La realtà intrappolata

(Perna Marco)


Tutti cedono all'abitudine, tutti cercano di evaderla. L'insaziabilità umana deriva dal semplice fatto di non saper domare l'istinto, che spinge le persone oltre i propri labili confini. Appena si realizza un desiderio, nello stesso preciso istante, per qualche strana alchimia, ne nasce uno nuovo da anelare.
L'abitudine in cui era caduto Harry Smith, da quasi trent'anni ormai, era la menzogna. In verità, la sua arte era un'altra, non molto distante dalla bugia: nascondersi. Harry si nascondeva dal suo migliore amico Steve, dalla sua comitiva, da sua madre, da suo fratello. Ma se era semplice mentire a tutti, un po' più complesso era fuggire da se stesso.
A guardarlo sembrava un pugile in carriera, alto e robusto, capelli corti, barba sempre rasata e ogni minima parte del corpo depilata accuratamente. Un colosso che a prima vista incuteva timore, ma dopo pochi minuti di conversazione diventava un gigante buono per chiunque avesse mai parlato con lui. Faceva il cameriere in un importante ristorante italiano di New York da cinque anni, e nonostante sapesse bene che lavoro e sentimenti erano due strade parallele, ci era cascato come un novellino. Sei giorni a settimana, per quattordici ore, lavorava e mentiva. Come sempre, mentiva. Se l'avessero pagato per mentire, con tutta probabilità avrebbe potuto acquistare un pianeta, ma lo pagavano per servire, e si limitava a spenderli per l'affitto. Alla fine di un'estenuante giornata, tornava nella casa in cui si era trasferito da una decina d'anni, cioè da quando aveva scelto l'indipendenza con le scomodità, piuttosto che comodità limitate da dipendenza materna, dipendenza che per Harry era diventata asfissiante. Lui l'avrebbe definita scomoda. Cresci ora o rinuncia per sempre a farlo si era detto. In realtà già da allora stava iniziando a fuggire. Mossa azzardata, una fuga dettata dal panico, incosciente del fatto che da alcuni luoghi, evadere è impossibile. Ma a quel tempo non poteva immaginarlo.
La sua casa, anche dopo dieci anni, era spoglia, fredda, forse troppo grande per lui. L'unico che conosceva Harry, forse meglio di se stesso, si trovava lì, in casa sua, nell'ingresso. L'aveva comperato da qualche anno in un negozio d'arredamento di seconda mano e sistemato lungo il muro che portava al soggiorno. Tutte le volte che usciva, prima di varcare la porta, ci si specchiava, per vedersi, e in un certo senso per assicurarsi che la maschera fosse ben riposta sul volto.
I suoi amici lo definivano un ragazzo d'oro. Sempre disponibile, autonomo, responsabile, un lavoro fisso e una compagna. Si, una ragazza. Mai vista da nessuno di loro, ma ce l'aveva. Viveva nel Maine e raramente veniva a trovarlo, se non in qualche piovoso week-end. Quando gli amici gli chiedevano di uscire a coppie, in quelle singolari occasioni, Harry si tirava puntualmente indietro "Non posso, non ci vediamo da due settimane. Io e Melanie preferiamo stare un po' da soli" era solito dire. In quei fine settimana in cui, per puro caso, un cielo grigio era sempre in agguato, Harry se ne stava in piedi, davanti al suo specchio a muro, a fissarsi. Passava le ore del sabato sera da solo in casa, magari a provare quel particolare rossetto brillantato, comprato ovviamente per la sua ragazza. Già che c'era, indossava anche i decolté che aveva preso sempre per Melanie, per il suo venticinquesimo compleanno. Era stupendo, si vedeva così bello che talvolta piangeva a dirotto, perché obbligato a condividersi soltanto con il suo specchio. Il suo amato specchio. L'unico oggetto di quella casa che emanava calore, che sentiva suo, forse perché aveva qualcosa di suo. Chi meglio di un oggetto può mantenere un segreto pensava Harry. Sapeva bene che non era lo specchio che amava, ma amava ciò che lo specchio rifletteva quando lui era dall'altro lato, diciamo pure dal lato della menzogna. Definiva il suo rapporto con lo specchio come una relazione simbiotica "io ti faccio vedere chi sono e tu ti limiti a riflettere senza parlare". Il culmine dell'eccitazione lo raggiungeva quando, dopo aver rotto il ghiaccio (l'approccio iniziale era sempre un po' imbarazzante), indossava le calze di Melanie, le sue minigonne, vestitini e accessori vari. Diventava Melanie. Se ne andava in giro per la casa, provava le pose più insolite, cucinava, guardava la TV. Insomma, continuava a trascorrere il resto della serata così. Poi, prima di andare a dormire, si svestiva, si struccava e guardava allo specchio di nuovo il buon vecchio Harry, così le cose tornavano al loro posto, giusto o sbagliato che fosse. Il lato della menzogna tornava ad essere la parte con l'ossigeno e l'azoto, mentre il lato della realtà si rituffava, invece, nel vetro pallido e ci rimaneva dentro fino al prossimo "scambio" di prospettiva.
La Domenica che cambiò per sempre la vita di Harry iniziò con lui che si guardava allo specchio, prima di andare a lavoro, dopo essersi rasato e aver tolto le ultime insistenti tracce di mascara. Si assicurò di essere normale e uscì, non prima di aver visto la sua immagine riflessa ammiccare nel vetro, illuminato dal sole del mattino. La luce fa brutti scherzi pazzesco pensò.
