Una storia |
La tua linea è un orizzonte pacato ha cauti occhiali. Violaceo è l’alveo che scomposto poggia sul tuo dorso. Hai sorriso morbido in quelle acque turgide avviluppate in un gorgo lucido. Il cestino che ho intravisto l’hai lasciato alla frontiera: dea adolescenza. Con te ha viaggiato un vestito più nero d’un eremo. Gocce di distanza, perle di una grandinata che ha straziato la seta di una cravatta sbagliata. Tremano le guglie di quei giorni che non avevano passi ma solo ancore di cioccolata in un carcere di epicurei. Trentacinque natali sono troppi anche per me famiglia-dipendente disoccupato di cari. Senza templi aperti qui non posso pregare né manifestare all’esterno, in solitudine per un risveglio tra arredi e quadri salsi. I mosaici li ho spediti a un nume arcano ancora fecondo pur se figlio di libri anziani. Immagino una rètina divisa per panorami pagani, difformi. È carta velina la mappa che vedo e non vedo che alle dita oppone un rifiuto e mi bisbiglia, due sandali alati. |