Il senso della vita

(Quaranta Enzo)


“Segreteria telefonica di Paolo Tricorno, lasciate un messaggio dopo il segnale acustico”
“Paolo, sono Mario, sono tre giorni che ti chiamo ed hai sempre la segreteria collegata. Fatti vivo che ho un nuovo progetto letterario.”
Mario Maniscalco è uno splendido ottantenne. Sempre in forma, longilineo, attento all’alimentazione e alla forma fisica, vestito in maniera giovanile. Insomma nessuno direbbe che è un’ottantenne, sembra più che altro un settantenne.
Mario è uno scrittore. Da tre giorni è ricoverato in ospedale per quello che è oramai un appuntamento fisso. Un check-up completo per controllare il suo stato di salute, lui che da sempre convive con la sua amata ipocondria.
Condivide la sua camera in ospedale con un uomo di nome Peppino, agricoltore, di settantacinque anni, ma con le rughe e gli acciacchi che potrebbe essere suo padre. Peppino si è rassegnato al suo brutto male.
“Dottore, vuole un po’ di pizza ripiena che mi ha portato mia figlia?” dice Peppino a Mario. Ha sul suo comodino tanto di quel mangiare che potrebbero sfamare tutto l’ospedale per un mese, mentre sul comodino di Mario solo acqua e alcune vitamine e integratori.
“No, grazie Peppino, ma è meglio che non mangio fuori orario.” Risponde Mario.
Si vede che non gradisce molto la presenza di Peppino. Oddio non ha nulla contro di lui, ma avendo una famiglia molto numerosa, c’è sempre un via vai di gente, una confusione continua che non si addice al suo stile di vita fatto di poche persone, di silenzio e tranquillità.
La prima notte è davvero un incubo. Peppino si lamenta molto per i dolori che sente, non trova pace, nemmeno quando l’infermiera gli dà dei calmanti. E’ una notte lunga e insofferente per Mario che oramai da anni considera quei tre giorni in ospedale la sua vacanza per fare il tagliando al suo corpo. Così l’indomani decide di andare a parlare con il direttore della clinica, ricordandogli che lui paga salato questi accertamenti e pertanto desidera una stanza singola e tanta pace.
La mattina dopo, di buon ora, Mario va dal direttore della clinica a rappresentare il suo disagio. “Mi spiace Dottor Maniscalco, ma non abbiamo stanze singole a disposizione. Capisco le se ragioni, ma se proprio non riesce a condividere la stanza, dobbiamo rinviare gli accertamenti tra tre mesi. Sappiamo che il paziente che è con lei si lamenta, ma posso garantirle che chiunque al suo posto e con le patologie che ha, farebbe peggio.”
Mario è infastidito, ma declina l’invito a tornare tra tre mesi, perché ha programmato una serie di incontri con alcuni istituti scolastici per presentare il suo ultimo libro.
Torna verso la camera passando dal bar. Mentre sorseggia un caffè, viene interrotto da una signora attempata.
“Scusi se la importuno, ma è proprio lei? Mario Maniscalco?”
“Si, signora, sono io!”, risponde Mario.
“Che bello poterla conoscere dal vivo. Ho letto il suo libro dieci volte ed ogni volta ho pianto. Guardi, lo porto sempre con me. Potrebbe farmi un autografo?” e intanto estrae dalla borsa il libro scritto da Mario trent’anni prima, stropicciato, sgualcito, quasi un cimelio storico. Prima edizione di “La luna nel lago”.
Mario senza entusiasmo prende il libro e si limita a scrivere “Cordialità. Mario M.”
“Grazie di cuore, è stato un piacere conoscerla dal vivo, lei ha sicuramente influito sulla vita di milioni di persone come me.” Risponde la signora che si allontana felice.
E’ una scena che Mario ha vissuto spesso nella sua vita. Dapprima euforico di tanto inaspettato successo, poi sempre meno, quasi un obbligo. Vi era anche una certa tristezza in questo rituale. Si, perché su oltre trenta libri scritti in altrettanti anni di carriera, l’unico che i lettori ricordano è “La luna nel lago”, un romanzo d’amore scritto trent’anni prima, considerato best seller, tradotto in due lingue ed arrivato alla sua decima edizione, con una tiratura complessiva di circa un milione di copie. Degli altri romanzi scritti da lui al secondo posto vi era “Sono ore che ti aspetto”, con una tiratura di cinquemila copie. Tutti gli altri, non pervenuti: alcune centinaia di copie di tiratura regalate ad amici o utilizzati per concorsi di scarso valore letterario.
