Tracce sul web   L'Oceano nell'Anima
 
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Maria Teresa Infante e Massimo Massa
blog giornalistico

Articoli


Maria Teresa Infante

Nasce e vive a San Severo(FG). Consegue la Maturità Magistrale e due specializzazioni didattiche a indirizzo Montessori/Froebel. Pubblica nel 2012 la silloge poetica
Quando parlerai me
Nel 2014 la sua seconda silloge dal titolo C'è sempre una ragione

Vincitrice e finalista in numerosi concorsi poetici e letterari, è presente in numerose antologie poetiche, tra le quali l’antologia di arte e letteratura serba Majdan con una nota biografica e tre sue poesie tradotte in lingua serba.

Membro della Redazione del sito L’Oceano nell’Anima
Vice-presidente dell'associazione culturale L’Oceano nell’Anima
Membro del C.D. dell’associazione culturale internazionale Verbumlandi-art
Ideatrice e amministratrice del gruppo facebook
Ciò che caino non sa, atto a sensibilizzare tramite forme di arte e poesia, verso la violenza e gli abusi all’universo femminile.

Nell'ottobre del 2014 viene insignita del titolo di ambasciatrice di pace nel mondo dalla Universum Academy
Switzerland



Massimo Massa

Nasce a Bari nel 1960. Consegue la laurea in Scienze dell’informazione anche se la sua inclinazione poetica lo avvicina al mondo della letteratura; nel 2013 pubblica Evanescenze
E' in pubblicazione il suo secondo libro dal titolo Geometrie dall'infinito

Vincitore e finalista in numerosi concorsi poetici e letterari, è
presente in numerose antologie poetiche, tra le quali l’antologia di arte e letteratura serba Majdan con una nota biografica e tre sue poesie tradotte in lingua serba.

E’ l’ideatore ed amministratore il sito poetico
L’Oceano nell’anima.
Presidente dell'associazione culturale
L’Oceano nell’Anima
Socio fondatore e membro del C.D. dell’associazione culturale internazionale
Verbumlandia-Art
con l'incarico di vicepresidente.
Amministratore del gruppo facebook
Ciò che caino non sa


Feuditalia

Marco Ambrosi

2015-11-10



Da grande vorrei fare l'astronauta.

C'è una tradizione ben consolidata nel Paese Italia, democratico, moderno, industrializzato, patria del cristianesimo, che lascia solo sognare le nuove generazioni, ma in verità non riesce ad essere una spalla concreta per l'inventiva. Le università sono aperte a tutti, molti riescono a laurearsi con soddisfazione, anche delle famiglie, economicamente "normali", ma poi vige un sistema di accentramento per il quale la meritocrazia scompare. Le aziende familiari rappresentano in tutti i continenti una componente fondamentale dell'economia, non solo sotto il profilo dell'incidenza numerica ma soprattutto per il loro contributo al PIL ed all'occupazione, da questo deriva che il volere delle nuove generazioni non è ascoltato dal sistema, poiché la solidità economica inibisce l'ambizione e l'iniziativa in campi diversi.In Italia si stima che le aziende familiari siano l'85% del totale, alcune si distinguono anche per la longevità: tra le prime 100 aziende più antiche al mondo, 15 sono italiane e tra queste le Fonderie Pontificie Marinelli (anno di fondazione 1000), Barone Ricasoli (1141), Barovier & Toso (1295), Torrini (1369) e Marchesi Antinori (1385) tuttora in esercizio.

Molti giovani che non appartengono però a questa cerchia ristretta e consolidata sono costretti ad emigrare in altri paesi per avere le possibilità che in Italia non trovano, poi c'è da dire che esiste un feudalesimo proprio nei posti che contano e che vengono tramandati di padre in figlio. Riformare gli ordini professionali non è cosa semplice. Compiti amministrativi, incarichi del settore privato come le banche, possono per statuto interno, tramandare il posto di lavoro, quasi fosse ereditario, cosicché la giovane promessa del teatro, o il naturalista con la passione della ricerca, sceglie mentalmente un lavoro sicuro, che infine conta economicamente, ma lascia ben riposti nei cassetti i propri sogni, continuando ad incrementare la tradizione feudale dove si è nati e cresciuti.

Attualmente in Italia si contano ventotto professioni regolamentate. Alcune sono di antica tradizione, tanto da risalire alle corporazioni di epoca medievale, e sono state ufficialmente riconosciute all'inizio del secolo scorso, come quella dei medici (1910), dei notai (1913), degli architetti e ingegneri (1923). Altre più recenti si sono aggiunte nel corso del tempo. Medico, avvocato, farmacista e giornalista sono le professioni per le quali l'avere un familiare già iscritto all'ordine facilita maggiormente l'accesso. Il grado di familismo in queste occupazioni è in media quattro volte superiore a quello di un lavoratore autonomo generico e se le famiglie sono luoghi in cui si forma uno specifico capitale umano, allora le connessioni familiari sono più forti nel determinare l'accesso a una professione, ma non sempre questo risulta migliorativo della qualità dei servizi offerti.

