Calzini e girasoli
S’erano graffiati i girasoli quel giorno, sì, e il tempo bruciava senza scaldare e senza passare. Anzi, non era nemmeno un bruciore vero, ma più simile ad un fastidioso formicolio. Le pesche sollecitavano vanamente all’estate, lì col loro buon profumo sul ripiano della cucina. Vanamente, poiché il cielo indifferente era rimasto, d’un chiarore palliduccio come lo sbadiglio di un neonato. Ed era già pronto a tavola, tutto pronto, sempre pronto per cose mai davvero importanti. Ma lei, ingabbiata in quel solito giro di giostra, non poteva dirlo né cambiarlo. Allora ammutoliva l’anima per tenersela al riparo, mentre s’affaccendava ancora, ed ancora, con le solite cose ch’era ovvio facesse. Così le fette di giorni dorati non si sapeva più dove fossero andate a finire… Magari erano finite anch’esse su uno dei ripiani della cucina, e ripescarle avrebbe significato liberarsi prima delle ciotole abitualmente usate che stavano davanti, e le ricoprivano, fino a non farle vedere più. Ma la giostra non voleva saperne di mollarla, e le cinghie sembravano sempre più strette. Allora lei camminava su pezzi di cielo stesi ad asciugare, mentre dal fumo di certi pensieri le pareva di vedere come attraverso il buco d’un calzino.
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