dal mio libro di narrativa "Sarà per questo che Dio ci ha dato la pelle?"

Affacciandomi agli anni della mia adolescenza avevo grandi progetti, aspirazioni per me raggiungibili
coerenti con il tempo e lo spazio…piani per il futuro. Cresciuta in un ambiente infelice con tante
ristrettezze  circondata da panni stesi ad asciugare, odore di candeggina, poco cibo e parlate sempre
con voci troppo alte, quando non erano urla e  mondo spezzato. La casa gelata in inverno con soltanto
un poco di calore in cucina dove la stufa a carbone emetteva un po’ di tepore. Ero gracile e magra e
ripiegata su me stessa, ingobbita, come se cercassi di costruire mentalmente come sarebbe stata la mia vita.
Ogni bambino possiede un luogo di ritiro dove rifugiarsi, giocare, sognare. Volevo essere sicura di essere
amata… affidavo le mie pene e le mie gioie  a compagni invisibili. Ero una bambina che avvertivo ogni
variazione possibile, percepivo  le cose con grande intensità e sapevo che non ero in grado di proteggermi
da sola…avrei avuto bisogno di tanto amore a farmi da mantello.

Guardo una foto di me bambina…una foto in bianco e nero…gli occhi socchiusi senza sorriso con un’espressione
tra tristezza e felicità…come se stessi pensando che tipo di persona complicata sarei diventata. Mi accorgo
che entro nell’adolescenza quando le parole che si scambiano gli adulti fra loro (in questo caso i miei
genitori) mi diventano comprensibili. Comprensibili ma senza importanza  perché mi è diventato indifferente
se in casa mia regni o no la pace. Ora posso seguire la trama delle liti domestiche, prevederne il corso e
la durata… soprattutto non ne sono più spaventata: le porte sbattono e non sussulto, mio padre fa il pazzo
spaccando tutto quello che trova e non sussulto… la casa non è più per me quello che era prima. Non è più
il punto da cui guardo tutto il resto dell’universo, è il luogo dove per caso mangio e abito. Mangio in
fretta prestando un orecchio distratto alle parole dei miei genitori sempre in vena di litigate. 

Parole comprensibili e capisco anche che da quelle  bocche potevano uscirne altrettante…scintille… rasoi.
Qualche volta, ma raramente, balsami. Sono sempre alla ricerca di quel puzzle capace di dare un senso per
ricucirne pezzi uno dopo l’altro. Mangio e scappo nella mia stanza di corsa per non sentire tutte quelle
parole brusche e odiate. Ho scoperto che anche mia madre non mi fa più così pena perché avrebbe dovuto
imporsi molto tempo prima. Adesso posso essere quasi felice anche se loro continuano a litigare e si
tengono il muso per giorni e giorni…e mamma ha sempre gli occhi lucidi di pianto. Tutto quello che mi
importa non succede più tra le pareti di casa mia ma fuori, per la strada e a scuola. Sento che non posso
essere felice se a scuola le altre bambine mi prendono in giro per quel nome affibiatomi. Farei qualunque
cosa per salvarmi da questo. Confusamente sento anche che se mi disprezzano, è soprattutto per colpa
della mia timidezza. La mia timidezza mi appare come il più grave ostacolo a ottenere la simpatia e il
consenso universale. Ho molta  fame e sete di questo consenso. A casa, quegli adulti che per tanti anni
mi avevano pesato addosso con la loro assurda rabbia, adesso li vorrei castigare col mutismo e l’impene-
trabilità del mio viso. Mi hanno ossessionato per tanti anni fin da piccolina con le loro miserie… ora
vorrei vendicarmi  opponendo loro un viso impenetrabile e muto, dagli occhi di pietra.