Il livello medio delle prestazioni, in effetti, è peggiore là dove il ruolo delle famiglie diventa quello di abbassare le barriere per l'accesso alla carriera, per poi diventare addirittura agevolazione o privilegio, utilizzando pratiche nepotistiche e corporative, oppure sfruttando favoritismi completamente illegali. Basterebbe solo un legittimo sostegno a quei giovani per incanalarsi nelle attività di famiglia, tipo la cessione di un portafoglio clienti che lascia campo libero per maturare una personale e costruttiva esperienza. Garantire qualità e trasparenza ai consumatori è il principale obbligo in ogni campo, ma con questo sistema non viene sempre raggiunto.

In parlamento, dove siedono moltissimi professionisti, non verrà mai presa l'iniziativa per eliminare i privilegi della casta; avvocati-onorevoli bloccano ogni tentativo di riforma. È emerso da un'indagine di una nota facoltà Italiana, la Bocconi, che in otto professioni su undici il grado di familismo è più alto di quello registrato fra i lavoratori autonomi generici. Per medici, avvocati, farmacisti e giornalisti questo indicatore è quattro volte superiore, anche se sempre meno della metà di quello che si registra per i docenti universitari. La relazione fra le famiglie e l'accesso alla professione dovrebbe essere solo una sorta di start up nelle conoscenze, per maturità ed esperienze acquisite, conservate come tesoro di una dinastia che si tramanda. Un avvocato capace può e deve insegnare il mestiere al figlio che avrà più probabilità di riuscire a iscriversi all'albo rispetto a chi non ha parenti già attivi nella professione.

Il problema vero è che spesso l'incidenza del cognome è sintomo di pratiche nepotiste e la forza delle connessioni familiari consente a individui con scarse capacità di diventare professionista stimato più facilmente rispetto ad altri aspiranti. Inoltre diversificare il tessuto economico sarebbe un fattore importante per attrarre e iniziare la nuova generazione a produrre nuovi mestieri e nuove professionalità, interessanti per tutti i settori, in primis il Paese Italia. Non capita spesso di assistere all'affermazione individuale dei "signor nessuno", giovani talenti specialmente di provincia, colonie di ragazzi che vengono poi orientati nel mestiere o nelle attività più disparate. La mente brillante deve spesso fare i conti con una società chiusa a livello di impieghi e utilizzo delle risorse, proprio per quel malcostume della raccomandazione.
I figli del dopoguerra, hanno visto costantemente crescere le proprie possibilità economiche, trainate dal bel momento che negli anni 70/ 80/ 90 ha gonfiato la bolla speculativa, a beneficio dei grandi interessi bancari, assicurativi e di potenziali investimenti in aree sconosciute della terra.

Ma la realtà è anche un'altra: quanti sono stati i genitori che nonostante il benessere dato dalla propria impresa hanno spronato i figli al fatidico salto al buio, alla scoperta di orizzonti nuovi, verso i quali, con l'inventiva tutta italiana, avremmo ottenuto quelle basi di cui oggi abbiamo più che mai bisogno? Il male di questo Paese e di tutti quelli industrializzati è da tempo il sedersi sugli allori, lo stesso che chiamo "sindrome dell'impero romano". Per decenni il malcostume ha rubato non solo le speranze, ma ha annullato tutte le iniziative e oggi la classe politica corre al riparo condannando questo passato senza crederci troppo, ma servendosi dei proclami al cambiamento che non sono altro che propaganda. Basterebbe capire che la meritocrazia è una pietra miliare del nostro tempo e di quello che verrà. Solo così potranno ripartire le basi per una vera e propria crescita.

Ho scritto questo articolo nel vespro serale, prima di sedermi a cena con la mia famiglia. Durante la giornata, ho sostituito la serratura del portone di casa di un noto giornalista. Mi diceva di non avere idee per l'articolo di fondo del giorno successivo, mi ha raccontato che nel 1985 una raccomandazione di suo padre, giornalista sportivo di una famosa testata, lo aveva incoronato piccolo Re in quella realtà locale e da lì non si era più mosso. Nel tempo era diventato pure bravo, ma doveva cercare sempre suggerimenti e idee nuove per scrivere qualcosa di interessante. Si è rivolto a me, dicendomi quanto sarebbe stato felice di fare la mia professione. Io gli ho semplicemente risposto che pure io avevo subito la stessa ingiustizia.

 
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data da commento
24/11/2015 mirella musicco Siamo in un paese non garantista, nonostante le numerose voci che proclamano la democrazia. E' ancora la famiglia l'unica ancora per il volo dei nostri figli: il nostro futuro. Interessante e vera disamina su un substrato che raccoglie ancora cocci di speranze lasciate andare al vento. Grazie Marco
11/02/2016 Maria Teresa Infante Un articolo che ho trovato di grande interesse e che denota spessore culturale e critica capacità di giudizio. Grazie Marco per averci fatto entrare nella tua realtà, non dissimile dalla nostra e ancora complimenti
13/09/2016 rosymarinelli Bravo Marco hai fatto un escursus sul lavoro nel nostro paese dai nostri tempi ad oggi, non è cambiato molto, anzi è peggiorato e i nostri figli sono vittime del sistema ,costretti a migrare al nord ancor più all'estero per trovare qualche lavoro, altrimenti restano sulle spalle dei genitori fino a tarda età, ciao Marco un abbraccio
15/09/2016 marco ambrosi Comunque sia la meritocrazia è ancora lontana anni luce, tanto che per accedere alle università più importanti bisogna avere buona preparazione ma anche buoni del tesoro da spendere. Grazie mille a tutti