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Maria Teresa Infante e Massimo Massa
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Articoli


Maria Teresa Infante

Nasce e vive a San Severo(FG). Consegue la Maturità Magistrale e due specializzazioni didattiche a indirizzo Montessori/Froebel. Pubblica nel 2012 la silloge poetica
Quando parlerai me
Nel 2014 la sua seconda silloge dal titolo C'è sempre una ragione

Vincitrice e finalista in numerosi concorsi poetici e letterari, è presente in numerose antologie poetiche, tra le quali l’antologia di arte e letteratura serba Majdan con una nota biografica e tre sue poesie tradotte in lingua serba.

Membro della Redazione del sito L’Oceano nell’Anima
Vice-presidente dell'associazione culturale L’Oceano nell’Anima
Membro del C.D. dell’associazione culturale internazionale Verbumlandi-art
Ideatrice e amministratrice del gruppo facebook
Ciò che caino non sa, atto a sensibilizzare tramite forme di arte e poesia, verso la violenza e gli abusi all’universo femminile.

Nell'ottobre del 2014 viene insignita del titolo di ambasciatrice di pace nel mondo dalla Universum Academy
Switzerland



Massimo Massa

Nasce a Bari nel 1960. Consegue la laurea in Scienze dell’informazione anche se la sua inclinazione poetica lo avvicina al mondo della letteratura; nel 2013 pubblica Evanescenze
E' in pubblicazione il suo secondo libro dal titolo Geometrie dall'infinito

Vincitore e finalista in numerosi concorsi poetici e letterari, è
presente in numerose antologie poetiche, tra le quali l’antologia di arte e letteratura serba Majdan con una nota biografica e tre sue poesie tradotte in lingua serba.

E’ l’ideatore ed amministratore il sito poetico
L’Oceano nell’anima.
Presidente dell'associazione culturale
L’Oceano nell’Anima
Socio fondatore e membro del C.D. dell’associazione culturale internazionale
Verbumlandia-Art
con l'incarico di vicepresidente.
Amministratore del gruppo facebook
Ciò che caino non sa


Ipazia

Roberto Rossi & Maria Teresa Infante

2016-03-17



Un disegno eseguito a matita con poco colore. Un disegno semplice. Essenziale nella stesura per determinare la figura di Ipazia. Donna vissuta nel V secolo dopo Cristo, ad Alessandria d'Egitto. Donna intelligente e studiosa di matematica, filosofia, astronomia, era sostenitrice del pensiero libero. Libero da dogmi e da altri condizionamenti mentali. Per lei erano importanti la cultura e l'insegnamento, ma la sua libertà d' insegnamento non era ben vista dal vescovo cristiano Cirillo. L'attività di questa studiosa causò forte invidia al vescovo, perché alle sue lezioni partecipavano sia pagani che cristiani e per lui era intollerabile. In preda a questa forte invidia, decise di liberarsi di lei, ordinandone la morte. Una morte atroce che un gruppo di cristiani fanatici su ordine del vescovo, eseguirono. Fu aggredita, denudata, dilaniata, trascinata per la città e poi bruciata. Per lei tutti dovevano istruirsi; per lei erano persone prima di tutto e non faceva differenze. Il vescovo ordinò che si distruggesse tutto ciò che rappresentava quella donna, quindi fece distruggere la sua scuola e cercò di distruggere le sue opere. Il disegno è focalizzato sul suo nome in verticale (raffigura lei), avvolto da fogli svolazzanti che simboleggiano l'insegnamento; il nome a terra profilato di rosso, è il suo corpo martoriato da fanatismo religioso e l'odio contro la donna intelligente e studiosa. Ipazia, fu la prima martire pagana, per odio di genere.
Un odio che arriva fino ai giorni nostri, come se, il mondo maschile nei riguardi della donna, almeno una parte di esso, fosse rimasto fermo nel tempo.
Ipazia, diventa simbolo di libertà, di indipendenza, di dignità, laddove, tutto questo viene a mancare.La donna, subisce la violenza, la limitazione alla sua libertà, le sevizie, le torture, il mancato rispetto come persona, da secoli in ogni parte del mondo. Solo perché donna.

Voltaire diceva ad un suo amico: "Non sono d' accordo con il tuo pensiero, ma lotterò fino alla fine affinché tu possa, in libertà, esprimere il tuo pensiero".

Chi volesse sapere su Ipazia, invito a leggere il libro, "Ipazia, la vera storia" della studiosa Silvia Ronchey, edizioni Rizzoli.

Roberto Rossi

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Una di noi?