Mario non nasce scrittore. Era un giornalista mediocre, ingabbiato in una vita mediocre. Si dilettava a scrivere poesie o piccoli racconti. Poi a cinquant’anni la svolta; un periodo difficile della sua vita, uno spavento improvviso e inaspettato, la voglia di raccontare una parte della sua gioventù e così riesce a partorire il suo primo romanzo, tenuto nel cassetto per molto tempo e presentato a tre case editrici. Una di queste coglie che potrebbe essere un successo, così parte la prima stampa, i primi concorsi, le prime apparizioni televisive, i primi convegni e per circa un lustro “La luna nel lago” diventa croce e delizia della sua vita. Viaggi in tutto il mondo, donne a volontà e soldi in abbondanza per un libro scritto per caso.
Non ha famiglia Mario, vive solo da sempre, o meglio ha sempre avuto donne nella sua vita, più o meno lunghe convivenze. Anche un matrimonio, finito prima di iniziare e così quando a quarantacinque anni divorzia, decide di non condividere più con nessuno i suoi respiri. Poi con la notorietà che aveva avuto grazie al suo libro, di fans follemente innamorate ne aveva in ogni città, quindi notti di sesso e passione non mancavano mai. Saranno state le delusioni degli amori vissuti prima del successo, saranno state le troppe donne che poteva avere dopo il successo, il dato è che Mario non aveva più deciso di costruire famiglia e aveva imparato a vivere in profonda armonia con se stesso, dedicando parte del tempo a sua disposizione alla cura del suo corpo e della sua anima.
Sulla sua carriera di scrittore in fondo Mario è deluso. Sa di aver vinto alla lotteria con il suo best seller, che gli ha cambiato la vita, che gli ha consentito di girare il mondo e di vivere in maniera più che dignitosa. In fondo, anche gli accertamenti sanitari che sta facendo ora a ottant’anni se li può permettere grazie ai diritti d’autore del suo libro famoso. Ma averne scritti tanti altri e non aver mai avuto il consenso del pubblico, lo sconforta. Vorrebbe rivivere il piacere e la gioia provati trent’anni prima, vorrebbe essere ricordato come un grande scrittore. Non lo convince l’idea che, come è capitato a molti personaggi famosi, fossero rivalutati dopo essere morti, anche perché, per come è egocentrico, gli darebbe davvero fastidio non poter godere da vivo e in prima persona del suo successo.
Torna verso la stanza Mario e riprende le sue telefonate per organizzare il mini tour nelle scuole. Il suo manager Paolo Tricorno oramai non risponde più alle sue telefonate. Entrambi sanno che il loro rapporto è finito, ma nessuno dei due ha il coraggio di dirlo, perché hanno condiviso un successo splendido e inaspettato per ambedue.
Tra un prelievo ed una radiografia passa anche il secondo giorno in ospedale per Mario e intanto inizia un’altra lunga nottata. Peppino riprende a lamentarsi per i forti dolori. Mario si gira e si rigira nel letto.
“Dottore, chiedo scusa se non vi faccio dormire, ma non riesco proprio a sopportare questi dolori.” Dice Peppino a Mario verso le due di notte.
“No, non ti preoccupare” risponde Mario in maniera cortese, anche se il suo viso è crucciato.
“Però una cosa non capisco”, riprende Mario, “Come mai di giorno non vi lamentate e di notte si? Vi danno medicine differenti? O i dolori si sviluppano di notte?”
“Macché dottore, i dolori sono costanti e lancinanti sempre. Durante il giorno mi concentro a parlare con le persone che mi vengono a trovare, con la mia famiglia, con i medici e quindi distraendo la mente, sopporto il dolore. Di notte questo non posso farlo.” risponde Peppino. “Però se lei vuole potremmo fare un esperimento. Le va di raccontarmi di lei? Così evito di lamentarmi e magari attraverso le sue parole potrei conoscere tutti i luoghi del mondo che lei ha visitato e che io non ho mai potuto vedere.”