Mio padre sempre imprevedibile come un pianeta con una gravità e un’atmosfera tutta sua. Volubile cone 
l’aria che lo circonda in cui il tempo meteorologico cambia spesso di male in peggio….meglio lasciarlo 
tranquillo…non disturbarlo.Poi gli scoppi d’ira con le parole che squarciano la tela in cui ho avvolto 
il mio mondo…un mondo grezzo non ancora finito ma grande e spaventoso. Torna improvviso il silenzio aspro
e appiccicoso che nemmeno i rumori di casa riescono a scacciare. E’ il silenzio ingombrante dove la vita
ci si avvolge sopra e attorno.  Certo anche un buio sicuro ma scopro che è anche infido quando vorresti
uscirne. 

In seguito scoppiano di tanto in tanto per casa le collere di una volta, magari adesso destate dal mio
carattere taciturno ma che poi esplode in un’insieme confuso di parole violente (il massimo per me è
riuscire ad imitare mio padre e cercare di rompere qualunque cosa capiti a tiro così forse si preoc-
cuperà un po’…)  Anche le porte che sbattono… le porte che sbattono adesso per me, contro di me, che
resto a tavola immobile, con uno  strano sorriso. Più tardi, sola nella stanza, si scioglierà d’un
tratto quel mio sorriso superbo e scoppierò a piangere, fantasticando sulla mia solitudine  e 
sull’incomprensione  e sentirò uno strano piacere a versare lacrime scottanti, a soffocare nel cuscino
 i singhiozzi. Sopraggiunge poi mia mamma  che si commuove alla vista delle mie lacrime, mi offre di
andare a prendere un gelato o al cinematografo. Ha gli occhi rossi e gonfi ma di nuovo il viso impietrito
e impenetrabile. Andiamo io mamma e mia sorella a mangiare il gelato e tutt’intorno a noi si muove una
folla di gente che ci sembra serena e leggera mentre noi, noi siamo quello che c’è di più tetro, goffo
e detestabile sulla terra. 

Al mattino me ne ritorno a scuola dopo aver fissato con preoccupazione il mio viso nello specchio. Il mio
viso ha perduto la vellutata delicatezza dell’infanzia, a quando facevo  colline e castelli di sabbia
al mare ma nonostante questo, anche adesso  il mio solo pensiero è…quando torno  a casa i miei genitori
litigheranno o no?
 Passa altro tempo e adesso in casa non si litiga più così spesso, i miei genitori sono diventati più
vecchi e tranquilli ma di quello che c’è in casa  non me ne importa più  di quel tanto. Quando ero 
piccola mia madre non ci accompagnava a scuola, ci arrangiavamo io e mia sorella da sole e forse non 
eravamo sempre in ordine. Adesso sono terribilmente responsabile di tutto quel che faccio. Succede poi
un giorno che la più ammirata, la  più bella fra tutte le mie compagne di scuola, la prima della classe, 
quella che ha un nome che per me è musica…Anna…vuole la mia   amicizia. Come sia accaduto non lo so:
ha posato su di me ad un tratto il suo sguardo azzurro, mi ha accompagnato fino a casa per un breve 
tratto di strada un giorno e poi un pomeriggio vuole che vada a casa sua a fare i compiti. Ho fra le
mani il prezioso quaderno della prima della classe, scritto nella sua bella calligrafia aguzza, in 
inchiostro azzurro.  Potrei copiare il suo compito, che è tutto senza errori. Come mi è toccata una 
simile felicità? Come l’ho conquistata questa irraggiungibile compagna così difficile da avvicinare? 
Sono stata prescelta dalla più inarrivabile, dalla più insperata compagna. Perché  non si annoi in 
mia compagnia e non mi lasci per sempre, convulsamente parlo, butto fuori tutto quel che so di film, 
di attori e canzoni. Rimasta sola ripeto insaziabilmente le sillabe del suo bel nome e preparo mille 
discorsi da fargli domani. Pazza di gioia a scuola, la mia situazione è cambiata di colpo, nessuno si 
permette di ridire sul mio nome, divento studiosissima e bravissima…prendo sempre dieci e lode e il 
mondo non mi appare più come una mostruosa macchinazione, ma come un’isoletta semplice e ridente, 
popolata di amici…questa  mia piccola vita in mezzo alle mie compagne di scuola, a dire frasi buffe 
e a farle ridere. Vado anche a casa sua, abita vicinissima il portone appena dopo il mio…salgo le 
scale e trovo una bellissima casa ma soprattutto una tranquillissima e gentile mamma che si preoccupa 
subito di farci fare merenda.A casa mia non viene invitata perché mi vergogno tanto, non per la casa 
ma per l’ambiente familiare che non si sa mai che cosa potrebbe rivelare. Continua questa amicizia 
per tutte le elementari e devo dire che di quegli anni mi restano sensazioni e immagini precise, 
pulite e luminose. Quasi che tutte le migliaia di parole dette ora in me si coagulassero in pochi 
quadri: la mia povertà, i legami famigliari, l'ironia di ragazzine argute e indomite. Non ricordo 
enormi gioie ma tranquillità e grandi processi di crescita, naturali e intensissimi. 

