Forestiero
Le mie poesie cercano, rovistano in solai impolverati nella frenetica rincorsa di qualcosa, di qualcuno che non riesco a definire, oppure lo so ma mi sfugge. Cerco di vivere i tempi morti che sono molti di più dei vivi. La mia patria è la panchina, simbolo di solitudine ma anche di saggezza. La panchina è la metafora del fermarsi. Capita che trovino qualcuno apparentemente addormentato, a volte per sempre. Riposo del guerriero di carta, perchè di guerra si tratta. Io non ho dimora, sono forestiero anche nel cuore e tale rimango. Ora non posso nè voglio fermarmi. Gli aliti, i respiri si sono fatti affannosi. E' rimasto amore e affetto in un angolo recondito, inutile nasconderlo, ma cosa succederà alla prossima tempesta improvvisa? Mi rimarrà forse una panchina o un addiaccio sotto un ponte... Ne esistono tanti e anche confortevoli. Da quel ponte proverò ad unire due calme insenature e giorno e notte attraverserò in un viandare lento e oppressivo. Io sono ciò che ho: nulla. Smetterò di decidere, pensare, riflettere, diventerò un essere amorfo, sdraiato su un lago di pietra a guisa di un pazzo che nonostante tutto è felice...perchè il pazzo distingue solamente i colori e vive in un mondo tutto suo fantastico. Ho completamente scordato perchè scrivo o forse non l'ho mai saputo. So solo che spesso è la mano mezza anchilosata che prende la penna e parte per insulsi voli. Esci da me angelo nero, lasciami in pace e smettila di farmi ingurgitare miele amaro taroccato del vivere...e del parlare da solo. Potrei semmai raggiungerti laggiù... chiunque tu sia, non importa... Lascia stare come mi chiamavo, non chiedere mai il mio nome, l'ho dimenticato e ora sono...forestiero.
data | autore | commento (si può commentare solo se si è loggati) | |