Unicorno
Povero unicorno non riusciva più a galoppare sull’arcobaleno. I suoi zoccoli vi affondavano mentre l’arcobaleno perdeva i suoi colori, mentre il cielo sii rattristava e piangeva per lui. L’unicorno alzò uno zoccolo e lo vide vile, sporco, pesante, scheggiato e senza polvere magica, quella polvere sottile dai mille colori brillanti, quella polvere che gli permetteva di galoppare tutti gli arcobaleni. Galoppò fino all’inizio dell’arco per specchiarsi nelle acque della fonte e si vide finalmente. Quei suoi finimenti addobbati di rose celavano filo spinato che gli feriva i fianchi, tanto serrati da segnare le ali fino a impedirgli il volo, quel morso tanto vile da lacerargli la lingua. Eppure quel nuovo padrone odorava di rosa selvatica ma di aghi e spine erano le sue mani. Ad ogni passo tirava le redini e ogni volta nuova stilla di sangue ricopriva il morso. L’unicorno capì che doveva liberarsi di quel gioco crudele e fu allora che, per la prima volta, sentì l’olezzo del suo padrone. Odore di comando, odore perfido di malvagia prigionia spargeva quel padrone. L’unicorno bevve alla fonte della libertà, bevve tanto da saziare cuore e anima. La magica bestia era tanto gonfia che il suo pelo si drizzò tutto sprigionando la polvere magica rimasta prigioniera del suo manto. Dapprima caddero le rose, una alla volta rovinarono a terra trasformandosi in lerci fiori marci, poi cadde il filo spinato dissolvendo tutti i suoi nodi in mille fiammelle dispettose , poi fu la volta del morso. Quello fu l’attimo più difficile, il filo spinato si era, ormai, incancrenito alla carne viva del muso; gemeva l’unicorno mentre le linfe sue amiche lo liberavano da quel gioco tanto odioso. Finalmente fu libero, tentennando l’unicorno provò a muovere qualche passo, aveva paura di affondare in quell’arcobaleno e di cadere di sotto sfracellandosi sulla grigia roccia ma così non fu. Ogni volta che uno dei suoi zoccoli toccava l’arcobaleno si intensificavano i colori dell’iride, ogni volta che una sua zampa si alzava per un nuovo trotto si sprigionava una leggera nuvoletta di polvere magica che restituiva oro e argento al galoppo suo. Per ultimo fu il tempo del corno che rinvigorì velocemente impregnandosi tutto di nuova polvere magica. Subdolo e con fare gentile il padrone tentò di mettergli nuovo morso di spadini e arpioni ornato. L’unicorno si erse sulle zampe posteriori scalciando con forza, tese il capo fino a toccare il cielo e il suo corno catturò fulmini e saette riversandole su quel malvagio padrone incenerendolo con tutti i suoi arpioni e uncini. Le stelle comandarono una danza di colori e polvere magica donando splendore agli arcobaleni tutti restituendo serenità e pace ai cieli.
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10-08-2014 | Redazione Oceano |
L’autrice in chiave riflessiva, affronta paure, dolori e vincoli, immergendosi e uniformandosi all’analogia magica. Trova coraggio e spezza corde e morsi che egoismo, mano poco gentile e avidità, hanno imbrigliato. La forza e la magia allegoria della libertà. |