Disamore

(Schiavone Michele)


Erano circa cinque anni che mi trovavo al centro ospedaliero di Zinder, in Nigeria, dove prestavo la mia opera al servizio dell’organizzazione umanitaria, Medici Senza Frontiere. Avevo abbracciato questa nobile causa, al termine dei miei studi universitari, dopo avevo conseguito la laurea in medicina con il massimo dei voti. Volevo in tutti i modi aiutare i bambini e renderli felici. Donare loro ore di serenità, liberandoli dalla fame e dalle malattie.
La telefonata di mio fratello mi raggiunse verso sera, appena rientrato dall’ospedale. Il tono della sua voce non mi fece presagire niente di buono.
- Devi venire, Aldo, la mamma è gravissima e non fa altro che chiedere di te -.
La mamma chiedeva di me, ora, dopo tanto silenzio. Anni di silenzio, dettati solo dal sua noncuranza nei miei riguardi. Ero scappato dall’Italia proprio perché non sopportavo più di vederla e ancor più, di ascoltarla nei suoi lunghi monologhi. Nella maggior parte dei casi, essi terminavano con invettive contro mio padre, l’unica persona che, insieme alla mia cara nonna Adelina, sua madre, aveva per me un amore smisurato.
- Non so, se posso venire, sono impegnato con i miei bambini, molti di loro devono ancora ricevere le vaccinazioni -.

- Ti prego, devi ritornare, anche per pochi giorni. La mamma ha detto che morirà dannata se non ti vede -.
Avrei voluto interrompere la telefonata. Spesso si verifica che la linea cada all’improvviso e sia difficile riprenderla, ma qualcosa mi tenne legato al telefono e, dopo un lungo silenzio, dissi a mio fratello Luigi che avrei fatto di tutto per ritornare velocemente in Italia.
Sicuramente ero indispensabile al mio gruppo di colleghi, ma furono proprio loro che contribuirono alla mia decisione di rientrare per un brevissimo periodo in Italia, per raggiungere la mia famiglia che sicuramente stava attraversando un momento difficile e triste. Dovevo farlo per mio padre, per stargli vicino. Lui aveva amato la mamma oltre ogni cosa, oltre le sue manie di grandezza, i suoi toni autoritari e le sue ossessioni di persecuzione. L’aveva amata, e ancor di più aveva amato i frutti del suo ventre, prima mio fratello e poi me. A dire il vero non nascondeva il suo particolare amore verso di me, forse per pareggiare quell’amore che la mamma, per motivi imperscrutabili, sembrava non volesse donarmi.
Durante il viaggio in aereo, sulla via del ritorno in Italia, Il dolce ricordo di mio padre e quello triste della mamma, fecero affiorare alla mente gli anni della mia fanciullezza. Il rollio dell’aereo mi riportò alla culla che accoglieva i miei sonni di bimbo. Accanto ad essa, a cantarmi tenere ninne o a raccontarmi strane fiabe non vedevo la mia mamma, ma il mio papà. Che lei fosse rare volte accanto a me, lo ricordavo benissimo. Mi era mancata il primo giorno di scuola, mi era mancata alla mia prima caduta dalla bicicletta e mi era mancata in molte altre occasioni. Poche erano le volte che ricordavo una sua carezza, carezze che elargiva con cura a mio fratello Luigi. A volte sembrava che provasse piacere nel farmi notare l’affetto che aveva per lui ed il niente che provava per me.
Lo faceva per farmi del male, lo capii quando diventai un adolescente e fui in grado di rendermi conto che le mie non erano ubbie, dovute alla gelosia verso mio fratello, era la realtà. Mia madre non mi amava e non perdeva occasione per dimostrarmelo.
Il ricordo del primo giorno di scuola, alle elementari, si ripresentò con forza alla mia mente e, le lacrime che immaginai mi rigassero il viso, furono la certezza del grande dolore che mia madre, la donna che mi aveva messo al mondo, aveva lasciato nel mio cuore. Ero arrivato a scuola per mano al mio papà e il vedere tutti quei bimbi coccolati dalle loro mamme, mi aveva creato una tristezza infinita.
- Ma perché la mamma non è qui con me? -. Avevo chiesto a mio padre con le lacrime agli occhi.

