Gli anni dell'emigrazione

In quegli anni si viveva a stento, le entrate erano molto modeste ed anche se ci si accontentava di una vita
sobria e modesta, in molte persone si faceva strada la voglia di migliorarsi; erano gli anni cinquanta quelli
dell’emigrazione, ci fu chi partì per gli Stati Uniti, chi per la Germania, chi per la Svizzera. Le famiglie si
sono cominciate a dividere a subire così la sofferenza della lontananza. Non ero molto grande, avevo solo quattro
anni e non riuscivo a capire, come mai mio padre aveva deciso di partire per la Svizzera, io mi sentivo molto
infelice perché non sopportavo di non vedere tutti i giorni il mio adorato papà, avrei tanto voluto entrare
nella sua valigia per partire con lui; ero troppo piccola,  quando scherzando mi diceva che l’avrebbe fatto io
ci ho creduto e credo che quella sia stata la prima grande delusione  della mia vita. Partì di nascosto, credo
mentre dormivo per non farmi piangere, gli sarà costato molto,  mio padre non riusciva facilmente a stare lontano
da noi.

Ho pochi ricordi di quel periodo credo di aver sofferto così tanto da aver rimosso molti episodi, anche avendo
una buona memoria. Ricordo chiaramente un episodio in particolare, mio padre ci scriveva delle lettere, l’unico
modo allora per comunicare, dicendo che aveva molta nostalgia di noi, era passato già qualche mese, desiderava
vedere almeno qualche foto di tutti noi. Mia madre un giorno ci fece vestire per bene, pettinò in modo particolare, 
me e mia sorella, con dei boccoli fatti con un ferro che scaldava nel fuoco del braciere, ci mise un bel fiocco
in testa, mio fratello maggiore era anche lui pulito e pettinato, così andammo tutti insieme dal fotografo che
ci fece una bella foto in bianco e nero: (ancora la conservo tra i miei ricordi). Mia madre spedì quella foto
a mio padre, insieme ad una lettera per consolarlo:  ma non servì a gran che, passati appena tre mesi dalla sua 
partenza, decise di ritornare di nuovo a Randazzo dalla sua famiglia che gli mancava da morire; credo sia stata
l’ emigrazione più breve della storia.

Arriva il giorno del suo ritorno, lo aspettavamo tutti felici, ma soprattutto io che non avevo mai accettato la
sua partenza, forse perché ero molto piccola. Il giorno che arrivò, aprì la sua valigia e tirò fuori una bambola,
l’unico giocattolo della mia vita, era una bambola che camminava tenendola in piedi, perché aveva le gambe di
legno con una molla che le faceva scattare;  negli anni cinquanta non esisteva la tecnologia di adesso, quindi
per quel tempo era un giocatolo all’avanguardia. 
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12-09-2014 Gullotto Santina Grazie per l'assiduo interesse per i miei scritti...e per cogliere di essi l'essenza..
12-09-2014 Redazione Oceano L’autrice ci apre una finestra sul suo passato, ricordi tristi di anni poco generosi.
Con attenzione ed interesse ascoltiamo i versi che scorrono e soffermano su una bimba e il suo amato papà.