Una cosa mi affascina sempre più: le parole lente, piane e misurate di un libro. Le sue ripetizioni, 
i vocaboli quotidiani e inequivocabili, a volte resi buffi dall'usura. Trovo che non c'è niente 
di altisonante nei racconti, niente di urlato perchè le storie si dispiegano armoniose pagina dopo 
pagina, tanto che ogni interruzione della lettura mi risulta molesta.

Adesso leggere significa molto per me…significa vedere scritta la vita nella sua grandiosa semplicità, 
dove si raccontano le storie di tutti, mai straordinarie eppure speciali, totalmente coinvolgenti. 
I libri sono i miei più cari amici…il libro più brutto ha sempre qualcosa da dire…quello più insulso 
è un momento d’esperienza. Lì  trovo le leggi che governano la vita delle persone. Trovo che il
materiale romanzato di cui mi nutrirò sempre più spesso, sia una felicità  e non uno svantaggio per 
le persone che come me non hanno avuto un’infanzia felice. 
L'idea che sia una colpa abbandonarsi a romanzi e che il romanzo è evasione e consolazione non è 
che bugia…necessario è non evadere e non consolarsi, ma stare fermamente inchiodati nel mezzo della 
realtà. Siamo oppressi da un senso di colpa nei confronti della realtà…i romanzi veri hanno il 
prodigio di restituirci l'amore alla vita e la sensazione concreta di quello che dalla vita vogliamo. 
I  romanzi indispensabili come il pane e l'acqua, apparentemente inutili eppure immortali. Spesso 
si  dedicano al senso di colpa vissuto da chi scrive, ai momenti  bui o di vuoto. Raccontano la 
paura di non aver più nulla da dire e la gioia delle frasi ritrovate. Chiedermi adesso se per me 
scrivere è un dovere o un piacere è stupido… non è né l'uno né l'altro… per me è  abitare la terra, 
descrivendo con estrema semplicità tutto il dolore e la gioia che la scrittura si porta dietro, 
l'esigenza o la condanna della solitudine.  E’ semplicemente l'accettazione di un dono, che non 
è mai una consolazione o uno svago, non è una compagnia, ma mi aiuta a stare in piedi, a tenere 
i piedi ben fermi sulla terra, mi aiuta a vincere la follia e il delirio e non per ultimo la 
disperazione. 
data autore commento (si può commentare solo se si è loggati)
26-09-2015 Redazione Oceano Si rimane attoniti e intontiti, dinanzi alle parole che cuciono l’anima in modo imperfetto, graffiandola d’ intensità che avrebbero dovuto stare ben lontano dall’ascolto d’orecchie infanti. Ma d’ infanzia c’è ben poco nella crudeltà degli istanti che hanno irrorato il tempo come fosse un tiranno in cerca di vittime da coltivare indegnamente. Tu sei la pagina del libro, sei le righe scritte nella notte della vita che dovrebbe essere leggera come un soffio, sei quanto schiuso in un mondo di echi senza fine, in una pelle solcata da celle d’idiozia. E sei meravigliosamente Tu, mentre cavalchi la tua esistenza, vibrando in un mondo parallelo racchiuso in quei libri dove germogliano e rivivono speranze e donano respiro. Intensamente Tu!