Peppino è l’antitesi di Mario. Contadino, figlio di contadino, ha passato tutta la sua vita a lavorare la terra nella Piana di Capitanata. Una terra arida, dura, ma dalla quale ha sempre raccolto frutti prelibati. Peppino non conosce nulla del mondo, il suo mondo inizia e finisce nel suo paese. Conosce il mare ai piedi del Gargano dove ha trascorso qualche domenica o la festa di San Nazario negli anni. Ha fatto una crociera regalata dai figli nel mediterraneo tre anni prima per l’anniversario di cinquant’anni di matrimonio con la sua amata Ninetta. E’ proprio in quel viaggio che aveva iniziato a stare male. Ma lui è un inguaribile ottimista, tant’è che ritiene che, grazie alla sua malattia, ha potuto conoscere tante città italiane: Milano, Padova, Bologna, Firenze, Roma, dove i figli premurosi lo accompagnavano per cercare di farlo guarire. Ha cinque figli, dodici nipoti e un cane. Questo è il mondo di Peppino.
Mario seppur vorrebbe dormire, rimane stupito dalla richiesta di Peppino che vuole conoscere il mondo attraverso i suoi occhi. In fondo sa che non riuscirebbe a dormire comunque per i suoi lamenti, così inizia il racconto.
Gli racconta di quando è stato a New York per la presentazione del libro e vi era una bufera di ghiaccio, o quando andò in Nuova Zelanda per ritirare un premio, oppure quando gli conferirono a Belgrado la laurea honoris causa per i suoi meriti artistici, arricchendo la narrazione di aneddoti o avventure sessuali vissute. Peppino è entusiasta, apprezza i dettagli, cerca di immaginare e rendere reali quei luoghi che non ha mai visto, ha lo stupore di un bambino di fronte ad un regalo inaspettato.
Passa la notte tra le varie avventure narrate. La mattina Peppino si rivolge a Mario e gli dice: “Dottore mi ha fatto un regalo meraviglioso stanotte. Mi ha fatto conoscere il mondo che non ho mai vissuto. Io non posso ricambiare. La mia vita è stata chiusa tra la mia casa e i miei terreni, con Ninetta, i miei figli e i miei nipoti. Ma non rinnego nulla e se tornassi a vivere rifarei tutto uguale, magari concedendomi qualche vacanza in più. Posso farle solo un’ultima domanda? Qual’è per lei il senso della vita?”
Mario è davvero basito dalla profondità dei pensieri di quel contadino, formatosi solo sull’esperienza e sul sacrificio di ciò che ha vissuto. Ma non ha problemi a rispondere a quella domanda, perché in molti seminari, convegni, conferenze stampe, la stessa domanda gli è stata posta molte volte e la sua risposta maturata in gioventù o forse persino sentita da altri, è questa: “Il senso della vita è la vita!”
Mario sa che quella risposta, sicuramente affascinante, ma forse di dubbio significato, poteva essere utilizzata nelle circostanze pubbliche, perché di così ampia interpretazione che ognuno poteva darle il significato che voleva. E poi sapeva tanto di intellettuale. Chissà cosa avrebbe detto Peppino, contadino anziano, rispetto ad una risposta del genere.
Peppino ascoltando la frase pronunciata da Mario, in maniera così solenne “Il senso della vita è la vita!” lo guarda dritto negli occhi e con estrema serenità gli risponde: “Bene, allora sono riuscito a dare senso alla mia vita. Grazie!”
Questa risposta lascia sconcertato Mario, perché non si aspettava una frase così netta, e non comprende tutta questa sicurezza nelle parole di Peppino. Lui che pur ha ricevuto tanto dalla vita, che pur è stato sempre fortunato, che ancora ora a ottant’anni sembra il figlio di Peppino, ha sempre avuto dubbi su quale era il senso della vita. In quel momento aveva capito che più che dare insegnamenti a Peppino, poteva trarne insegnamenti per lui.
Il terzo giorno Mario viene chiamato dal direttore. “Volevo dirle che abbiamo i risultati dei suoi esami. E’ tutto nella norma, c’è però un’anomalia nella prostata. Conviene che si trattiene altri due giorni così approfondiamo gli accertamenti. Ah dimenticavo: si è liberata una stanza singola, se vuole la spostiamo li.”
Mario è stupito da quella notizia, perché lui è ipocondriaco e già pensa quale sarà il risultato degli altri accertamenti. Riesce solo a rispondere al primario: “No grazie, sto bene nella stanza dove sono.”
Quando rientra in camera vede una montagna di gente intorno al suo amico di stanza. Ninetta, tutti i figli, i nipoti, gli altri parenti, alcuni amici. Peppino sorridente appena vede entrare anche Mario gli dice di avvicinarsi al suo letto.
