quanto la felicità passi attraversi questi gesti, queste sensazioni, questi attimi. Ha capito che felicità e semplicità sono due meravigliosi sinonimi. Ha capito che gli stereotipi che propina la società non sono per forza i migliori e che vivere controcorrente è un’arte riservata agli eroi.
Un’inversione ad U dell’auto si torna a Torremaggiore, verso le proprie radici, verso le proprie origini, verso un’altra vita, o meglio, verso la propria vita.
Controcorrente, verso la felicità!