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Maria Teresa Infante e Massimo Massa
blog giornalistico

Articoli


Maria Teresa Infante

Nasce e vive a San Severo(FG). Consegue la Maturità Magistrale e due specializzazioni didattiche a indirizzo Montessori/Froebel. Pubblica nel 2012 la silloge poetica
Quando parlerai me
Nel 2014 la sua seconda silloge dal titolo C'è sempre una ragione

Vincitrice e finalista in numerosi concorsi poetici e letterari, è presente in numerose antologie poetiche, tra le quali l’antologia di arte e letteratura serba Majdan con una nota biografica e tre sue poesie tradotte in lingua serba.

Membro della Redazione del sito L’Oceano nell’Anima
Vice-presidente dell'associazione culturale L’Oceano nell’Anima
Membro del C.D. dell’associazione culturale internazionale Verbumlandi-art
Ideatrice e amministratrice del gruppo facebook
Ciò che caino non sa, atto a sensibilizzare tramite forme di arte e poesia, verso la violenza e gli abusi all’universo femminile.

Nell'ottobre del 2014 viene insignita del titolo di ambasciatrice di pace nel mondo dalla Universum Academy
Switzerland



Massimo Massa

Nasce a Bari nel 1960. Consegue la laurea in Scienze dell’informazione anche se la sua inclinazione poetica lo avvicina al mondo della letteratura; nel 2013 pubblica Evanescenze
E' in pubblicazione il suo secondo libro dal titolo Geometrie dall'infinito

Vincitore e finalista in numerosi concorsi poetici e letterari, è
presente in numerose antologie poetiche, tra le quali l’antologia di arte e letteratura serba Majdan con una nota biografica e tre sue poesie tradotte in lingua serba.

E’ l’ideatore ed amministratore il sito poetico
L’Oceano nell’anima.
Presidente dell'associazione culturale
L’Oceano nell’Anima
Socio fondatore e membro del C.D. dell’associazione culturale internazionale
Verbumlandia-Art
con l'incarico di vicepresidente.
Amministratore del gruppo facebook
Ciò che caino non sa


Cio' che Caino non dice

Massimo Massa

2016-02-20



E' impegno costante dei media, delle istituzioni, della cronaca giornalistica e dell'opinione pubblica condannare la violenza subita dalle donne, il cui messaggio diretto o indiretto è sempre quello di identificare l'uomo come il "Caino" della situazione. Tutto vero, tutto giusto, tutto imprescindibile dalla logica dei fatti. Troppo spesso però si dimentica l'assunto che violenza non è solo la tendenza ad usare la forza fisica, brutale, irrazionale, ma è anche il ricorrere a mezzi di offesa per imporre la propria volontà, costringere alla sottomissione, coercizzare.

Il termine "violenza" è una locuzione notevolmente complessa che non prevede distinzioni in base al sesso; un pregiudizio sociale purtroppo, che porta di frequente ad ignorare la figura maschile nel ruolo di vittima, una discriminazione gratuita che crea assuefazione, una verità intrinsecamente strumentalizzata anche in politica, che tende quasi esclusivamente a far passare l'immagine dell'uomo come "carnefice" e della donna come obiettivo dell'aggressività maschile. E' opinione comune dunque, pur non errata sotto certi aspetti, intendere la violenza come prerogativa connaturata dell'uomo, con caratteristiche e modalità da sempre tipicamente considerate maschili. Una definizione tuttavia, spesso soffocata da pregiudizi legati a tempi ormai remoti. Fino a pochi anni fa, infatti, la definizione di stupro da parte del dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, escludeva gli uomini come possibili vittime.

Non starò qui a disquisire ancora una volta degli abusi fisici, psichici e morali subiti dalle donne, dei continui e reiterati femminicidi, dentro e fuori le mura di casa, o degli "amori criminali", ad ogni livello e grado, anche se non sarebbe mai abbastanza parlarne per arginare questa piaga che ormai ha raggiunto livelli impressionanti. Tantomeno è mia intenzione minimizzare il fenomeno.

