La villetta sul mare
Lo avevo incontrato un paio di settimane prima, mentre seduta su una panchina rimuginavo i miei pensieri guardando il mare. Ero uscita per una passeggiata, stanca di starmene sui libri a preparare l'ennesimo concorso. Non avevo fortuna nella vita, nè col lavoro nè con gli uomini, forse per colpa della mia timidezza che mi impediva di dare il meglio di me, forse perchè mi sentivo scialba dentro e invidiavo quelle sbarbine disinvolte che cambiavano ragazzo ogni mese. Ma io non potevo essere come loro, avevo una paura matta che mi teneva sulla difensiva e mi impediva di essere naturale. Così imbacuccata nel mio caldo piumino e le mani in tasca, guardavo il mondo che mi passava davanti senza nemmeno notarmi. Mi notò lui, un uomo sui quaranta, che si sedette sulla mia stessa panchina accavallando elegantemente le gambe e dopo aver tirato fuori un giornale dalla tasca, si mise a leggere... ma tra un articolo e l'altro mi squadrava sottecchi, poi prese un pacchetto di gomme, ne estrasse una e prima di riporlo, lo allungò verso di me senza parlare. Senza parlare rifiutai garbatamente e lui sorridendo lo rimise in tasca. Il ghiaccio però era rotto e tra una banalità e l'altra iniziammo a chiacchierare. Io me ne stavo chiusa a riccio, rispondendo in forma impersonale a quell'estraneo che cercava di attaccar bottone. Poi decisi di rientrare a casa, per quel giorno poteva bastare e ritornai ai miei libri salutandolo freddamente, come si saluta una persona di cui non ti importa nulla. Per quella sera non ci pensai più, ma l'indomani alla stessa ora infilai il mio piumino e come attratta da un misterioso richiamo mi diressi alla mia solita panchina .Lo trovai seduto lì col suo giornale che, vedendomi arrivare, si affrettò a piegare. Avrei potuto tirare oltre fingendo di non riconoscerlo, ma c'era in lui qualcosa che mi attirava, era forse il suo sguardo magnetico che emanava da due occhi verdi e trasparenti come non ne avevo mai visti. Così mi sedetti in punta alla panchina, lui mi guardò e sorrise, ripose il giornale e si avvicinò un po’, iniziando una conversazione sul tempo e sulle stagioni. Parlava da persona colta e piano piano vinse la mia timidezza inducendomi a parlare mio malgrado. Questo incontro non mi distraeva dal mio studio, anzi mi spronava ad andare avanti e diventava una specie di premio che davo a me stessa dopo aver divorato la mia razione giornaliera di libri. Divenne una piacevole abitudine incontrarsi e chicchierare e senza volerlo entrammo in confidenza, le giornate erano fredde, ma c'era il sole e quella panchina era diventata il nostro salotto. Una mattina però il tempo cambiò e una leggera pioggia scendeva silenziosa sul selciato, da un cielo nuvoloso che si uniformava al mare plumbeo e odorava di salsedine. Non uscii quel giorno, ma non conclusi nemmeno granchè, il mio pensiero tornava spesso a quegli occhi verdi, a quei modi garbati, alla sua naturale eleganza, a quell'uomo sconosciuto che piano piano stava entrando nel mio cuore. " Che c'è di male " mi dicevo" a scambiare quattro chiacchiere all'aperto, sotto gli occhi di tanta gente, cosa mai mi potrà succedere?" Mi accadde che senza accorgermene mi trovai innamorata e quando lui mi invitò a uscire un pomeriggio per un thè accettai la sua proposta. Entrammo in un bar, lui scelse un tavolino difilato e mentre mi porgeva un fazzolettino mi sfiorò la mano, io sussultai, ma non mi ritrassi e quel piccolo contatto si trasformò in una ripetuta carezza che mi riscaldava l'anima. Uscimmo dal locale che era già buio, mi cinse col braccio le spalle ed io mi sentii protetta e lo lasciai fare, voleva accompagnarmi a casa, ma io non avevo voglia di rientrare. Sentivo il suo respiro sulla mia bocca e le sue mani fra i miei capelli, volevo vivere questa storia per dare un pò di luce al grigiore della mia vita,<<< quella sera infatti sciolsi le mie riserve annegando nel verde dei suoi occhi tutti i miei dubbi, sentivo le campane e uno sciame di farfalle che si agitava dentro di me. Cos'era questa cosa nuova che sentivo? per quanto sarebbe durata? non mi importava più... mi abbandonai fra le sue braccia forti che mi strin- gevano come due grandi petali e respirai il suo profumo nella brezza della notte...