- La mamma non si sentiva molto bene, altrimenti ti avrebbe sicuramente accompagnato -.
Non era vero, e lui lo sapeva benissimo. La mamma aveva preferito andare in città con una sua amica, doveva fare delle compere e non poteva rimandare.
Questa era mia madre e queste, ed altre prove di disamore avrei dovuto subire negli anni seguenti.
Per mia grande fortuna avevo accanto a me, mio padre. Un padre dolce e affettuoso che non mi lesinava il suo amore, un padre che era pronto ad ascoltarmi e a infondermi voglia di vivere. Trovava sempre una giustificazione a ciò che la mamma faceva e, quando gli anni passarono e mi resero più maturo, lui inventò per mia madre una depressione post-partum, che l’aveva colpita alla mia nascita, e che sembrava non averla più lasciata.
Presi per buona questa spiegazione e forse, fu proprio per questa spiegazione, che cominciò a nascere in me il desiderio di dedicarmi il più possibile agli studi per diventare medico, un dottore dei bambini. Volevo dare loro l’amore che, per una qualche malattia, le loro mamme non potevano donare.
Mi convinsi, anzi volli convincermi, che la mamma fosse stata colpita una malattia, come poteva altrimenti, non darmi il suo affetto. Come poteva rimproverarmi per ogni cosa che facevo, come poteva non gioire per un bel voto a scuola, come poteva non essere accanto a me, quando fui colpito da una grave forma di polmonite che mi portò vicino alla morte. Accanto a me c’era mio padre, lui mi somministrava le medicine, lui si metteva la notte accanto a me, ed osservava ogni mio minimo movimento, sobbalzando ad ogni mio lamento. Mia madre no, lei aveva mal di testa, doveva accompagnare mio fratello a scuola, o aveva semplicemente altro da fare.
Avevo superato quel momento e la vita aveva ripreso il suo corso, oramai non facevo neanche più caso alle cattiverie della mamma, e non feci neanche caso all’indifferenza che dimostrò verso di me, quando mi laureai con il massimo dei voti, con una tesi sulle malattie che colpiscono i bambini dell’Africa. Fu proprio la mia specializzazione e l’ultima cattiveria di mia madre, che mi spinse ad aderire all’iniziativa di Medici senza frontiere ed a lasciare l’Italia. Volevo allontanarmi da lei, anche se sapevo di lasciare un vuoto incolmabile nel cuore di mio padre. Lui però aveva accettato questa mia decisione anzi, l’aveva favorita, sapeva benissimo che la negatività di mia madre, aveva sempre influito sul mio carattere e mi aveva reso molto infelice.



