Suicidio
PROLOGO La notte ha aghi nelle palpebre e coltelli inchiodati nella bocca. Piangere con sovrana libertà l'epidemia di un dolore vanitoso, l'estensione del lamento, l'errore delle cose che sanguinano e liberano suicidi nella punta delle dita, nella punta e nell'angolo delle dita. PRIMO ATTO Io sento a volte morti insistenti, morti come trapani nelle ossa e crepe che si espandono come polvere da sparo. A volte devo chiudere gli occhi perché li porto troppo aperti e si inondano di polvere, mi sono asciugato e rimango vedendo uccelli e brine e dardi che si inchiodano nella mia ombra. SECONDO ATTO Mi abbandonano la voglia di seguire perché comprendo che la lotta è un'altra che i posti sono solo luoghi e che il tempo non è più di un istante che ci sono solo forze per le quali scelgono transitare una strada vera: perché se non c'è strada, il viandante non ha usato i suoi piedi camminando. TERZO ATTO Non voglio andare ma è fino al fondo; l'oscuro rimpiazzo della morte come un alone sontuoso che mi agita e mi ritorce l'anima contro il petto. Le labbra colorate, la bruttezza ed il sospiro triste del viso dopo l'inserzione dei ricordi e il volo fruttuoso della calma. EPILOGO Ho freddo nelle mani, nel petto, freddo nel posto della cicatrice, sotto la mia lingua dove nasce a volte un fantoccio di fango ed una maschera sovraffollata tremenda, un orologio accurato sull'armadio ed una parola intera per me, erede di ogni azione persa.
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