>>>> I nostri incontri si fecero regolari, io dovevo studiare, così ci incontravamo tre volte la settimana. Lui aveva finito le sue ferie e ci vedevamo di giorno solo la domenica. Faceva freddo e una sera mi invitò a casa sua, una villetta arredata con gusto, con una bella veranda sul mare. Accendemmo il camino e tutto accadde con naturalezza, rimanemmo così a chiacchierare fino a tardi guardando la luna, poi mi accompagnò a casa con la sua bella macchina nera. Durante le nostre conversazioni non si parlava mai del suo passato e anche quando cercavo di indurlo a sbottonarsi, sviava abilmente il discorso coprendomi gli occhi di baci. Una sera, mentre lui trafficava per accendere il camino ed io sfogliavo pigramente una rivista, udimmo la chiave girare nella toppa e la porta si spalancò di colpo: una figura di donna si stagliò in controluce, una donna alta elegante, dai lunghi capelli chiari, indossava una pelliccia ecologica di buona fattura e i suoi occhi da cerbiatta luccicavano, lanciando dardi avvelenati su di lui e su di me. Mi sembrò di venire catapultata in un'altra dimensione, infatti eravamo entrati in casa alla ricerca di un pò di intimità e quella apparizione era proprio un fuori programma. A quella vista il mondo sembrò cadermi addosso, credetti di uscire da un sogno nel quale mi ero avventatamente addentrata. Non sentivo nulla, solo un brusio sommesso, ma vedevo i volti contratti guardarsi con disgusto. "Come hai potuto!" biascicò lei fra i denti con un accento che mi sembrò inglese, poi gli mollò un gran ceffone facendolo vacillare vistosamente. <<<< Avrei voluto fuggire, ma ero come paralizzata, poi Giulio, così si chiamava, diede uno spintone alla donna e chiuse fragorosamente la porta dietro di sè. Lo guardai trarre un sospiro profondo, come se si fosse liberato di un peso, poi accese una sigaretta che fumò aspirandola nervosamente e senza nemmeno guardarmi si diresse in cucina. Un odore di caffè mi investì, mentre raccoglievo le mie cose e mi asciugavo le lacrime col dorso della mano...>>>> mi sentivo una nullità, uscii nella notte, il freddo mi pungeva le gote e mi teneva sveglia. Lui non mi seguì ed io camminavo nell'ombra radente ai muri, le macchine contromano illumina- vano la mia sagoma scomposta che si muoveva nel buio e ogni tanto qualcuno mi gridava una sguaiataggine, facendomi sprofondare ancora più in basso. Finalmente arrivai a casa, mi catapultai dentro il mio portone, salii in un lampo le scale e mi infilai subito nella doccia. Piansi sotto l'acqua, che lasciai scorrere abbondantemente su di me per riscaldarmi, ero congelata dentro e fuori. Mi infilai nel mio pigiama felpato e andai a letto. Però non riuscii a dormire per tutta la notte, non sapevo a quale pericolo ero scampata, le immagini mi passa- vano davanti come in una moviola e lunghi brividi mi percorrevano tutta. Mi vergognavo di me stessa per essermi lasciata abbindolare da quegli occhi verdi, ma in fondo ero forte e gettandomi a capofitto nello studio, nei giorni seguenti riuscii a superare il concorso e il dolore per quella ennesima sconfitta che la vita mi aveva inflitto. Rividi Giulio qualche anno dopo a una cena fra amici, io nel frattempo avevo ottenuto il lavoro ed avevo incontrato l'uomo della mia vita. Ci eravamo sposati da sei mesi, il mio pancione si intravedeva già fra le pieghe del vestito e mio marito mi accarezzava teneramente i capelli. Giulio mi apparve invecchiato, le tempie brizzolate e gli occhi spenti, finse di non conoscermi e anche io lo ignorai tutta la sera, nonostante ostentasse una forzata allegria. Seppi in seguito che aveva divorziato dalla moglie, che gli aveva preso parte del patrimonio ed era ritornata in Inghilterra portandosi dietro i loro due figli. Lui adesso viveva solo nella villetta sul mare, dove si vociferava che continuasse a portare le sue conquiste da donnaiolo impenitente.
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