Questa era stata mia madre, e da questa madre quell’aereo mi stava conducendo. Era in punto di morte e voleva vedermi, ma io non avevo voglia di rivederla. Avevo più voglia, di rivedere il mio caro papà, di stargli vicino e di confortarlo. In fondo anche lui aveva subito l’influsso negativo di mia madre e, se non l’aveva abbandonata, era solo perché l’amava più della sua vita.
L’aereo era atterrato in orario e mio fratello mi aveva abbracciato appena uscito dall’area aeroportuale. Nel percorso verso casa mi aveva messo al corrente delle condizioni di salute della mamma.
- È giunta alla fine, la malattia ha oramai fatto il suo corso -.
- Non fa altro che chiedere di te, dice che ha un bisogno assoluto di parlarti -.
Io non aprivo bocca, non sapevo cosa rispondere, una smania però mi stava prendendo. Che cosa avrei fatto se quella mamma, che aveva reso impossibile la mia vita, ora, sul punto di morte, mi avesse chiesto perdono?. L’avrei perdonata o avrei preteso la mia rivincita, lasciandola lì sul letto di morte, senza il mio perdono.
Non ebbi il tempo di darmi delle risposte, eravamo arrivati a casa e mi trovavo ora nella camera di mia madre. In quel letto non aveva più il suo aspetto altero, era minuta e i suoi occhi erano persi nel vuoto.
Mi avvicinai a lei e nel vedermi emise un piccolo sospiro, come se fosse giunta al termine di un lungo cammino. Fece cenno a me di avvicinarmi, ed a mio fratello e mio padre di lasciarci soli. Cominciò a parlare con flebile voce.
- Ho sempre saputo che non dovevo metterti al mondo, ma ho dovuto cedere -.
- Non ti ho mai amato, e tu lo sai, non sai però il perché -.
- Tu sei mio figlio, ma sei solo figlio mio, sei frutto di una colpa ed io non ho potuto mai perdonarmelo. Sono stata sempre invidiosa dell’amore che ti dava la persona che non era il tuo vero padre -.
Quelle parole ebbero in me un effetto devastante. La donna che mi aveva messo al mondo e che non mi aveva dato amore, aveva voluto, come ultimo atto del suo odio, togliermi anche l’unico affetto che aveva riempito la mia vita.
Lasciai di corsa la stanza e scappai via. Non volevo vedere né mio fratello, né colui che fino a quel momento avevo considerato mio padre. Non volevo parlare con nessuno, uscii di casa e mi diressi da solo nel freddo della strada.
Non ricordo per quanto tempo avevo girovagato per le strade del mio quartiere, un tempo rifugio delle mie evasioni da casa, per non ascoltare e vedere mia madre. In quelle strade avevo trovavo il conforto degli amici, ora quelle strade sembravano vuote, oppure ero io che non riuscivo più a riconoscere i loro volti. Alla fine mi ritrovai sotto la casa di nonna Adelina. Povera nonna, un male incurabile l’aveva costretta sulla sedia a rotelle e non usciva da anni dalla sua casa. Salii e bussai alla sua porta. La badante, alla quale la mamma l’aveva affidata, per non avere problemi, venne ad aprirmi. Dalla penombra della camera la nonna mi riconobbe subito ed emise un piccolo grido. L’abbracciai e mi strinsi a lei così forte da farle quasi male.
- Ho saputo della mamma, mi dispiace non essere andata a trovarla, anche se non lo merita. Qui non si vedeva da mesi -.

- Tu come stai, hai un’espressione sconvolta -.
Mio malgrado mi ritrovai a raccontarle l’ultima cattiveria di mia madre, le altre le conosceva benissimo, a lei mi ero rivolto spesso per ricevere almeno un piccolo conforto.
- Non avrei mai pensato giungesse a tanto -.
- Tu eri al corrente? Perché mi avete tenuto all’oscuro di tutto, come potrò guardare negli occhi l’uomo che fino ad ora mi ha fatto da padre? Chi è allora il mio padre naturale? -.
La nonna mi informò che sapeva tutto, ma che per il bene della famiglia aveva taciuto.
- Anche il papà sapeva tutto, conosceva tutto dal primo giorno -.
Rimasi molto turbato da quella rivelazione. La nonna notò questa mia perplessità e continuò a raccontarmi. Papà aveva saputo tutto da subito e, per la sua grande religiosità, si era opposto in modo fermo, alla decisione della mamma di abortire. Era per questo che io ero venuto al mondo, ed era per l’avversione della mamma nei miei confronti che papà, aveva cercato in tutti i modi di farmi vivere una vita normale.
Ero salito dalla nonna per trovare conforto e invece avevo ricevuto, come per magia, un insegnamento di come l’amore possa sconfiggere ogni cosa. Volevo conoscere il nome del mio padre naturale? Ma per quale motivo, cosa avrei trovato in lui che non avessi già avuto a piene mani?
Il papà che mi aveva cresciuto, lo aveva fatto nel migliore dei modi ed io, di quel padre mi sentivo figlio, un figlio che ora doveva restituire l’amore ricevuto. Potevo farlo solo nascondendogli che ora, ero al corrente della verità. Quella verità per me non esisteva, la mamma era alla fine dei suoi giorni e non poteva fare più alcun male, io ora dovevo amare mio padre, molto più di quanto lui avesse amato me, dovevo rimanere per sempre suo figlio.