Ciliegie e farfalle
“E non mi fare il sollechito, che mi sto vedendo la vetelisione.” Così mi diceva, seduto a gambe incrociate sul divano, con un pacchetto di patatine in mezzo... a momenti più grande di lui. O verso l’una, mentre io ero ancora presa col “Maurizio Costanzo Show”, mi spuntava timido col pigiamino: “Enana, ti corichi con me? Avà... Ti prego, ti scongiuro.” Io a volte vorrei tornare indietro. Riavere la mia adolescenza e rifarla sapendo cos’è. E riabbracciarmi a lui, il mio piccolo fratello morbido che odorava di pulito. È uno dei ricordi di pace piena che faranno sempre parte di me. Io ch’ero la più grande ho lottato per gli orari della sera. Che poi non rispettavo mai lo stesso perché mi perdevo a chiacchierare. Allora mi toglievo i primi tacchi per non far rumore nel corridoio. Ma appena arrivavo alla porta della mia camera mio padre diceva che ci saremmo fatti “i conti” l’indomani. (Com’è che pareva dormissero tutti? acc...) Non so perché mi stava tutto stretto. Io non mi rendevo conto d’essere carina... poi forse dovetti capirlo all’improvviso. Ma mi sembrò un‘altra specie di strano limite... mi stava stretto pure quello. Io so solo che faticavo spesso... di quello che vedevo io le persone che conoscevo di solito neppure se ne accorgevano. Quando mi dicevano ch’ero particolarmente intelligente invece capitava che mi sentivo in colpa... perchè non sapevo proprio cosa ne dovevo fare di questa mia cosa... come se avessi dovuto farne qualcosa ma per pigrizia ed egoismo forse non la facevo. Mica lo sapevo cosa il mondo voleva da me. Boh. Io so solo che ero felice di scoprirmi dentro. Di vedere colori scintillanti là dove molti vedevano sciocchezze, l’ovvio... o il nulla. Era molto triste invece vedere un insignificante grigio là dove molti vedevano chissà quali belle cose. Cose importanti. E facevano di tutto per ottenerle e poi per tenersele strette. Il difficile era quando dovevo fare capire a miei genitori il perché molte cose “importanti” le lasciavo andare... o non me ne curavo finché poi morivano. In realtà credo facessi una selezione naturale in partenza. Senza però dare tante spiegazioni. Bruciavo il tempo per non prendermi nulla di ciò che quel tempo voleva darmi. Le cose ritenute senza valore invece per me erano di solito le più preziose. E molti ci camminavano sopra e me le sporcavano. Il problema era che m’innamoravo delle farfalle. Non dei farfalloni, o roba simile, no. Ma di farfalle vere e bellissime che hanno una vita breve... appunto. Come la loro natura. Ciliegie di rossa felicità. Che non reggevano mai all’inverno. Eppure secondo me i pilastri di una vera casa sono fatti di ciliegie (io col cemento soffocherei). Di sane, belle, rosse, orgogliose ciliegie. Cilegie di valore. Solo con quelle si può sopravvivere all’inverno. Cercavo di spiegarlo ma non mi capivano mai. Così ero costretta a passare l’inverno da sola. Mentre la farfalla di turno era volata via nell’illu- sione di un’altra estate. Eppure... l’ultima volta, quanto calore c’era nel nostro inverno! Se solo m’avesse ascoltato! Se solo fossi riuscita a spiegarmi... a dire... ”Le stagioni fanno parte della vita. Ti sto amando anche adesso. Anzi, forse soprattutto ora. A volte sbaglio per paura. E non voglio un essere perfetto. Aiutami a ritrasformarci in estate... perchè ci sto credendo anche mentre ho i brividi di freddo. E non ti mollo per così poco, no. Che vuoi che sia un inverno.” Pare banale detto così. Che poi, a dirla tutta, l’inverno è la stagione più preziosa... perché è là che si prepara la primavera. In quel lavorio non visibile. In quelle radici dell’albero che fanno di tutto per restare vive, a dispetto dei rami provvisoriamente spogli. Io ammiro quegli alberi così vivi e generosi. Invece di solito tutti si preoccupano solo d’avere la primavera. La vogliono sempre, subito, pronta e confezionata. Col fiocchettino e il cartello: “Sono primavera”. E appena crollano un paio di foglie stop! Non la vedono la bellezza dell’inverno. Il suo coraggio nello sforzo. Non lo curano. Niente. Queste cose le mie ciliegine sciroppate non le capivano. Così alla fine lasciavo andare anche quelle. Con gran dolore però. A volte troppo grande. Forse questa mania delle ciliegie m’è venuta proprio da bambina, quando mi sporcavo felice e complice del grande albero che arrivava fino al balcone, e mi si offriva, tutto. Solo per me, sotto il sole. Così com’era. Forse è stata quella la prima volta che ho amato... chissà. Ora a volte vorrei sentire che le mie farfalle di allora sono intatte. Quelle dentro. Da grande forse m’è mancato il fiato. O ne ho sprecato troppo. Oppure m’è volato... in chissà quale cas- setto. Forse è lo stesso cassetto dal quale prendo un foglio all’improvviso. E chissà cosa v’ho detto. P.S. “Non tutti saranno soddisfatti della conclusione della storia. A questo, però, c’è rimedio. Ogni lettore scontento del finale, può cambiarlo a suo piacere, aggiungendo al libro un capito- lo o due. O anche tredici. Mai lasciarsi spaventare dalla parola fine. (G. Rodari)” E neanche dal numero 13.
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