Lungo la notte

(Da un epitaffio)

(Nacque per
essere una e 
visse per camminare 
da sola)

Osservo l’ultimo canto
attraverso la falsa 
parabola del sole silente

pontile di legno umido in
deformi voci, anoressia di vita,
di altri mari, forse migliori.

Negli arcani recinti umani
pianto una radice d’ala,
guanto terreno sazio di aria.

Lontano e vivo.., la tua vita nel
deserto.., nutrita dal tuo stesso
dormire. Com’è tragico vederti

così povera, vestita del tuo
solo apparire, diamante di vetro,
annegata di sonno negli specchi di

vetrini e microscopi, globi e 
mappamondi, tocco di cannocchiali 
ciechi nel nucleo dell’anima.

Sterminate pianure d’acqua.., 
mi piego oggi in te come ieri in soffitta 
sopra un vecchio cavallo a dondolo…

La carne non ha più il sapore del 
calore e le dita non toccano più le dita, non 
plasmano creta, non modellano donna.

Tutti parlano d’amore, tutti tacciono   nell’amore. 
Lapide di mare la mia terra sotto lo scialle di 
questi tetti, sotto la forza di questo verso.

Il mio fanciullo sguscerà via 
dalla morte come un’alba, come 
ogni uomo che rinasce dall’Eden.

Fuggiremo insieme, con un “boom” 
o forse un “bang” o magari urlando
divertiti: “fante regina e re”.

Nel lontano inutile baccano
l’inguaribile raglio della vita.
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01-05-2013 Redazione Oceano Una lirica di una immenso spessore. Partire dall'annullamento dell'essere per rivedersi come un tutto e un nulla, simbiosi di crescita interiore, con la sola certezza che emozioni e materia un giorno scompariranno, come neve al sole.