Su quel muro di plastica ho appeso le sentenze

E furono vili katane a squarciare 
i sogni d'un cherubino derubato. 
Pietà che cola a sangue in questi giorni 
d'implacabile condanna senza vinti né re. 
E impreco su ogni sintonia malata di stenti, 
dove occhi ancora partorienti d'amore 
sono accecati dalle fauci d'un dolore maestro. 
E sono immolato spirito sulle vette dell'Olimpo, 
sete d'un vento stanco che arriva infame 
a sputarmi sulle piaghe aperte di ricordi
bruciati dalla sabbia del deserto. 
Rimpianti inceneriti stesi al sole 
di condanne giudici e boia. 
E sono meretrice di popoli ubriachi, 
rosa stracciata tra le mani dell'Onnipotente, 
sono odor d'eroe antico 
chiuso in una cella maestra,
pregando su mura di cartone,
dove morenti appendo le mie sentenze, 
supplicando eterno perdono ai piedi d'una croce 
anch'essa stanca d'accoglier vuote promesse 
scritte su ostia arse di bestemmie, 
dove solo la morte purificare mi potrà.
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27-05-2014 Redazione Oceano Questi versi, nenie traballanti al dolore, si rifanno alla purificazione attraverso il dolore e l’espiazione.
La Croce sì stanca di vuote promesse attende che il figliuol prodigo ritorni sui passi…