“Scusi dottore se ho fatto venire tutta questa gente, ma sa anch’io ho paura della morte e la loro presenza la renderà meno spaventosa. Comunque la stavo aspettando perché ho voluto che ci fossero tutte le persone importanti per me a salutarmi e lei, dopo stanotte, ne fa parte a pieno titolo. ”
“Ma cosa dici Peppino” risponde Mario, “smettila con questi pensieri, andrà tutto bene.”
Intanto Mario si gira attorno e vede che i figli di Peppino, gli amici, i parenti, sono in lacrime, piangono a dirotto. Mario non comprende cosa sta succedendo. Passano pochi attimi e si volta nuovamente verso Peppino che ha gli occhi chiusi e stringe la mano di Ninetta.
“Peppino” riesce a dire Mario, mentre nota che sul viso dell’amico si stampa un cenno di sorriso prima di esalare l’ultimo respiro.
E’ morto! Peppino è morto! Tutti nella stanza piangono, mentre Mario è incredulo rispetto a quello che sta succedendo. Come è possibile, come faceva a sapere che sarebbe morto. Sembra che stia vivendo in una scena di un film, o in uno di quei spettacoli dove alla fine si scopre che è uno scherzo. Non è uno scherzo. I medici vengono a verbalizzare l’ora del decesso e dopo mezz’ora il letto di Peppino è vuoto.
E’ profondo il senso si sconcerto e di dolore che vive Mario. Aveva capito di aver conosciuto per caso una persona che era speciale, seppur aveva una vita normale. Mario ha sempre avuto timore della morte e non capiva come era possibile che Peppino sapeva che stava arrivando e gli è andato di fronte con tanto coraggio. Come aveva letto anni prima in un libro di Coelho, Peppino era morto sorridendo mentre tutti gli altri attorno a lui piangevano.
Mario è davvero confuso e passa tutta la notte a guardare quel letto vuoto e gli rimbombano nella testa tutte le frasi che si sono detti la notte prima con Peppino. I racconti, i sorrisi e soprattutto quella sua ultima domanda sul senso della vita, e la serenità nel sentirsi appagato dalla risposta che Mario gli ha dato. Ripete nella mente una, dieci, cento volte quella frase: “Il senso della vita è la vita!” alla ricerca di qualche indizio, alla ricerca di qualche messaggio velato nella risposta ricevuta da Peppino.
“Il senso della vita è la vita!”
Centinaia o migliaia di volte Mario ha detto questa frase e, secondo la sua interpretazione, il senso della vita è nella vita che viviamo, nel come cerchiamo di riempirla di contenuti, di soddisfazioni, di come ci prendiamo cura di noi stessi. Questo ha sempre pensato nel suo profondo Mario, ma questo suo pensiero non è mai stato reso pubblico, perché tutti si accontentavano della sua risposta da intellettuale: “Il senso della vita è la vita!”
E’ l’alba oramai e Mario guarda fuori dalla finestra. Di fronte a lui la natura prende vita, gli uccelli si svegliano, le persone riempiono le strade. E’ in quel momento che Mario scoppia a piangere a dirotto, piange profondamente, in maniera convulsa, disperata.
Aveva sotto i suoi occhi e nelle sue stesse parole la risposta, ma non sapeva leggerla, non aveva saputo coglierne il significato profondo. Si, il senso della vita è la vita, ma non secondo l’interpretazione che lui gli ha dato, ma secondo l’interpretazione che Peppino gli ha dato.
Il senso della vita è la vita, non quella che dedichiamo a noi stessi, ma quella che siamo capaci a donare agli altri. E’ la vita che doniamo ai nostri figli, che doniamo alla persona con cui decidiamo di fare famiglia. E’ la vita che doniamo agli amici, ai parenti, ai conoscenti.
Il senso della vita è la vita che siamo capaci di donare agli altri.
Mario comprende che Peppino era sereno nel punto di morte e aveva attorno a se tutte le persone a cui aveva donato parte della sua esistenza terrena. Peppino continuerà a vivere non solo nel loro ricordo, ma nell’amore e nell’affetto di queste persone.
Mario piange, è disperato, perché sa che non ha più tempo per dare un senso alla propria vita e tutto il tempo dedicato alla fama, al successo, alle avventure, è perso. Quell’umile contadino in una notte gli ha donato più di quanto nessun’altro era riuscito a fare in una intera vita.
Si asciuga le lacrime, prova a calmarsi. “Scriverò un libro che parli di Peppino e del significato profondo del senso della vita, sperando che altri evitino di fare il mio stesso errore”, così pensa Mario.