Raramente al cospetto di un dipinto corrisponde una immediata risposta emotiva, in correlazione al bisogno di analizzarlo e interpretarlo, ed è per questo che l'immagine creata dall'artista e amico Roberto Rossi ha catalizzando subito tutta la mia attenzione. Sarà per l'innata comunicabilità di Roberto ma quelle macchie rosse, simili a petali di rose sulle lettere a caratteri cubitali adagiate sul piano toccano l'anima. Ho immediatamente identificato il sapere alla donna - la prevaricazione, il martirio, l'ignoranza, vista come non conoscenza - alla morte. Quei fogli in preda al vento, saturi di pensiero, si avvolgono attorno al suo nome e s'involano verso l'immensità del cielo, verso il tutto, il quid immaginario che accomuna e rende finalmente liberi, non senza essere passati attraverso un processo di purificazione lavato nel sangue della sua stessa vittima.
Nei tempi di imperante androcrazia, in cui è vissuta la nostra Ipazia, la conoscenza non poteva essere femmina (di donna, non esisteva neanche il concetto), ma era prerogativa della cerchia maschile, di pochi privilegiati. Nell'esistente pensiero di una misoginia classista, dominante in tutti gli strati sociali è evidente come l'autoritarismo portasse la donna a essere considerata inferiore socialmente e culturalmente, senza possibilità di riscatto.
La donna che non sa, non chiede e non ha pretese, non ha il pieno concetto di sé e si identifica con la parte maschile per sopravvivere; ha bisogno di sostegno, non è autonoma nel pensiero e quindi non in grado di agire. Il paternalismo storico ci insegna come l'accentramento del sapere significhi anche avere in mano il potere e quindi governare, il tutto in evidente contrasto con i diritti della democrazia in cui tutti, senza distinzione di sesso, sono chiamati a partecipare alla vita sociale e politica. Eppure ci sono state donne capaci di far sentire la propria voce e rivendicare il proprio diritto a esistere, fin da tempi antichissimi. Ipazia ne è l'emblema, non solo per la caratura intellettuale, inusuale per quei tempi, ma soprattutto perché donna non maritata, libera e indipendente, che aveva il pieno controllo della sua vita. Un affronto, forse tanta ostinata sicurezza e forza interiore per i tempi che l'hanno vista dea e martire al contempo?
Di quante Ipazia è lastricato il percorso storico prima che si arrivasse allo stato attuale di cose? Ma soprattutto mi chiedo se oggi esistono donne in grado di ritagliarsi, nella attuale società un posto di predominante importanza come era stata capace di fare lei?
Di fronte all'alienazione dell'essere, più che dell'apparire, è il concetto di femmina che domina sulla donna, mentre la femminilità, vista come armonia di concetto che riporta ad essa, latita nella maggioranza dei casi .Se deviassimo le attenzioni dagli stereotipi imposti dalle moderne culture, in cui il femminismo non è stato altro, che la rivendicazione di una libertà legata più al concetto di fisicità che a quello intellettuale forse non continueremmo ad uccidere ogni giorno la conoscenza. Perché Ipazia non ha una collocazione spazio/temporale ma è sempre esistita , e ad ogni sua morte corrisponde una rinascita. Nell'ucciderla l'hanno consegnata alla storia e resa immortale come allo stesso modo il sapere innalza il decadimento della carne rimandandoci ai posteri.
La conoscenza innalza l'individuo rendendolo partecipe della sua naturale essenza.

Maria Teresa Infante

 
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data da commento
26/03/2016 Antonio Cattino Una mia Ode per Ipazia
Per IPAZIA â€" Ode di Antonio Cattino

Per te indomita figlia di Teone,
bella sacerdotessa della ragione,
fine pensatrice e scienziata insigne,
il mio pensiero s’innalza ed il mio canto
fino alle eccelse cime risplendenti
del Faro che scaturì dalla tua mente;


Né Alessandria né Roma hanno ricordo
disagio e colpa ancora di quel peccato,
nel segno degli anni ormai trascorsi
del libero pensiero fosti eroina;

La tua beltà, così la tua parola
libere ancora volano nel cielo
indicando agli uomini la meta
e il senso della vita più sincero;

Non credenza ottusa stimolasti
ma il dubbio che rimette in questione
ogni credenza vana ed ogni certezza
non supportate da studio e da ragione;

Per questo fu la condanna e la tua morte,
smembrata fosti da torma truculenta
che al regno di un falso Dio rispondeva,
di verità timorosa e che odiava
chi come te ragione propugnava;

E poi bruciata fosti in pubblico cinerio
con gli antichi tomi ed i tuoi papiri
per consegnare all’oblio ogni memoria
e schiavitù delle menti perseguire;

Oggi ti ricordiamo, o del Sole ancella,
il tuo esempio ai venti consegniamo,
ragione, tolleranza e conoscenza
principio e scopo d’ ogni esistenza.

Antonio Cattino © 27 luglio 2014,
ogni diritto di legge riservato