"Cosa diavolo hai sulla bocca, Smith!" urlò il maitre, appena Harry entrò nel ristorante Bella Italia. Fu colto alla sprovvista, ma sapeva cosa aveva fatto la sera prima e, in preda al panico, corse in bagno. Alle sue spalle Renato continuò a gridare "Quando fai certe cose con la tua ragazza, cerca di non portarle al lavoro, grazie!" commentò a voce alta, sarcastico. Quando Harry vide la sua immagine riflessa, quasi gli scappò un urlo . La metà destra delle sue labbra era sporca di rossetto, di un rosso che sembrava sbiadito ma comunque evidente, e una striscia si trascinava dall'angolo della bocca fino a metà collo.
"Che diamine è successo? ero sicuro, merda, ero sicuro!" sussurrò a denti stretti. Dopodiché si sciacquò velocemente e, quando ebbe controllato cento volte il risultato allo specchio, tornò in sala. Aveva cercato di togliere dal suo volto anche la vergogna insieme al rossetto, ma per quanto avesse strofinato, quella non era andata via.
La voce si sparse tra i colleghi e per tutta la giornata, fino alle due e mezza di notte, Harry fu circondato da frecciatine e battute spicciole a cui rispondeva con una risata, e mentendo, come sempre mentendo.
Quando uscì dal ristorante era distrutto, desiderava solo andare a casa e godersi un bagno caldo. Nel parcheggio, però, trovo Steve, il suo amico di infanzia. Maledizione quando finirà questa giornata pensò Harry. "Hey, bell'imbusto! Sono arrivato appena in tempo per farci due birrette, ci stai?" disse Steve, dandogli una pacca sulla spalla. Harry vedeva allontanarsi sempre più il bagno caldo e la serata in totale relax che aveva programmato. Certo che ci sto coglione sono obbligato a starci "Ma sicuro, Stevenson! Dopo una giornata atomica come questa, è quello che ci vuole!" disse, con quella scioltezza nel mentire che ormai non richiedeva più sforzi. Andarono nel loro solito pub, le solite Guinness alla spina, le solite chiacchiere "Un momento, prima nel buio non l'avevo notato, ma sei stato alle Hawaii ultimamente o è solo sporca la tua faccia?" disse Steve, ridendo divertito. Harry, imbarazzato si tastò il volto e sentì, sotto i polpastrelli, una familiare sostanza granulosa "Già, te l'ho detto, è stata una giornataccia al ristorante, vado un attimo a sciacquarmi, torno subito" fece, e si affrettò ad andare in bagno. Che diavolo ci fa tutto questo fondotinta sulla mia faccia pensò, guardandosi allo specchio per l'ennesima volta, quel giorno. Quando si ripulì, tolse anche alcune tracce di mascara sbiadite, che per sua fortuna Steve non aveva notato. O ieri sera ho sognato di essermi struccato o sto letteralmente impazzendo rifletté Harry, mentre tornava al bancone. Continuava a toccarsi il volto freneticamente. "Sicuro di star bene, amico?" chiese Steve "Credo che passo il secondo giro, sono stanco morto" disse Harry, e dopo aver salutato l'amico, uscì da locale, per tornare finalmente a casa.
La prima cosa che fece era prevedibile. Si specchiò. Cacciò un urlo, quando vide un altro nello specchio, ma non era un altro, era Melanie. Anche lei spalancò la bocca, senza però emettere alcun suono. Harry si premette le mani sul volto, sulle labbra, sui capelli, e lo stesso fece la ragazza truccata nello specchio, ma le sue dita restarono pulite. Rimase per qualche secondo così, immobile, poi iniziò a muoversi, per assicurarsi che Melanie seguisse i suoi movimenti. Lo fece, però, soltanto per pochi secondi, poi iniziò a sorridergli, nonostante il volto di Harry fosse contratto dalla paura. All'improvviso Melanie scagliò un pugno violentissimo contro di lui, Harry istintivamente portò le braccia a difesa del volto, ma il colpo non andò oltre, si fermò contro il vetro, che si spaccò dall'interno. Fu sufficiente un altro gancio per rendere evidenti, anche all'esterno, le crepe nello specchio. Ora poteva vederle anche lui. Lo spavento provocatogli dagli inarrestabili colpi del suo io femminile, fece cadere Harry all'indietro. Il dolore alla schiena fu lancinante. Era così terrorizzato da quella scena surreale che non riusciva più a rimettersi in piedi. Alcuni cocci di vetro stavano cadendo sul largo pavimento del corridoio, staccandosi dallo specchio e lasciando, al loro posto, parti nude di muro. Harry fissò le mani insanguinate di Melanie, che, nonostante ciò, non si fermava, destro e sinistro, e avanti così, senza sosta. Fu quando guardò le sue mani che capì. Erano completamente coperte di sangue, tagliate, come se stesse indossando due guanti di lattice rossi che gocciolavano copiosamente. Cominciò a sentire il dolore delle ferite. Mezzo specchio era distrutto già, e i suoi frammenti sparsi per terra. Fu allora che Harry si alzò con le ultime, residue forze e iniziò, a sua volta, a prendere a pugni il vetro. Dopo pochi minuti Melanie non esisteva più, o, per meglio dire, era fuori, nel corridoio. Il lato della realtà era uscito con violenza per prendere posto nel lato della menzogna. Quella volta era il lato giusto. Harry era inginocchiato sui pezzi di vetro, che riflettevano i centinaia di volti in lacrime di Melanie - Harry. Presto le lacrime si mescolarono al sangue, e fu quello il prezzo che Harry Smith pagò, quando smise per sempre di fuggire da se stesso.