Non dimenticando che la violenza maschile verso le donne ha una dimensione culturale e strutturale molto forte e radicata, mi limiterò a considerare casi di violenza circoscritti che non siano dettati da comportamenti estremi di follia omicida o di natura religiosa e culturale.

Rientro quindi nei ranghi, per approfondire il tema riguardante le vessazioni femminili verso gli uomini, una violenza "meno sanguinaria", quella che di frequente si consuma tra le mura di casa, da parte delle donne, molto spesso giustificata, attribuita a patologie come depressione post parto, autodifesa, provocazione, una complessa combinazione e interazione di fattori che predispone le donne, quanto gli uomini, ad usare la violenza per risolvere i conflitti nelle relazioni. Una donna maltrattata ha il sostegno dell'opinione pubblica e gode di una sorta di impunità per effetto di una attribuzione di innocenza in base al sesso, mentre un uomo che subisce maltrattamenti, obbedendo ad un primordiale dogma che lo vuole forte, preferisce il silenzio, prova un senso di vergogna, di ritrosia, pone resistenza a riconoscersi nel ruolo di vittima, in particolar modo per mano di una donna. Perde la propria autostima, la propria integrità, si riduce all'omertà per paura di essere giudicato, perché spesso si tende a banalizzare e a trasformare il tutto in oggetto di ironia. E' una violenza spesso normalizzata, accettata, un fenomeno per sua natura sommerso, per il quale non è facile definirne i contorni.

C'è da chiedersi - come mai l'opinione pubblica si interessa così poco della violenza perpetrata dalle donne sugli uomini negando contro ogni evidenza la possibilità di riconoscere l'uomo nel ruolo di vittima? - Eppure il fenomeno della violenza fisica, sessuale, psicologica e di atti persecutori, vede vittime soggetti di sesso maschile con modalità e intensità che non differiscono di molto rispetto al mondo femminile. E' innegabile che l'incidenza degli episodi di abusi fisici e psicologici contro le donne sia decisamente maggiore, ma nel novero statistico della violenza di genere rientrano anche quelli a ruoli invertiti. La gelosia morbosa, l'amore ossessivo e possessivo che diventa malattia incontrollata e incontrollabile, ad esempio, è il movente che guida la mano di molti uomini, ma sarebbe ingiusto pensare che le donne non siano capaci di gesti altrettanto folli. Chi soffre non necessariamente è solo una vittima, può anche agire e reagire contemporaneamente con attacchi molto violenti.

Contrariamente all'immaginario collettivo dunque, il fenomeno è complesso nella sua globalità e non poco frequente. Nella maggioranza dei casi si tratta soprattutto di violenza psicologica; offese, aggressività, messaggi intimidatori, atteggiamenti prevaricatori. Ricatti materiali e morali costituiscono l'arma preferita dalle donne, espressa attraverso varie forme di rifiuto, di insulti o di accuse infondate, di sensi di colpa radicali, denigrazione nel ruolo di padre, di amante, stalking e cyberstalking, mobbing. Molto spesso sono modalità aggressive, di crudeltà e di sadismo femminili estremamente devastanti, distruttivi, che non trovano limiti nella prestanza fisica. Anche una persona apparentemente fragile può utilizzare armi improprie, secondo modalità che solo i pregiudizi identificano come prerogativa maschile.

I comportamenti violenti hanno radici in complesse dinamiche di tipo relazionale, considerazione che rende riduttiva qualunque motivazione di tipo psicologico associata al singolo individuo; un motivo in più per riflettere quando le argomentazioni suscitano dubbi e perplessità.

Diventa dunque necessario riportare sempre e comunque l'analisi nell'alveo più adatto, agli stereotipi che generano espressioni comportamentali senza alcun riferimento al pensiero della differenza, uomo o donna che sia...
Diventa dunque importante non dimenticare che se "Caino non sa", molto spesso "Caino non dice"!

 
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