Suicidio

PROLOGO

La notte ha aghi nelle palpebre 
e coltelli inchiodati nella bocca.
Piangere con sovrana libertà 
l'epidemia di un dolore vanitoso, 
l'estensione del lamento, 
l'errore delle cose che sanguinano e liberano 
suicidi nella punta delle dita, 
nella punta e nell'angolo delle dita.


PRIMO ATTO

Io sento a volte morti insistenti, 
morti come trapani nelle ossa 
e crepe che si espandono come polvere da sparo.
A volte devo chiudere gli occhi 
perché li porto troppo aperti 
e si inondano di polvere, 
mi sono asciugato 
e rimango vedendo uccelli e brine 
e dardi che si inchiodano nella mia ombra. 


SECONDO ATTO

Mi abbandonano la voglia di seguire 
perché comprendo che la lotta è un'altra 
che i posti sono solo luoghi 
e che il tempo non è più di un istante 
che ci sono solo forze per le quali scelgono 
transitare una strada vera:
perché se non c'è strada, 
il viandante non ha usato i suoi piedi camminando. 


TERZO ATTO

Non voglio andare ma è fino al fondo;
l'oscuro rimpiazzo della morte 
come un alone sontuoso che mi agita 
e mi ritorce l'anima contro il petto. 
Le labbra colorate, 
la bruttezza ed il sospiro triste del viso 
dopo l'inserzione dei ricordi 
e il volo fruttuoso della calma.


EPILOGO 

Ho freddo nelle mani, nel petto, 
freddo nel posto della cicatrice, 
sotto la mia lingua dove nasce 
a volte un fantoccio di fango 
ed una maschera sovraffollata tremenda, 
un orologio accurato sull'armadio 
ed una parola intera per me, 
erede di ogni azione persa.
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Pubblicata il 27-04-2014

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